Backdoor Antivirus 31

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Mi pare evidente che, se qualcuno ce le farà avere non al prezzo di un brasato al dolcetto, dovremmo abituarci tutti quanti  alle mascherine.

Il che pone alcuni interrogativi.

Come vanno portate, non dico per essere sicuri, ma per dare un’immagine corretta di noi stessi?

Mi segnala un amico che il modo figo è appesa a un orecchio, stile cazzomenefrega. Con studiata noncuranza, buttata lì. Credo sia l’equivalente di chi mette i pass gettati sulla schiena (comunque visibili ma), in modalità “ah sì, sono accreditato al Festival, ma neanche me lo ricordavo, cazzomenefrega). Segnalo solo che potrebbe cascare facilmente, a meno che uno non abbia le orecchie del Dr.Spock, ma capisco. Forse in aiuto come paracadute interno potrebbe venire il colletto della polo, immagino alzato verso l’alto, dato il soggetto in questione. (Vasco periodo anni 90 di sottofondo).

In tasca (al massimo). Obiettore totale politico anarcoide extraparlamentar che fu, refrattario a qualsiasi imposizione. Alla sola ipotetica notizia dell’adozione dell’app con riconoscimento dati e malattia è impazzito, chiudendosi sotto il lavello con l’opera omnia di Michel Foucalt. (i Crass di sottofondo).

Applicata alla perfezione (con colla Bostik, probabilmente).  Il ligio integralista. “Han detto che si fa così” e basta. Controlla senza sosta che aderisca perfettamente alla pelle del viso. La schiaccia continuamente. Senza dubbio è destinato a una perdita di respiro che lo condurrà a una morte similare a quella causata dal Virus da cui tenta di difendersi. Porta occhiali che si appannano inesorabilmente. Tende, com’era prevedibile, ad assumere mentre parla il leggendario e drammatico “accento svedese”. (indie pop inglese, insomma i miei dischi)

Autoprodotta. Di necessità, virtù. Ma anche vezzo bricolage riciclista. Coppe di reggiseno, sciarpaggi Tuareg, scaldacollo in pile urticante issati sulla bocca e fissati dietro con molletta, assorbenti ritagliati, pezzi di stoffa d’ogni sorta ricamati come fossero centrotavola barocchi. Vale tutto. (Reaggae terzomondista di sottofondo).

Affronto Carnevalesco. Situazionisti Cazzari & Spritosonen Of The World. Mascherina di Zorro, quella elegante da damina veneziana (esula però da questo contesto quella da Medico della Peste, con la canapia oblunga: appropriata e di gran classe storico citazionista), ogni sorta di maschera carnevalesca acquistata in cartoleria (tipo scimmia, Ronald Reagan, Hulk, Uomo Ragno, Carlo Conti…) (Elio e le Storie Tese di sottofondo)

questi direi, per sommi capi, gli scenari possibili. E non abbiamo ancora parlato dei guanti.

Comunque

https://www.youtube.com/watch?v=EHdYhG7UWoM

(non ho saputo resistere)

ma anche

https://www.youtube.com/watch?v=VaeUJjy87Ik

masquerade

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Backdoor Antivirus 30

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Backdoor Antivirus 30

Lo so, è l’Antivirus numero 30. Un mese. Sembra di più?

Per festeggiare abbiamo un ospite d’eccezione: Francesco Farabegoli.

Ho la fortuna di scrivere con lui su Rumore https://rumoremag.com/

Ho letto (e rileggo ogni tanto) il suo blog http://www.bastonate.com/

E vi invito nuovamente a iscrivervi alla sua Bastonate per Posta http://www.bastonate.com/bastonate-per-posta/

Mi piace quello che scrive, ma soprattutto come lo scrive. Ho imparato molto da lui e gli sono debitore, soprattutto perché a inizio quarantena mi ha mandato la ricetta per fare le piadine in casa. Riceverla da un romagnolo ha un che di sacrale.

Ci “sentiamo” abbastanza spesso, con il privilegio lessicale di dirci cose incomprensibili ai più.

Non abbiamo mai scritto nulla insieme, anche se direi che, forse inconsapevolmente, quando iniziamo a mollare gli ormeggi formali e sbrodoliamo concettualmente, tendiamo ad assomigliarci. O almeno così mi piace pensare.

Quindi questo è un esordio ed eccoci insieme, in un breve back to back.

Il back to back è una pratica diffusa nel mondo dj. Si suona contemporaneamente, un pezzo a testa.

È un sfida di stima.

Quindi, that’s Farabegoli & me

(parte lui)

IL DOPPIO MENTO

Lo specchio di casa ha un lato di umanità che spesso non siamo disposti a riconoscere. Lo specchio ci rimanda un’immagine approssimativa di noi stessi nella quale abbiamo imparato a riconoscerci e in una certa misura accettare -voglio dire, non è che ci sia una gran scelta. Non credo fossimo pronti al deformarsi dei nostri visi addosso alle immagini sgranate lo-def che siamo costretti a spargere in giro per il mondo in questa teoria di videoconferenze.

Certo, siamo entusiasti che si possa rimanere in contatto. Ho visto più spesso i miei compagni di bevute nell’ultimo mese di quanto li abbia potuti vedere negli ultimi tre anni. Parte la videoconferenza e la webcam mi inquadra impietosa, dal basso verso l’altro. La barba ispida segna due righe su un doppio mento improponibile, il naso storto scombina le proporzioni del viso come un quadro di Picasso, la luce dei LED sui vestiti comodi che usi quando sai di non dover uscire ti ritrae con una spietatezza che al confronto Dogma 95 sembrava James Cameron. La tecnologia è supposta unirci, ma in realtà al momento unisce più che altro i surrogati made in Taiwan di noi stessi.

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IL RIPORTO

A parte una breve pausa, sono sempre andato dallo stesso parrucchiere. Negli anni fedele. Drammaticamente, i due proprietari hanno venduto qualche mese fa. La nuova proprietà ha diversi negozi, un brand, ma anche arredamento e velleità hipster barbute. Impaurito, ci sono andato comunque. Chi mi ha tagliato i capelli, evidentemente, “aveva delle idee”. Dopo anni di sforbiciate con la radio che trasmetteva Morandi e i New Trolls (quel concetto di “Radio Nostalgia” soverchiante l’umano) sono uscito da una mezz’ora di trap di classe con una specie di taglio post punk perpetrato da mani legate a un cervello ignaro di cosa il post punk fosse. In sostanza qualche rasata in più sui lati. Ma anche l’agghiacciante sensazione che mi avesse pettinato come uno che necessitava di un effetto riporto .Tutti i capelli spinti un po’ in là, a coprire. Ne avevo bisogno così tanto? (sono domande che ti mettono di fronte a risposte dolorose. Attendo con terrore questa specie di app per cui sapremo se stiamo incrociando un infetto. Una delle domande mi pare sia -Sei sovrappeso?-). Comunque poi le cose sono andate come sappiamo e io mi trovo una pettinatura scomposta con accenni di riporto. E mi domando se sia evidente nelle videoconferenze, se devo stare con il mento alto per dissimularlo, se la gente che mi guarda sospetti che io possegga anche un borsello anni 70 in pelle di ratto dove conservo sigarette e tagliaunghie. Il continuo mostrarsi attraverso i diafani collegamenti web è un esercizio di introspezione e realismo estetico al quale dovevano prepararci meglio e con un certo anticipo.

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JO

Il vincitore morale del girone di andata di questo periodo forzato di quarantena è una popstar dimenticata di fine anni ottanta che si fa chiamare Jo Squillo. Qualche giorno fa ha iniziato a fare djset in diretta sul suo canale instagram. Diversamente dagli altri (numerosi) set di dj più o meno famosi e rispettati, il djset di Jo Squillo è inteso essere una ragionevole versione in scala di una serata a ballare nel più compromesso villaggio vacanze del bacino mediterraneo. Il set consiste in Jo Squillo che balla senza sosta e urla slogan di stampo anarcoinsurrezionalista -rivoluzione, celebrare la vita, movimento di liberazione, brilliamo e amenità simili. Davanti a lei una consolle a cui presta saltuariamente attenzione, come un dj vero e proprio. Dietro di lei un impianto luci casereccio, una mirrorball, due manichini che chiama per nome (Michelle e Valentina), drappi leopardati e altri ammennicoli a caso. Le prime volte che mi ci hanno invitato dentro erano dirette da un paio di centinaia di spettatori, ma nel giro di un paio di giorni si sono allargate al giro degli influencer di lusso e sono trasformati in bolge dantesche da decine di migliaia di viewers. Le persone commentano in diretta, ordinando una bottiglia di Dompe al tavolo VIP e si lamentano che le scarpe col tacco iniziano a far male ai piedi. Le selezioni sono variazioni sul tema di un Deejay Time trasfigurato al secondo grado, a cui ogni tanto piove addosso qualche goccia di presente (niente di lontanamente rispettabile, il che comunque è positivo, e se c’è bisogno di una pausa puoi silenziare un secondo e piazzare un pezzo degli Spokane senza far male a nessuno). Jo Squillo, a dispetto dei 57 anni sulla sua carta d’identità, è un effetto speciale vivente: molto più in forma di me, balla per un’ora senza dar manco l’idea di sudare. Il trucco non sbava di un filo e il suo girovita è davvero notevole. Dentro ai djset di Jo Squillo confluiscono così tanti elementi culturali a caso da farlo sembrare una monumentale opera di performance art interattiva la cui portata, completamente sfuggita di mano alla sua ideatrice, potrebbe essere uno dei momenti più iconici del presente. Oppure no, è una zona grigia. Non credo che la maggior parte dei partecipanti abbia la minima intenzione in principle di pagare 5 euro per essere presente ad una serata del genere, anche se d’altra parte non è irragionevole pensare a Jo come a una possibile superstar dj negli eventi mondani che seguiranno il cataclisma. Poetico, per certi versi. Per altri versi no.

jo-squillo-il-dj-set-su-instagram

ELIZABETH

Io sono uno che ha sinceramente apprezzato il discorso della Regina Elisabetta, sono quel tipo di fenomeno lì. Non provo interesse per la monarchia, non sono indebolito emotivamente dalla quarantena e, solo in parte, sono rimasto ipnotizzato dal verde Wimbledon al giorno d’apertura del suo abito. Però ho una passione per le persone che durano, impassibili (forse, chissà) ai vuoti che gli si aprono intorno. Soffro della Sindrome di Paul McCartney. Amo la fissità facciale ed emotiva di Elizabeth, il decoro alla Buster Keaton (e anche vagamente di mia nonna Vittorina), ma soprattutto, la scelta dei vocaboli, la potenza espressiva massima di quelle frasi dette con quell’accento. “A time of disruption”, per dire, non sarebbe un titolo magnifico per un album cruciale della Dischord fine anni 90? E “United and resolute then we will overcome it” non lo vedete già scritto sulla cover di una raccolta punk h/c (o beffardamente su un bootleg di Billy Bragg?). Ma il top emotivo l’ho raggiunto con “le doti di autodisciplina e tranquilla risolutezza condita di buon umore che ancora caratterizzano questo Paese”. L’Inghilterra è tutta lì e Lei, che non mette il regal naso fuori da non so quando, lo sa bene. Un esempio zen bonsai tra XTC e Bernard Shaw. La meraviglia di quell’“ancora”. E poi la chiusura con “We Will Meet Again”, la canzone di Vera Lynn che diede speranza a molti soldati al fronte durante la Seconda Guerra Mondiale. Una chiara citazione collettiva da parte di Her Majesty, che chiama a raccolta Roger Waters di “The Wall” (“Qualcuno qui ricorda Vera Lynn?”), Byrds (la loro versione in chiusura dell’esordio “Mr.Tambourine Man”) e Johnny Cash (cover di chiusura di “American Recordings IV: The Man Comes Around”). Tutto evidente. E poi la finezza di citare in chiusura una canzone di guerra ribaltando la sequenza di “The Queen Is Dead” degli Smiths, dove il brano omonimo si apre con un campionamento di “Take Me Back To Dear Old Blighty”, vecchia canzone dell’esercito inglese. La consapevolezza assoluta. Elisabetta compirà tra poco 94 anni ed è da settimane in isolamento nelle sue stanze del castello di Windsor, con la sola compagnia del principe Filippo, di due paggi e della fidata cameriera.

The Queen is not dead, boys. And she isn’t so lonely on a limb

regina_elisabetta_discorso_coronavirus_uk

e quindi

https://www.youtube.com/watch?v=xvQAOu7k34o

ma anche

https://www.youtube.com/watch?v=sT0-OkIl0Dw

 

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Backdoor Antivirus 29

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A ripensarci ora, a interpretare col senno del poi certi indizi, i segnali dell’Apocalisse c’erano tutti.

Siamo stati noi non abbastanza lucidi da saperli cogliere, da riuscire a decriptare l’allarme che contenevano nel loro involucro.

Pensateci.

Colgo l’occasione per riportare una mini carrellata. 7 come i Cavalieri, appunto, dell’Apocalisse. Alcuni sono miei, altri mi sono stati riportati. Per una questione di privacy (si dice sempre, in particolar modo quando sta per essere violata) non specificherò quali.

Ecco

1) La mia vicina di casa ha smesso di dire “dev’esserci qualcosa nell’aria”.

-analisi a posteriori: frase fatta tipicamente utilizzata per spiegare qualsiasi tipo di problema, dal nervosismo delle nuore alla perdita di sapore dei pomodorini da insalata. L’interruzione di questo mantra incontrovertibile testimonia che, infatti, qualcosa nell’aria era arrivato davvero il. Coronavirus.

2) Mi è cascato davanti, sul balcone, un pipistrello.

-analisi a posteriori: maledetto ratto volante, causa di ogni male. Pongo solo dei dubbi, alla fine è stato davvero lui a scatenare ‘sto casino? Ma soprattutto, qualcuno ha mai visto cascare bello duro un pipistrello dall’alto? In ogni caso, Batman o meno, è una chiara annunciazione di. Coronavirus.

3) L’improvvisa cessazione delle promozioni di Poltronesofà

-analisi a posteriori: considerato che i tanto adorabili Artigiani della qualità sono perennemente in televisione con un’offerta in scadenza dopo 24 ore, la loro assenza è indice di una soffiata. Quindi qualcuno “sapeva”. E ha avvertito per tempo Servizi Segreti, proprietari di seconde case e, ovviamente, quelli di Poltronesofà. Che così si sono mossi in anticipo sul. Coronavirus 

P.S. Temo siano tornati, comunque.

P.P.S. Quindi, chi è che conta davvero in questo Paese?

4) L’aggressione della ciabatta

-analisi a posteriori: stavo prendendo la borsa del tennis e, dallo scaffale delle cose dimenticate, è cascata una ciabatta che mi ha colpito dritto in fronte. Precisa, lì. Chiaro, come a dire “ficcatelo in testa, ecco la Regina dei prossimi giorni. No escape. Te le puoi scordare le Clarks, a comandare sarò io”. E grazie al. Coronavirus.

5)  Madre, che sei Madre

-analisi a posteriori: una domenica mattina la televisione era distrattamente accesa su un programma di agricoltura e cibo biologico (e sagre di paese con donne che frullano pietanze come rotative). Esattamente quando una valchiria del Centro Italia tesseva le lodi del lievito madre custodito e tramandato da generazioni come il singolo “Love Me Do” (prima stampa inglese) dei Beatles, un black out improvviso ha interrotto l’emissione di corrente elettrica. Un sovraccarico dovuto a forno, lavatrice e lavastoviglie all together oppure un chiaro avvertimento apocalittico, tipo “sarà il lievito madre l’unica risorsa che ti salverà dal dover uscire per comperare pane, pizza, torte, focacce et simili” e quindi ammalarti per colpa del. Coronavirus.

6) L’annuncio della reunion live dei Genesis

-analisi a posteriori: dissento, ma capisco che il nome e la minaccia di un tour globale pop prog vada giustamente interpretato. Poi, ognuno ha i suoi. Personalmente, se avessero ufficializzato il comeback degli Europe avrei infranto ogni divieto e sarei corso dall’esorcista implorando che mi proteggesse dal. Coronavirus.

7) La scomparsa delle pagine 230-249 del Televideo

-analisi a posteriori: il segnale definitivo dell’approssimarsi della Fine. Già sotto le vacanze natalizie le pagine che seguono la leggendaria 229 (Brevi di calcio. Per dire, ieri flash sulla Supercoppa del Tagikistan e sulle sanzioni previste per Kyle Walker, terzino del Manchester City, reo di aver organizzato un festino a luci rosse in casa sua nonostante la quarantena) erano out. Le pagine che informavano, quotidianamente e in rigoroso ordine alfabetico ci terrei a precisare, ogni notizia da Atalanta a Udinese (il Verona sta, correttamente, sotto la H di Hellas Verona) sono improvvisamente evaporate. Al loro posto, ancora oggi, un doloroso ed enigmatico “Servizio Attualmente Non Disponibile”. Ora, cercate di essere più precisi, cortesemente. Insomma, “Attualmente” davvero o mai più? Queste cose vorremmo saperle, che viviamo già appesi a un filo per colpa del. Coronavirus.

Era tutto lì, davanti ai nostri occhi. Non possiamo dir di no.

https://www.youtube.com/watch?v=-mnH9-SX2Tg

cigarettes-after-sex

televideo

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Backdoor Antivirus 28

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innanzi tutto fate partire questo

https://www.youtube.com/watch?v=w4kG5Nb8pQo

baker-evans

Poi.

Ho sempre pensato che le cosiddette Pubblicità Progresso fossero sempre poco veritiere e di scarsissima efficacia.

Edulcorate, poco realiste, inutili nella maggior parte dei casi. Frasi roboanti e inesatte.

E le parole contano.

Adesso gira con insistenza “Distanti, ma uniti”. E non mi piace nemmeno questa.

La frase corretta sarebbe “Da soli, insieme”. “Alone Together” appunto, come Chet Baker e Bill Evans, due che dalla vita hanno preso colpi e ferite inenarrabili, ma che mai (MAI) hanno perso una goccia di dolcezza ed eleganza.

Anche quando erano a pezzi, percossi, massacrati dalle droghe e dai pugni, il tocco dei loro strumenti era un dono.

Chet Baker senza denti, frantumati da uno spacciatore venuto a riscuotere invano i suoi crediti, e costretto a smettere di suonare. Troppo dolore. Chet Baker che per sopravvivere lavora a una pompa di benzina, dove un giorno lo riconosce Dizzy Gillespie, che gli paga una dentiera e lo spinge a ricominciare, faticosamente, piegato a uno stile contratto, diverso.

Bill Evans cresciuto tra gli abusi e la violenza, che trova riparo nella musica. E poi crolla dopo che il suo musicista e amico Scott LaFaro si schianta in macchina tornando a casa, di notte. Si abbandona all’eroina, nonostante questo lo costringa talvolta a suonare il pianoforte con una sola mano.

Condannati a una vita di solitudine e miseria interiore, insieme sono magia. Purezza cristallina.

La malinconia eletta ad arte, in musica, non ha prezzo.

E la malinconia issata a bandiera emblema del nostro stato (Stato, status) è l’esercizio di massa odierno, in un momento in cui è bene essere separati, ma è altrettanto necessario attribuire a questo gesto il peso che merita.

Ancor di più oggi che è domenica, in cui possiamo essere, da vecchio calendario emotivo, ragionevolmente più stanchi e chiusi al mondo.

Non c’è niente di male a isolarsi ogni tanto. Per costrizione o scelta, non importa.

Anzi. L’importante è coglierne il significato.

 

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Backdoor Antivirus 27

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In molti, in questi giorni, mi scrivono per sapere come vanno le cose e chissà quando riapriremo, poi spesso, con quel misto di affetto e timore che caratterizza ogni gesto nei suoi confronti, mi domandano: “E il Signor Franco, come se la passa?”.

Chi frequenta Backdoor, non ha bisogno di ulteriori delucidazioni sul Signor Franco, conosce bene il suo fascino tarpéo, la sua rudezza agognata come doccia di purificazione, le vestigia da Sindrome di Stoccolma meets carezza da gatto a nove code. Piace alle donne death metal, che gli chiedono l’autografo. Intimorisce ed attrae. Ci si rivolge a Lui come ad Hammurabi, in cerca di un giudizio, sicuri di una condanna.

Agli altri, ancor vergini di Esso, un piccolo estratto dal mio “L’ultimo disco dei Mohicani”, in cui cerco di “spiegarlo” tramite un esempio onirico. Eccolo:

“Alcuni somatizzano il terrore che incute loro. Un nostro cliente andò in Messico e decise di fare un’esperienza sciamanica. Venne introdotto al vetusto saggio indio su un altopiano spazzato dal vento. Rimase a digiuno per quasi due giorni, quindi sotto la guida del guaritore ingerì una certa quantità di peyote. Cominciò ad avere delle allucinazioni spaventose, era attaccato da bestie feroci: tigri, serpi, iene, coccodrilli. In mezzo a loro distinse con chiarezza il volto di Franco. Non so se mi spiego”.

Bene. Quindi, per rispondere alle vostre legittime apprensioni sul Signor Franco, ho pensato che intervistarlo fosse la mossa più sensata. Vogliate gradire.

Come stai?

“Sto bene, grazie. Molto riposato”

Quindi non sei nervoso? (Se sì, per colpa di che cosa?)

“Avrei più di un motivo per esserlo. Non posso andare a correre. Da solo. Lontano da tutti.  Non reggo più la metafora della guerra (campo di battaglia, prima linea, eroi, trincea, nemico). Mal sopporto la stucchevole retorica sul virus che ci sta insegnando tante cose, che cambierà la società, che ci renderà delle persone migliori. Però non sono nervoso. Atarassia”

Com’è la routine della tua giornata?

“Mi alzo intorno alle 10. Dopo colazione pianifico gli ascolti della giornata.

Il primo giorno di Iorestoacasa non è stato difficile.

“Stanze”, Massimo Volume. “Songs From A Room”, Leonard Cohen. “Stanze di vita quotidiana”, Francesco Guccini. “Il cielo in una stanza”, Gino Paoli. “A casa tutto bene”, Brunori Sas.

Un giorno mi sono dedicato agli autori che hanno nome e cognome con la stessa lettera iniziale. Albert Ayler, Billy Bragg, Caterina Caselli, Federico Fiumani, Janis Joplin, Mia Martini, Piero Piccioni, Sufjan Stevens.

Oppure immagino di essere all’inizio degli anni 80, quando ho aperto il negozio, e allora tutto il giorno girano Cure, Siouxsie, Joy Division, Clash, Cramps, Dead Kennedys, Bauhaus. Poi resto in attesa dell’antivirus di Backdoor. Leggo molto. Libri e approfondimenti vari. Newsletter e articoli che mi vengono segnalati. Naturalmente mi dedico anche al ménage familiare. Ho risistemato la cantina. Ho messo mano ai libri riorganizzando alcuni settori. Ho razionalizzato CD e DVD. Passato l’aspirapolvere, sbucciato i piselli”.

guccini

Ti manca il lavoro?

“So che mi aspetta dietro l’angolo, ora faccio conto di essere in vacanza”.

Ti mancano i clienti?
“Backdoor nel corso degli anni ha beneficiato di una sorta di selezione naturale darwiniana per cui c’è stato un aumento di individui con caratteristiche ottimali. Solo i migliori sono sopravvissuti. Sì, i clienti mi mancano”.
In qualche modo te la stai godendo (tipo bevi molto e che tipo di vino?)
“Sì, in qualche modo me la sto godendo. Prove tecniche di pensione. Bevo il giusto. Ora sono all’opera un Fiano Asterias di Tempa di Zoè e un Montepulciano d’Abruzzo Marchesi Migliorati. Pronti ad entrare in campo Tufaie Soave Superiore e Pinot Nero Serafini & Vidotto”
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Giochi a bridge (e se sì, hai piazzato qualche Colpo di Vienna)?
“I circoli sono chiusi e i campionati sospesi, se non annullati. Anche il bridge si è spostato tutto on line. Ci sono tornei tutti i giorni e a tutte le ore. Gioco due o tre volte a settimana. Nessun colpo di Vienna, ma ho realizzato un bel contratto eliminando i colori laterali e mettendo in mano il mio avversario di destra. A questo punto è stato obbligato ad uscire in taglio e scarto oppure a buttarsi nella forchetta del morto. Spero sia chiaro”.
jacoby
Chiarissimo, certo. Veniamo a te con qualche suggerimento culturale. Ci daresti qualche tripletta su libri, dischi e film?
“LIBRI:
“Filologia dell’anfibio” di Michele Mari
“Spillover” di David Quammen
“Frattura” di Andrés Neuman
spillover
FILM:
“Father And Son” di Kore-Eda Hirokazu
“A spasso con i fantasmi – Un viaggio nella Torino dell’800″ di   Enrico Verra
La Favorita” di Yorgos Lanthimos
la-favorita

DISCHI:

“Brown Rice” di Don Cherry

“Selected Ambient Works 85-92” di  Aphex Twin

“Kiwanuka” di Michael Kiwanuka

aphex

 

Molto bene, grazie. Nell’accomiatarci, ti chiederei un consiglio di saggezza finale.

“Siamo tutti nell’intrattenimento”.

siamo-nell

https://www.youtube.com/watch?v=fb_S4aWI6Og

kiwanuka

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Backdoor Antivirus 26

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Io sto agli agnolotti come Braccio di Ferro sta agli spinaci.

Quindi ieri sera..

agnolotti

Satollo e goduto, confido finalmente di dormire.

Niente. Assolutamente niente sonno. Capita anche a voi? Un riflesso dell’overdose domestica? Non cammino più e per questo l’altra notte ho sognato che ero di nuovo in caserma, a “fare il militare”?

Dopo un po’ mi arrendo, sono le 3,18. Backdoor, timidamente, prova a muoversi e ci sono un buon numero di spedizioni. Quindi, da cittadino modello quale sono, preparo la mia autocertificazione. Di sicuro a quest’ora mi fermeranno a un posto di blocco.

certificazione

Sono dodici giorni che non metto “il becco” fuori di casa. L’aria fa uno strano effetto.

Salgo in macchina: l’orario di partenza per il lavoro scatta alle 3:54. Esattamente l’ora in cui si va a funghi, o si partiva per le vacanze nel 1976. Farlo per andare a impacchettare il nuovo vinile di Stephen Malkmus è francamente bizzarro. Ma vado.

partenza

 

Come sempre la musica offre spunti di straordinaria saggezza.

Qual’è la prima canzone che parte, dopo la mia cattività di quasi due settimane?

alex-c

Esatto. Free Again. Interpreto il segno di Alex Chilton come una protezione assoluta. Non posso fallire.

Così, ebbro di tanta libertà (che poi, a dirla tutta, io a casa stavo benissimo…) mi butto nel cuore della città deserta.

strada-vuota

Strano, ancora nessun posto di blocco. Ok, lo ammetto, vorrei tanto che mi fermassero. Ho compilato l’autocertificazione con una quantità di dati e precisazioni (dalla visura camerale al voto dell’esame di terza media) che mi piacerebbe poterla sfoggiare. Ma niente. Azzarderei che sono l’unico fesso in movimento in città. Mi guardo in giro, tutto è vuoto e immobile, poi all’improvviso realizzo che sono spariti tutti i monopattini dalla circolazione. Poof! Evaporati. Grazie Alex Chilton, sub signo vincimus!

Comunque raggiungo l’amabile Via Pinelli e il totemico profilo di Backdoor che si specchia su Piazza Barcellona, la notoria “Piazza che non c’è”. Il mercato è transennato, per contingentare gli accessi. La misura è indirizzata soprattutto a regolare la ressa infrangibile di chi va dalla Formaggiaia, vanto e presidio gastronomico locale.

piazza-barcellona

Entro in negozio e mi fa uno strano effetto, come succede a tutti i luoghi un tempo familiari che ora ti domandi “sono sicuri?”, “posso starci come ci sono sempre stato?”.

negozio

Lo guardo così vuoto e, a differenza di quando ci vengo non in orario di apertura o subito dopo le vacanze, un po’ mi rattrista. Mancano i giudizi sugli acquisti della settimana precedente, il giro turistico delle novità, quelli che si intrufolano per caso, con la faccia da Bennato e che poi comprano i Death In June (può succedere), i padri e figlio metallari (questione di gruppo sanguigno), le coppie con la busta della verdura e un usato di jazz che poi infilano tra il sedano e la catalogna. Non ci sono le persone, è ovvio. Chissà per quanto ancora. (Ma non mi mancano per niente quelli che pestano la merda di cane con le scarpe con la suola a carrarmato, in verità. E nemmeno quelli iscritti al fan club di Bon Jovi, che esistono eccome).

Nonostante tutto non mi faccio intimidire, anzi. Dalla mia ho una mascherina post punk in edizione limitata (almeno credo, con download incluso mi auguro), tra In The Flat Field e Unknown Pleasures.

mascherina-post-punk

Lo sguardo è un po’John Lydon periodo “Flowers Of Romance”, me ne rendo conto. Ma io ho un lavoro da compiere e non sono nemmeno le 5 di mattina. Per rispetto ai good old days collettivi e, soprattutto, ai vicini che dormono, non metto nessun disco sul piatto. Attacco i pacchi e divido i Malkmus con la perizia silenziosa di un ninja carbonaro.

Qualche ora dopo, è fatta.

spedizioni

Mi rivesto da Mascherato finto black block che nemmeno Adam Ant oggi, e sono pronto per tornare a casa e ri-tuffarmi in clausura domestica.

visuale-mascherina

Dovremo abituarci a questa specie di mutanda trapezioidale per un po’, temo. Tra l’altro la mia ha un odore inquietante, tipo pelo di cammello. Si piazza nelle narici e non va più via. Niente male. E poi quando toglierò i guanti avrò di sicuro le mani di Topolino, enormi rispetto al corpo. Magari ci cuocio le piadine in mezzo e capitalizzo i risvolti inattesi dell’abbigliamento protettivo.

Però so che ce la faremo. Nei pacchi che stanno partendo (thank you, boyz!) ci sono veri generi di prima necessità. Sicuramente di conforto. Tranquilli a casa, i vostri dischi stanno arrivando. Tenete duro, siamo abituati alle bellezza non lineare, all’imperfezione che luccica, al dorato tra la polvere. Ahia. Mi son fatto prendere la mano e sento che dovrei dire qualcosa di parzialmente definitivo.  Il momento è quello. E allora penso che

I giorni sono come una canzone di Malkmus, belli perché storti, fatti di vento in faccia mentre scordi la chitarra, di camicie che son state eleganti e scarpe da ginnastica bianche che sei riuscito a sporcare il primo giorno…

(Aiuto. Pessima, lo so. Ma, have mercy on me, non ho dormito molto, e questo è il mio grado poetico massimo disponibile per oggi, possiate perdonarmi)

https://www.youtube.com/watch?v=KmPM0dVtNhE

malkmus2

vetrina-back

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Alla fine ne resterà uno solo. E non sarà Highlander.

La sua durata non dipende da una particolare dose di forza o di astuzia.

Semplicemente viene dimenticato, rimane tra il novero delle remote possibilità grazie a una certa noia, preservato da una pletora di “no, basta davvero”. La sua esistenza è garantita dal fatto di essersi spinto oltre i limiti temporali entro i quali la sua significanza ha valore. Scavalcati quei bastioni, perde ogni desiderabilità, si tramuta in follia atemporale, “ischerzo” da calendario, anomalia domestica, monolite da Odissea 2001 in scala ridotta e arrotondata.

È il panettone.

Bisognerebbe scomodare un esperto di statistica per comprendere come mai, inesorabilmente, a fine gennaio un simpatico monster di uvetta e canditi si aggiri ancora tra le mura di famiglia. Come possiamo aver sbagliato i calcoli? Sarà il regalo di quel pool di geometri arrivato all’ultimo? Tua zia Renata? Un malintenzionato che è venuto a cena e ce l’ha infilato di nascosto dietro ai pelati e ai ceci in scatola? Difficile stabilire delle responsabilità, ma Lui c’è.

Fuori dal perimetro natalizio, diventa oggetto di riti pagani dal dubbio risvolto ironico. Per dire, un amico ci ha raccontato di come nella spiaggia che frequenta d’estate, a ferragosto, venga tagliato e distribuito tra una folla di balneanti divertiti e partecipi. Una neo tradizione dal retrogusto satanico.

Un mio conoscente, che sperimenta da anni una linea di vita ben oltre il borderline, attende con ansia il giorno in cui al supermercato li mettono tutti all’ingresso, impilati piramidalmente, a 1 euro. Incurante di eventuali scadenze, ne acquista una dose buona per fare colazione almeno fino a metà settembre. Risparmia e, come da suoi precisi desideri, può continuare a fare un beato cazzo per i giorni a seguire.

Ovviamente ne ho uno anche io. Mi era stato intimato di portarlo via, ma da astuto volpone quale sono, l’avevo nascosto nell’armadio dietro le camicie, insieme ai vinili fatti entrare con un corridoio umanitario e in attesa di poter esser sistemati all’onor del mondo (dove? bo?).

A me il panettone piace. Mandorlato o basic. Industriale. No cioccolato, zenzero, spuma di prosecco o anomalie genetiche similari.

E sto finendo le fette biscottate ai cereali, anche il Biscotto Salute (quintessenza del Piemonte Breakfast). Persino delle specie di mini canoe al farro. E non vorrei uscire per la spesa.

Quindi indovinate un po’ che cosa inzuppo domani mattina nel mio tè fumante?

E, soprattutto, chi è il vero sopravvissuto di noi due?

https://www.youtube.com/watch?v=Qiy_PxAstpE

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panettone

 

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Backdoor Antivirus 24

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Smart Stocazzo.

mi sono già espresso sull’impossibilità di negarsi di fronte a suggerimenti o richieste paracadutate addosso in questi giorni.

Ma chi lavora da casa in modalità “smart” inizia a dare segni di squilibrio evidente.

Direi che soprattutto la necessità di seguire corsi per sapere come lavorare da casa in smart, sia una delle torture più praticate. Sostanzialmente fai una cosa nel modo in cui quello che stai facendo dovrebbe insegnarti a fare (ginnastica linguistica oltre Bartezzaghi).

Poi gli orari, immagino dipenda da uno smart working aziendale o in proprio (tipo “professionisti”), ma a me non pare molto smart il fatto che anche quando va in onda “Sorgente di vita” (Rai2 01:05) ci sia ancora qualcuno che discute di fatture. E poi come fai a essere così smart da stare sul computer mentre magari tua figlia ti tira una gamba o c’è il sugo da girare? Quando si stacca sul serio? Mai? Sì, credo mai, anche perché uno in questi giorni non può nemmeno spegnere il cellulare, che poi i genitori, gli amici, gli affetti distanti. E allora suona, suona, suona. E bisogna ovviamente rispondere. “La disturbo?”. “Ma no, si figuri”.

E poi come si discute con i clienti/colleghi? A che volume? Perché va detto, la gente che sta in smart working urla. Urla come uno stormo di aquile con Burzum che le insegue con l’accetta. E tu non puoi nemmeno dire “Puoi abbassare sta cazzo di voce, che sto cercando di ascoltare un disco in santa pace?”. Perché chi sta in smart, ovviamente, di pace ne ha poca, non come te che non fai mai una mazza. E se sussurrasse o parlasse come un essere umano medio, farebbe allora la figura di uno che non sta lavorando davvero? I decibel testimoniano una maggiore aderenza impiegatizia? Mistero.

Cosa è smart poi? Il termine si utilizza quando “si vuole alludere all’intelligenza e alla capacità di una persona di fare le cose bene e in fretta, magari con quel pizzico di “problem solving” che possiede in più degli altri”.

Il che mi fa supporre che Mr.Wolf di Pulp Fiction fosse lo Smart Worker per eccellenza.

Poi smart dovrebbe significare anche “agile”. Sì? Ma se mediamente a fine giornata si hanno la chiappe a quadri, per quanto si è stati sulla sedia. O no? Rimpiangete i colleghi? La macchinetta del caffè? I tragitti casa lavoro e ritorno (che almeno lì c’era qualche minuto di decompressione)?

Non saprei, io non faccio testo, ma sappiate che avete la mia solidarietà.

Io entro in smart verso mezzanotte, quando tutti sono a dormire. Cuffie, vinile. Per dire stasera ho in programma una bella nottatina Library. Colonne sonore italiane anni 60/70, musiche composte per la televisione, samba, lounge pop, jazz erotico (che categoria, il jazz erotico), Morricone, Femi Benussi, Erika Blanc, Carmen Villani, le vacanze in Versilia, i motoscafi Riva. Insomma, ci siamo capiti. Dal momento in cui la puntina tocca il vinile entro in modalità Smart.

Smart Dreamin’

https://www.youtube.com/watch?v=XaxlLZC7gpY

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Backdoor Antivirus 23

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Backdoor Antivirus 23

L’Antivirus di oggi è più lungo del solito, ma spero abbiate voglia e tempo di leggerlo tutto.

Abbiamo un ospite: Angelo.

Un amico e un cliente di Backdoor (non solo, direi un protagonista di uno dei momenti più memorabili della storia di Backdoor, come leggerete). Ha fatto tutte le “nostre cose”: radio, scrittura musicale, lavori in un locale dove si suona dal vivo.

Da anni vive a Berlino, ed eravamo curiosi di sapere come fosse la situazione lì.

Quindi, come si suol dire, “direttamente dal nostro corrispondente a Berlino”…

Ciao Angelo, da quanto vivi a Berlino e perché.

Ho visitato Berlino per la prima volta nel 1999 ed è stato un banalissimo amore a prima vista. Appena sceso dal bus, mi sono guardato intorno e mi sono sentito a casa, anche se, o proprio perché, ero arrivato allo Zoo. QUELLO ZOO (Zoologischer Garten). Ho annusato gli odori (merda di elefante e salsiccioni alla griglia) e ho sentito “qualcosa”. Forse era solo colpa delle venti ore di bus, ma per il mio carattere sabaudo era già un’enormità. Con le altre città visitate non era successo.

Da quella volta ci sono tornato due o tre volte all’anno. Tutti gli anni. E ogni volta ho trovato una città diversa. In meglio e in peggio, ovvio. Mi sono sempre sentito bene a Berlino. Mi sono sempre sentito parte della città. E in contemporanea cresceva il mio malcontento per l’Italia prima, e poi, purtroppo, anche per Torino. O meglio, non per Torino città (che adoro). Ma per il maelstrom decadente che ha risucchiato tanta, troppa, davvero troppa gente. Non era più la comunità e la società in cui ero cresciuto. Non mi sentivo più a mio agio. Non parliamo del lavoro poi…
Nel 2005 chiude squallidamente da un giorno all’altro la radio dove lavoravo. Mi passa anche la voglia di lavorare a Spazio211 (che Dio lo benedica) e pian piano anche l’entusiasmo di scrivere per Rockerilla va scemando. Vado a vivere un anno a Parigi e vedo solo la vita che passa fuori dalla finestra perché al di là dalla portata delle mie finanze.
E allora nel 2006, alla fresca età di 30 anni, decido di andarci davvero a Berlino, grazie ai soldi guadagnati sgobbando per i XX Olympic Winter Games. Un anno di bellissime esperienze, ma anche un bel po’ di traumatiche sberle in faccia (dopo un anno non ero più “fresco” per niente). Cinque traslochi, un lavoro in una ditta che fa bancarotta per troppa festa. A volte eccessivo entusiasmo, a volte non uscivo di casa per settimane e altre varie ed eventuali… Dopo dodici mesi mi ritrovo in questa situazione: lavoro finito, papà che si ammala, la solita nostalgia per gli affetti e gli amici. Torno a Torino.
Ma.
Nel 2014 Berlino ripiomba nella palude del mio tirare avanti da disperata e inutile partita iva: papà finalmente riposa in pace (sette cazzo di immeritati anni di distruzione e annullamento della sua persona) e la mia compagna, dopo eoni di sfruttamento all’Università, trova un lavoro a Potsdam (la Venaria Reale berlinese). Un solo curriculum mandato, lavoro ottenuto in tre giorni. Solite cose: molti più soldi, prospettive, una nuova avventura a Berlino. Molliamo tutto in due mesi, pure la casa e i mobili comprati solo due anni prima. Tutto no, i gatti li portiamo con noi.
Ed eccoci ancora qui dopo sei anni, tanti tanti tanti corsi di tedesco dopo e due figlie berlinesi.
Prima di finire sto pippone, ci tengo a sottolineare che continua la fluida metamorfosi di Berlino. Con derive inquietanti, in direzione Parigi, Londra e Milano per capirci, ed è un peccato. Anzi è proprio una stronzata. Di Berlino si diceva che fosse giovane, povera e sexy. Ecco, appunto. Quella è stata la sua fortuna e la sua poesia. Ora sembra che abbiano deciso di metterle il tacco 12 e di truccarla da escort berlusconiana. Just my 2 cents: Berlino dal tacco 12 ci cade e si fa male. Come Amy Winehouse. In ogni caso, e nonostante sia il peggiore anno della storia recente, se mi chiedi “a Berlino, che giorno è?” io felicemente posso ancora rispondere: “Boh? Credo sia sabato sera”. Ecco perché (per ora almeno) ci resto a vivere.
Immagino sia anche tu in isolamento. Da quanto sei chiuso in casa?
Oggi, mentre scrivo, è il diciassettesimo giorno di clausura per noi quattro: io, la mia compagna e le bimbe. Rispetto alle ordinanze tedesche siamo partiti qualche giorno prima. Avendo seguito da qui la tragedia in Italia, abbiamo anticipato, anche se dobbiamo ammettere che la decisione è stata praticamente imposta dalla chiusura dell’asilo nido. Abbiamo anticipato di due o tre giorni perché nessuno portava più i bimbi alla Kita, l’asilo infantile. Inquietudine e tristezza.
Viviamo in un quartiere residenziale in ben 55 metri quadri, per fortuna luminosi, con due balconi e uno spazioso, e ora fondamentale, giardino condominiale. Credo che a Torino alla stessa cifra potremmo affittare un alloggio appena fuori dal centro di 70/75 metri quadri. I prezzi degli immobili sono esplosi in maniera vergognosa negli ultimi cinque o sei anni.
berlino
(almeno oggi nevica e fa un po’ di allegria…)

Come sta gestendo la Germania questa emergenza?

Parola d’ordine: pragmatismo. E non disturbate il conducente. Il virus c’è per restare e prima o poi tutti ne verrete a contatto. Quindi fatevene una ragione. Grazie dell’attenzione e buona fortuna. Questo il succo del Messaggio alla Nazione. Si parla di Coronavirus da mesi anche qui ovviamente, ma iniziative vere e concrete per limitare il contagio sono state prese in maniera massiva e nazionale solo negli ultimi 10/15 giorni. Pare, ma la tesi è dibattuta perché le istituzioni e le casse mediche private comunicano dati e dettagli con il contagocce – e comunque di malavoglia -, che dopo i primi casi di contagio mesi fa vicino a Monaco (prima del pazienze 1 di Codogno) il “sistema” sia partito sotto traccia a fare più tamponi possibile e abbia iniziato a far stare a casa chi era positivo (ripeto a casa e NON in ospedale. In ospedale qui ti accettano solo se hai chiare difficoltà respiratorie, altrimenti te la passi a casa e al telefono con il tuo dottore). Poi per diverso tempo praticamente si è parlato di Coronavirus solo riguardo la Cina e poi purtroppo l’Italia. Bisogna però considerare che la Germania è una Repubblica fortemente federale. Ogni Land ha reagito diversamente. Sono scoppiati dei focolai da migliaia di casi nell’Ovest della Germania subito dopo le feste di Carnevale (non annullate), ma anche in questo caso quello che è stato fatto non è diventato il titolo a nove colonne, anche se localmente sono state definite zone rosse e zone di quarantena. Solo dopo il discorso della Merkel (circa due settimane fa) si sono visti tangibilmente i primi interventi: scuole, asili e università chiusi. Trasporti ridotti. Teatri, club e cinema chiusi. Bar e ristoranti prima aperti con orario ridotto e poi chiusi. Successivamente sono arrivate nuove restrizioni e tutto ha davvero iniziato a rallentare. Attività lavorative, uffici e fabbriche… Ma non pensare a una situazione all’italiana. Per niente. Almeno qui a Berlino. C’è meno gente in giro rispetto al solito ok, ma ce n’è ancora tanta. Dal mio punto di vista troppissima. Nessun divieto a uscire. Puoi andare dove vuoi e quando vuoi ma al massimo in due. Si rispettano scientificamente le distanze di sicurezza ok, ma per il resto… molti bar, ristoranti e kebabbari hanno riaperto almeno fino alle 18, non facendo entrare le persone nei locali ma servendo solo da fuori e in modalità take away. Il che ovviamente spinge la gente a uscire e a incontrarsi. Non tutti i supermercati hanno gli ingressi contingentati, poche persone con le mascherine e ancora meno con i guanti. Tanti ragazzi in giro insieme, feste organizzate in casa pubblicizzate su Facebook, addirittura Coronavirus Party organizzati nei parchi (per fortuna annichiliti dalla polizia). A volte nei negozi ancora aperti vedi la folla. La polizia è più presente si, ma, a parte alcuni check point fissi, passa, controlla, avverte di non fare assembramento e di rispettare il metro e mezzo di distanza e se ne va. Appena gira l’angolo, tutto più o meno come prima. Mentre scrivo i dati ufficiali sono: 63.929 positivi tracciati, 560 morti (nessuno capisce o spiega come e perché così pochi in proporzione) e più di 10.000 guariti. In Italia il 23 marzo i positivi erano poco più di 59.000 e già da settimane c’era il coprifuoco.  Noi eravamo molto preoccupati. E anche tutti gli altri italiani, spagnoli, francesi e cinesi che conosciamo qui. Non vedevamo nessuna iniziativa concreta per limitare il contagio. Non vedevano che il sistema sfruttasse in maniera costruttiva il tempo a disposizione prima di raggiungere i numeri italiani. Ora siamo rassegnati. Tanto è inevitabile visto l’andazzo berlinese. In questi giorni di clausura stiamo attraversando tutte le fasi psicologiche possibili e immaginabili. Anche cose nuove che non pensavamo di avere o di manifestare. Pian piano però la rassegnazione e l’accettazione fatalistica sta vincendo su tutto il resto. Resta grande la preoccupazione per i parenti e gli amici a Torino.

Oltre alla sottovalutazione della gravità italiana, siamo stati anche denigrati, com’è capitato altrove?
Personalmente non mi è capitato di leggere, sentire o venire a conoscenza di sparate qualunquistiche davvero gravi contro l’Italia, sullo stile di quello che ho visto arrivare dall’Inghilterra. Spero non ci siano state, ma magari e per fortuna me le sono solo perse. Di sicuro molti, senza essere adeguatamente informati, o d’istinto, o in maniera prevenuta, considerano la situazione italiana come dovuta a disorganizzazione o a una reazione eccessiva, “all’italiana” appunto. Troppi purtroppo ritengono tuttora che sia solo una brutta influenza. Ma paradossalmente, e nota bene solo dopo il primo discorso ufficiale della Merkel, abbiamo visto un vero e proprio assalto isterico a certi beni di consumo.
Per esempio?
Su tutti la carta igienica e le patate (beni di conforto ex e post?). Ma in particolare la carta igienica, che per quasi due settimane letteralmente evaporava dagli scaffali. Ultimamente la situazione è migliorata o si è riorganizzata, o semplicemente la gente non ha più spazio in casa. In ogni caso ora se ne può acquistare solo una confezione a testa. Nel mio intimo (in tutti i sensi) spero che questa crisi faccia rivalutare al popolo tedesco il concetto di bidet che qui praticamente nessun alloggio ha. Da giorni non è neanche immediato trovare pasta, farina e lievito. Bisogna girare diversi supermercati, evitando quelli con gli ingressi contingentati e le code. Bisogna puntare quelli con libero accesso e quindi evitati per paura. Mi aspettavo di vedere asciugata tutta la birra in un batter d’occhio vista la chiusura dei bar e delle Kneipe (per noi le bettole, in Inghilterra i pub di quartiere) invece, almeno nel mio perimetro esistenziale, quella non manca mai.
oggi-niente
(oggi niente)
carta-ig
(oggi è una bella giornata)
Devo però davvero sottolineare la totale inadeguatezza e povertà d’animo della grossa parte del dibattito tedesco riguardo gli aiuti economici comunitari da pensare per i paesi più colpiti dal Coronavirus e, contemporaneamente, più deboli dal punto di vista finanziario. Non va bene. Anzi mi fa schifo. Non me ne frega niente che sia vero che l’Italia è patologicamente in ritardo sulle riforme e sulla ristrutturazione del debito nazionale. Ma se un alleato si prende una pizza in faccia e va ko, in quel frangente l’ultima cosa che gli devi chiedere è la dichiarazione dei redditi.
Voi avete qualche supporto economico o assistenziale dalla Germania? 
Sì, abbiamo supporti economici e assistenziali, ma non legati alla situazione Coronavirus. Per esempio: riceviamo mensilmente un tot di soldi perché abbiamo due figlie. E il contributo è garantito fino al diciottesimo compleanno delle bimbe. Tutti i mesi. Pas mal. Paghiamo niente l’asilo nido (23 euro al mese, non ho dimenticato uno zero) ed è un risparmio enorme, oltre che un servizio essenziale. Il periodo di congedo parentale può arrivare anche a 2 anni, non a testa, ma in totale tra entrambi. Ed è un periodo retribuito. Se perdessimo il lavoro abbiamo diritto alla disoccupazione per un anno (67% della busta paga nel nostro caso) avendo lavorato almeno 12 mesi negli ultimi 2 anni. In quel frangente, se ti viene riconosciuta la necessità, lo stato ti paga corsi di formazione o aggiornamento che possono costare anche più di 10.000 euro. Ci sarebbero altri strumenti di supporto del reddito, ma per intercettarli bisogna essere molto scaltri, convincenti o semplicemente spericolati di natura (i controlli li fanno, poche storie). Tutte cose che non fanno purtroppo/per fortuna parte della mia “Educazione Sabauda”.
Com’è il Sistema Sanitario?
La sanità è un mix tra minimo servizio pubblico e il resto, che è privato. Copio e incollo: Chiunque abbia una residenza permanente nella Repubblica federale tedesca deve avere un’assicurazione sanitaria. L’assicurazione sanitaria tedesca è caratterizzata da un sistema duale di assicurazione sanitaria obbligatoria (GKV) e assicurazione sanitaria privata (PKV). Mentre l’assicurazione sanitaria obbligatoria è accessibile a tutti, per quella privata valgono determinate condizioni.
Diciamo che se non hai un reddito da lavoro e hai un problema di salute, è molto probabile che avrai anche un problema economico. Se sei disoccupato per un tot di mesi, sei coperto dalla Stato. Finora devo ammettere che tutte le nostre esperienze con medici, ospedali, ostetriche e levatrici sono state assolutamente positive. Le due gravidanze e le due nascite sono state seguite davvero come meglio non si potrebbe sperare. Stile molto diverso è chiaro, ma servizio di qualità più che buona. Ma è solo la nostra esperienza, ripeto. Certo, una parte della busta paga ci viene trattenuta ogni mese, oltre alle tasse, per pagare la cassa medica obbligatoria che chiaramente sui grandi numeri e sulle probabilità che capiti qualcosa di grave al singolo ci straguadagna… Ecco, in questo periodo non lo so, e forse questo è uno dei motivi per cui i dati sul contagio del Coronavirus qui in Germania sembrano non in linea con quelli mondiali e vengono comunicati in maniera… bizzarra…
Come passi il tuo tempo di “clausura”?
Da diciassette giorni la nostra giornata standard consiste nel svegliarsi prima delle 7, mettere in pista le bimbe, fare i turni (tre ore a testa) per lavorare e in contemporanea comunque badare alle bimbe perché non accettano ontologicamente che non badiamo a loro, far uscire un’ora al giorno le bimbe, badare alle bimbe, lavorare dopo cena e… badare alle bimbe che si svegliano perché sono comunque fuori dalla loro routine e sclerano. Troppo tempo speso per seguire con ansia le notizie su internet, pochissimo tempo per essere se stessi in tranquillità o leggere o ascoltare musica, che non sia musica per le bimbe, klar. E come purtroppo sai meglio di me, riteniamo che andrà avanti così almeno un altro mese. Potrebbe succedere di tutto, anche che ci lasciamo o facciamo un altro figlio o diventiamo Respiriani…
Il tuo aneddoto backdooriano?
Backdoor luogo per eccellenza dell’anima e dell’orecchio. Ma per me anche location perfetta per vedere esaudito uno dei miei desideri più reconditi e personali: finire in un libro (mi manca ancora comparire tra i credits di un disco e festeggiare uno Scudetto vinto dal Toro). Io sono infatti quell’Angelo citato intorno a pagina 137 de “L’ultimo disco dei Mohicani”. Ero davvero lì nel momento dell’epifania di Matt Dillon, quando è entrato in negozio. Ed è andata esattamente come è descritto nel libro. Ricordo che ho guardato Maurizio e muovendo solo le labbra gli ho comunicato questo importante messaggio: “Machecazz…?” Il resto è una bella storia. Se non l’avete ancora fatto, leggetela.
garbo

Backdoor wird hoffentlich bald wieder geöffnet und die Vinyls kehren zum Spin zurück

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Backdoor Antivirus 22

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Backdoor Antivirus 22

La morale è questa: togliete dai vostri ascolti Abba e Q65 e fate largo a Compay Segundo, Anna Oxa, Lang Lang, Oscar D’Léon e Stravinskiy.

Chi ci ha girato la schiena (direi prendendoci anche moderatamente per il culo?): Svezia e Olanda, soprattutto.

Ok, in parte anche l’Inghilterra, ma dei loro gruppi non possiamo farne a meno, è già un periodo di ristrettezze.

Chi è arrivato invece qui a darci una mano? I medici di Cuba, Albania, Cina, Venezuela e Russia.

Ecco, non bisogna essere esattamente degli acuti osservatori, per poter dire senza esitazioni: “Grazie Compagni”.

Ho visto oggi il Capo del Governo albanese dire “Non siamo ricchi, ma nemmeno privi di memoria” e qualche giorno fa i camion russi con scritto “Dalla Russia con amore” (e noi continuiamo a mandargli Al Bano in concerto…), gli aiuti venezuelani e i medici cinesi scendere dagli aerei. Ma soprattutto ho ammirato il personale medico cubano in camice con il quadro di Fidel parlare di pueblos unido, di internazionalismo proletario, dire “la nostra Patria è l’umanità”. Mi sono commosso tanto da cercare un vinile degli Inti Illimani da mettere sul piatto (chiunque, in Italia, ne ha uno in casa da qualche parte) , ma poi mi sono ricordato che erano cileni, allora ho virato subito sul cd di Buena Vista Social Club. Alè. Ma non mi sembrava sufficiente, quindi son saltato in piedi sul divano e ho messo la versione dell’Internazionale di Billy Bragg a volumi da parata. Avanti.

Inatteso? Preoccupati di dover cambiare i vostri equilibri geopolitici? Insieme conquistiam la rossa primavera dove sorge il sol dell’avvenir?

Bè, fatevi due conti e, ironia a parte, grazie davvero.

Io mi ricordo soprattutto di voi amici albanesi. Poco dopo lo sbarco a Bari (le immagini, riviste oggi, rimangono sempre oltre l’immaginabile) vi ho accolti con guanti e mascherina, in anticipo su questi tempi, smistati in una caserma dove svolgevo il mio eroico servizio militare. Le vostre donne non parlavano molto ma voi, con un ottimo italiano, mi chiedevate sempre (sempre, sempre), se era possibile avere un televisore dove trasmettessero Telenorba, emittente barese che ogni sera, come molte altre in Italia, mandava in onda “Colpo Grosso”. Lì capii che con voi avevamo già un legame forte e solido, radici comuni, un immaginario tenacemente condiviso.

Cin Cin cin cin quindi, generosi fratelli albanesi.

E un grazie di cuore a tutti gli altri, che sono venuti qui a rischiare la propria pelle, e ad aiutarci concretamente.

“È la lotta finale, uniamoci, e domani L’Internazionale sarà il genere umano”

Mi rendo conto, sembra tutto molto Offlaga Disco Pax.

Il che mi consente, con tutta la consueta goduria, di offrirvi

https://www.youtube.com/watch?v=rCBHtER91yk

offlaga-disco-pax-2005-foto-di-giulia-mazza-per-mostra-catalogo-2003-2013

(Ciao Enrico, il discorso dei medici cubani te lo saresti goduto alla grande)

Resistete Compagni

Rezistojnë shokëve

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