Da oggi on line il mio secondo contributo su il Post
https://www.ilpost.it/maurizioblatto/2018/03/26/musica-di-gente-che-se-ne-andata-troppo-presto/
buona lettura
Maurizio
Da oggi on line il mio secondo contributo su il Post
https://www.ilpost.it/maurizioblatto/2018/03/26/musica-di-gente-che-se-ne-andata-troppo-presto/
buona lettura
Maurizio
Quando ho letto che la canzone Despacito è stata vietata in Malesia, ho pensato di prendere la residenza a casa di Tremal-Naik. Il problema è che sopporto con estrema difficoltà l’estate. Estrema. L’afa mortale, i lavori per le strade (e negli alloggi) in città, le zanzare, la gente che cammina con i sandali o le infradito e, ovviamente, i tormentoni in spagnolo (quelli mi ammazzano).
Stanotte ho sognato che nevicava e così ho capito che era ora di condividere qualche consiglio, sparso e personale, di sopravvivenza con chi patisce o di stimolo per chi non teme l’orrore di una spiaggia con il tutto esaurito. Esiste il web, chiaro, ma lì sapete voi. Io consiglio il sito di Rumore (ovvio) rumoremag.com e bastonate.com (andate a ritroso, leggetevi anche i post vecchi).
Passiamo al tattile.
Per chi non ce la fa ed è triste quando apre la finestra e c’è il sole, consiglio Un solo paradiso (Sellerio) di Giorgio Fontana, splendido auto esilio dalla vita (ma anche Morte di un uomo felice, sempre suo, è imperdibile). Magari accompagnato da un classico da spiaggia malinconica come Lazy Ways, il disco delle Marine Girls di Tracey Thorn. Ma pure il bellissimo Impermanence di Peter Silberman (per ora il “mio” disco del 2017) o Hey Mr Ferryman di Mark Eitzel, ennesima conferma di un talento assoluto (The Road, che canzone).
Per ora è stato un anno con gran bei dischi (indie) chitarristici. Puntate su Somersault dei Beach Fossils, In Mind dei Real Estate e In Between dei Feelies (tornati e in grande forma, pur quietosa). Lettura abbinabile? Mi chiamo Lucy Barton di Elizabeth Strout (Einaudi. Che dialoghi, che accordi).
E poi gli ironici (a proposito, stanno ristampando tutto Nick Lowe): fate vostri Declino e caduta di praticamente tutti (ADD) di Will Cuppy, rassegna di personaggi storici trattati come fossero contemporanei e abitassero nel vostro quartiere (l’umorismo newyorchese, mai senza) e Il Malloppo (Bompiani) di Marcello Marchesi, di cui non si può perdere la genialità una sola riga (quest’uomo dovrebbe avere un monumento in ogni città ed essere insegnato a scuola. Perdio!).
Se invece il vostro umore tende al buio netto, dritti tra le pagine de La parete (e/o) di Marlen Haushofer anche solo per fare i fighi usando l’aggettivo “distopico” nel descriverlo. Abbinabile dell’elettronica rigorosa ma comunicativa, come la cassetta (con download) di Selfimperfectionist Making A False Move (gentrificazione dell’East londinese vista da qui, con splendida grafica).
Voglia di classici? Relax totale sulle note di Waltz For Debbie del Bill Evans Trio (On The Beach di Neil Young è banale, ma il banale spesso è fenomenale, ricordatevelo), da affiancare a Le braci (Adelphi) di Sandor Marai, riflessione sul destino e l’amicizia maschile. E poi, non è mai tardi per Simenon e un buon Maigret (rigorose le edizioni anni 50/60 per grafica e fascino da bancarella), puntate su Il mio amico Maigret se volete mare e sole sullo sfondo o Maigret e il porto delle nebbie, se desiderate l’opposto.
Cinematograficamente e musicalmente parlando, Cormorani di Paolo Spaccamonti e Ramon Moro è nato per raccontare un film sull’estate di due adolescenti. Quindi, a tema (magari con Gita al faro (Einaudi) di Virgina Woolf, sempre ostico, ma “altissimo”).
E poi è sempre bello rivedersi qualche classico: ogni estate mi godo Manhattan di Woody Allen (e penso che dovrei glorificare Torino e il mio quartiere senza mai muovermi da lì) e i Fichissimi (non credo di dover spiegare perché). Diciamo che sono due generi non limitrofi, ma eccelsi in modo differente. Ho aggiunto da poco anche Il Divo di Paolo Sorrentino, per me capolavoro totale (avete mai guardato bene la cura dei particolari degli interni? E Cirino Pomicino che balla?).
Però lo so, voi volete godere pienamente l’agosto bollente, quindi rimettete in pista 1972 di Josh Rouse o il quartetto 1970/73 di Marcos Valle (Marcos Valle, Garra, Vento Sul e Previsao do tempo).
In fondo, il futuro sorride. Ho appena ricevuto in regalo la biografia di Johnny Marr, a ottobre ristampano The Queen Is Dead (con dei bonus che avrò già) e pare ci sia un box di sei vinili di Chris Bell.
Divertitevi. E se passate da Torino venite a trovarci e comprate un disco. È così che funziona.
Maurizio Blatto
Per capire quanto segue, bisogna aver letto questo.
http://www.backdoor.torino.it/?p=1608
E se torno sulla faccenda (di scarsissimo interesse condiviso, mi rendo conto) lo devo ai molti che mi hanno scritto dal non è possibile al fammi sapere come va, vorrei provarci anche io.
A chi mi guardava come un esperimento sociologico ardito, tra il consenso (“Bravo, fai bene. Ma io non me la sento di lasciare la domenica vuota”) e la disapprovazione (“Picio, ma cosa fai? Hai mica ammazzato nessuno!”).
Bè, non ce l’ho fatta.
Ci sono ricascato.
Me ne sono accorto nel momento in cui ho riservato un’attenzione quasi erotica alla partita Austria-Ungheria degli Europei.
Mi piaceva veramente, ho provato un sincero interesse per l’espulsione di Dragovic.
Aiuto, mi son detto in un momento di lucidità.
Lì ho realizzato che non ne sarei mai venuto fuori, che non aver guardato più una partita e cercato di evitare qualsiasi commento sul Toro era stato uno sforzo fatto a denti stretti, ma vano.
Il tacchino freddo cominciava a scalciare e la scimmia a ridere.
Così ho seguito il resto degli Europei fino alla semifinale con la Germania e ho pensato, come tutti, che Nino, hai veramente rotto i coglioni e abbi paura di tirare quel calcio di rigore. Cagati pure sotto, ma vai lì, piazza la palla e ficca una castagna come si deve. E sappi che è anche da questi particolari che si giudica un giocatore, dai nervi saldi e dalla affidabilità. Per l’estro e la fantasia ci sono sempre i giardinetti.
Detto questo, mi sono arreso, ma la mia riconsegna al mondo calcistico ha beneficiato dell’astinenza prolungata.
Quando abbiamo perso con il Milan ero ancora al mare e sapevo perfettamente che il rigore procuratoci all’ultimo secondo l’avremmo sbagliato. Il Toro è così, architetta sempre con fatica la circostanza migliore per la fregatura somma.
E apprezzo le camicie di Hart, Il Gallo, le tre pappine rifilate alla Roma, le due alla Fiorentina e le quattro al Palermo (per non parlare delle due servite dagli Spurs ai Citizens…) e una squadra che finalmente gioca a qualcosa che assomiglia al calcio e non a una lezione di geometria (primo livello), ma sto al mio posto.
Ordinato.
Insomma vedo e sento, ma con distacco.
Per adesso va così.
È pazzesco, ma non mi imbestialisco duro o esalto vanamente, diciamo che “seguicchio”.
Poi chissà, magari tornerò a essere paonazzo e a mordere il marmo con i denti, ma per ora mi sento persin umano.
Riprendo il privè dopo lungo tempo, per una disquisizione privata, noiosa, scontata, e rivolta soprattutto a me stesso. Desistete subito dalla lettura.
Avevo accolto come una benedizione il fatto che il derby si svolgesse alle 18,00 del sabato. Per una volta l’idiozia dell’asservimento alle esigenze televisive del calcio a tutte le ore giocava a mio favore. Ero in negozio, lavoravo, e non avrei potuto vederlo. Una forma di autodifesa, un pezzo di cartone a riparo dalle inevitabili raffiche di incazzature, sfighe e livore. Verso le 17,45 Backdoor si è svuotato e la scintillante Piazza Barcellona si è abbandonata al suo presente di immondizia e macchine parcheggiate fuori dagli spazi blu a pagamento. Da lì in poi qualche disgraziato che tirava già i mortaretti di capodanno (mancano solo due mesi, in fondo), un imprevedibile acquirente di Zappa e poi il nulla. Due amici a confortarmi nel finto disinteresse. Il primo ci ha salutato al termine del primo tempo, il secondo mi ha sostenuto fino alla fine. Grazie Andrea, per giunta avevamo festeggiato il tuo compleanno. Ascoltavamo dischi che ci ricordavano i nostri gruppi preferiti: gli Ultimate Painting per i Velvet Underground, gli Eyelids OR per i Big Star. Poi ogni tanto aggiornavamo il sito di Repubblica e guardavamo il risultato. 1-0, merda. 1-1 Bovo, incredibile. Ci imponevamo di stare di là, in negozio tra i vinili. Non facciamoci del male, torniamo tra dieci minuti, quanto manca? Poi, verso la fine, non abbiamo resistito e i tempi di verifica si sono accorciati. Teniamo il pareggio, va bene così, va bene così. Fisicamente ci siamo spinti via dal computer. Torniamo alla fine. E così abbiamo fatto, con lo stomaco a pezzi e una vaga certezza di esser massacrati da quanto avremmo letto. Inevitabilmente, è andata come temevamo. 2-1 per la Juve, ultimo secondo, Cuadrado. Di nuovo. Non è possibile, dai. Che sfiga. No, forse gli altri hanno più voglia di vincere. Vero, magari siamo noi che non sappiamo mai tenere il risultato. E avanti così, l’ancora dopo ve lo risparmio. Andrea, che non era nemmeno nato quando abbiamo vinto l’ultimo scudetto, se n’è andato nel buio metallizzato di fine giornata e io ho tirato giù la serranda. Ecco, questa è l’immagine definitiva del mio rapporto con il Toro e con il calcio: chiudo. Sono esausto, per me va bene così, non ne ho davvero più. Fine. Conosco gente che ha smesso con l’eroina (e si è di sicuro divertita più di me), dovrei farcela anche io con il Toro. E l’unico modo che conosco per staccare è quello del tacchino freddo, mollare tutto subito. Ho appena dato disdetta a Sky Sport (rinunciando persino al mio adorato tennis), certo che non vedere è già quasi non sapere, e quindi non patire. Mentre tornavo a casa ho trovato il metrò pieno di mostri. Fittizi, con le facce imbiancate e i ragni di gomma, che andavano a festeggiare Halloween da qualche parte. E reali, un gruppo di ultras romani della Juve, sovraeccitati, che puzzavano di birra e avevano dei tatuaggi fatti male sul collo. Esibivano scritte nazi fasciste sugli zaini e mostravano evidente ostilità verso un ragazzo di colore seduto davanti a loro. Io non voglio avere più nulla a che spartire con tutto questo, sono stato un ragazzo di curva, ma non ho mai subito il fascino degli ultras. Mai. È gente che al di fuori dello stadio disprezzo profondamente e non capisco perché dovrei tollerare intorno al prato di gioco. Gioco che peraltro mi annoia da anni, sempre più simile a un disco di Springsteen: pochezza assoluta pompata dalla retorica più stordente. Odio i calciatori, tutti tatuati come dei circensi in avaria, esagitati nell’esultanza, irrimediabilmente simili al loro primigenio generatore: Diego Armando Maradona, il sire della volgarità e del qualunquismo populista. Non vado più allo stadio da una vita e mi domando come mi possa ancora appassionare dopo Moggi, i mondiali in Qatar, i boia chi molla scritti a biro sulle maglie, le scommesse, i politici che vanno a caccia di voti in curva, gli errori di grammatica sugli striscioni. Basta, sono pieno di dischi da ascoltare e libri da leggere. Voglio essere come quelli che non sanno nemmeno chi ha vinto l’ultimo scudetto, invidio il mio amico Antonio, che non ha più il suo Brindisi da tifare. Ecco, desidero anche io non avere più nessuno da tifare. Essere ateo, sganciarmi anche da questa presunta “fede”. Ho mollato gesùcristo, dovrei farcela anche con Cristian Molinaro. Quindi ho preso tutti i libri sul Toro e sul calcio, le maglie e le sciarpe e le ho messe in un baule, vicino all’abbigliamento da sci e ai quaderni delle elementari: tra le cose morte. Domani compio quarantanove anni e sento il dovere di regalarmi un briciolo di ragionevolezza. Giusto smettere con il Toro di Ventura, un allenatore che, mi sia concesso, ho sempre detestato. Lui e il suo presuntuoso calcio alla Lucio Fontana in orizzontale, tagli continui, ripetuti, inutili, eterni, con la sola variante di un passaggio indietro al portiere (lo so, quello non è un portiere). Giusto smettere con un campionato dominato da giocatori stranieri, la cui maggioranza è stata scelta per il fisico e non per i piedi. Giusto smettere dopo una sconfitta con la Juve, squadra che ho ovviamente odiato sportivamente e per ciò che (e chi) rappresenta nella mia città. Ultimo allenatore amato: Gianni De Biasi. Ultimi calciatori che mi hanno esaltato (per ragioni diametralmente opposte) Matteo Darmian e Maxi Lòpez. Idoli di sempre: Paolo Pulici e Gary Lineker. Io me ne vado. Buona fortuna a chi resta. Addio.
Maurizio Blatto
(in sottofondo The Tired Sounds of Stars of the Lid)
PS
il mio vero addio al calcio, felice e tra amici, sarà questo.
Venerdì 27 novembre, ore 21.30:
- See more at:
http://www.cassetapopular.it/il-cuore-dentro-alle-scarpe-atto-terzo/#sthash.WYrrrLMd.dpuf
Mi rendo conto, avete appena archiviato il Natale e le sue abbondanze gastronomiche, il contatto forzato con i parenti (i penitenziari della Guyana francese, al cospetto, spesso sembrano villaggi vacanze), la dannazione dei regali.
Ma è il caso di tornarci per qualche minuto, perché quello è davvero un periodo di effervescenza assoluta per richieste che danzano sul crinale del demoniaco.
Desideri sopiti si destano all’improvviso, brucianti nostalgie di porcherie radiofoniche, immondizie ascoltate in età pre puberale, colonne sonore di prime trombate: tutto riemerge.
Se già durante l’anno non si scherza, a Natale le richieste musicali (insomma, più o meno musicali) trovano glorificazione assoluta.
Ci ho quasi costruito un libro sopra e non dovrei esser proprio io a lamentarmene, ma ammetto che talvolta mezz’etto di banalità non mi dispiacerebbe
Tant’è, quindi gustatevi il meglio delle ultime settimane e buon 2015.
Maurizio
Non è pazzesca, lo so, ma testimonia il desiderio pieno di qualcosa che, chissà perché, durante l’anno langue sedato nel subconscio.
Ti svegli un mattino e prima ancora di abbandonarti al sapone o ai Pan di stelle, ti dici “Ma vaffanculo, sai che mi è venuta voglia di ascoltare la canzone di Mary Poppins, quella là che ci cantava zia Teresa, quando Palanca giocava ancora nel Catanzaro?”.
E allora prendi il telefono, e ovviamente chiami qui.
Il richiedente, mai visto, era giovanissimo e indossava un loden verde e un cappello da schutzen urbano, con barba regolamentare da Devendra Banhart.
La parte che più preferisco è l’anche.
Come dire “per questa volta, ma solo per questa, non andrò tanto per il sottile.
Vanno bene anche gli altoatesini. Dai, non stiamo qui a sottilizzare. Dai”
Damiano D’Insegna non esiste, ho controllato.
È un grande classico quello dei nomi emersi dal nulla.
Come i più intimi backdooriani ben sanno, esiste un Regista Occulto dei Nomi che si prende gioco di noi.
Notevole anche la richiesta di averlo su cassetta e la certezza supportata dall’uso del plurale.
Mi fate vedere? Scontato averle, scontato averlo scontentato.
Abbastanza legittima, tutto sommato.
Ma è la precisione a solleticarmi. Che cosa si canta espressamente a capodanno?
Meu amigu Charlie Brown per il trenino con le camicie bianche macchiate di lenticchie?
Per quale festa erano destinate?
I richiedenti erano una coppia e lui indossava un colbacco e pantaloni di velluto verdone a righe spesse.
Un Breznev a piede libero, insomma.
Eccellenza assoluta, forse la mia preferita.
Che cosa significherà mai?
È un genere Italia 1?
Che musica ti piace? “Maaa, sostanzialmente genere Italia 1, quello, ecco”.
Avrà voluto compilation pubblicizzate su quel canale?
Musica con attitudine da Cologno Monzese?
Che cosa mai?
Lo so, avrei dovuto chiedere lumi, ma ho imparato che il dubbio, in questi casi, è più stimolante di un’eventuale spiegazione nebulosa. In ogni caso, cd di Ialia 1. Alè.
Come sempre, è la raffinatezza della specifica. In tedesco.
Sottintesa l’offensiva eventuale proposta di una raccolta di carole in italiano o inglese.
Che poi, le canzoni di Natale in tedesco, mettono anche una certa ansia.
Idaliani, zembre kandare…
La sindrome di Dario Argento.
Il terrore che si annida nelle nenie infantile: trallallà e poi tua madre che pianta un coltello nella schiena di un cognato ridendo con il mascara sbavato.
Che cazzo ne so io di cosa può far paura a tuo nipote, tanto per dire?
E poi sia chiaro, filastrocche, manco canzoni.
Notevole il rilievo sollevato da un cliente: “Ma intendeva bambini che non facciano paura?”.
Cioè desiderava melodie per piccini dal volto non impaurente? Dobbiamo ribaltare la prospettiva? Aiuto.
-“Cucchiai di plastica”
Dritto così, senza nemmeno il punto interrogativo e ovviamente, al netto di qualsiasi sguardo sulla vetrina che, inequivocabilmente certifica che, seppur con fatica, vendiamo dischi.
Le bandiere metal esistono, ne possediamo una (a sfondo nero però) di Ozzy Osbourne, regalo nientemeno che di Paolo Spaccamonti.
Ma rosse?
Quello non è un colore da metal, signora cara, al limite potevamo tentare un grigio topo o marrone tetano.
Ma rosso, spiace, niente da fare.
È una puttanata, avete ragione.
Ma l’idea di inserire Pierpaolo al posto di Claudio mi esalta.
Penso sia sempre frutto dell’opera de Il Regista Occulto dei Nomi.
A parte l’uso improprio di valuta, apprezzo il desiderio di esaustività.
Tutti, voglio saperli tutti.
Un altro grande classico.
Nemmeno da morto, qui in zona, gli viene perdonato di essersi “sbiancato”.
Se sei un negro rimani un negro, fine.
“È come se mi vergognassi di mio padre che è nato a Messina” mi ha detto una volta un non cliente occasionale.
Per i non piemontesi, al bleciu è lo schifo, la porcheria.
Testimonianza di una consolidata tradizione di strafalcioni anglo-dialettali.
Ridimensionato a gruppo qualunque dei CCCP,
piallati foneticamente alla stregua dei Teppisti dei sogni o degli Alunni del sole.
Ridimensionamento (n°2) di qualsiasi tentativo artistico, abbozzato fin dal nome.
Quello delle luci, sorta di livella elettricistica, è ovviamente Vasco Brondi
Chiudiamo con il botto.
Siccome la richiesta è arrivata telefonicamente, è andata così:
“È uno scherzo? Mi stai prendendo per il culo?”.
Imbarazzo. “Nooo, aspetta, scusami, aspetta”.
Rumore di fogli. “È vero, scusami, Viva la Vida, cercavo Viva La Vida”.
Così mi sono fatto questa idea, che cervello e lingua gli vadano in automatico.
Se uno dice Viva La… lui, automaticamente, dica La Figa!
Un riflesso da cane di Pavlov.
Più forte di lui, non ha colpe.
Eccoci.
È arrivata l’estate.
Almeno pare, perché qui sembra più il tempo di Amundsen che quello del windsurf.
Ma è ora di partire e soprattutto di portarsi dietro musiche, libri o film buoni per sei mesi.
Almeno io faccio sempre così. Mi agito.
E se poi mi viene voglia di ascoltare Dusty Springfield e non ho niente?
Forse è l’anno buono per spararmi tutto Francis Scott Fitzgerald?
Riguardo tutti i dvd dell’ispettore Callaghan?
Mi carico come un mulo.
Diciamocelo, l’estate è quel periodo in cui “noi” tendiamo a fare le stesse cose di sempre. Sia che si rimanga o che si veleggi altrove. Dischi, libri e film. Quindi ho chiesto ad amici e clienti (quasi sempre le due categorie coincidono) di Backdoor esattamente questo.
Suggeritemi tre dischi, un film e un libro.
Sotto troverete, con qualche variazione sullo schema, i consigli di un plotone di eroi.
Per quest’anno puoi anche non cambiare, stessa spiaggia, stesso mare, ma il godimento ve lo assicuriamo noi.
Scegliete tra i tanti titoli e godetevi le vacanze.
Maurizio
spiaggia del lago Michigan, Chicago
Dischi:
Best Coast Crazy for you
La band più estiva del mondo
Roxy Music Avalon
La mia estate del 1982 è stata segnata in buona parte da questo disco, More Than This e Space Between su tutte.
Fleetwood Mac Rumours
Ancora estate 1982, una sera al paesello in provincia di Bari a casa della buon’anima dell’amico mio Tonino ascoltando Go Your Own Way a tutto volume, la West Coast che va sull’Alta Murgia!!!!!!!!!!!!!!!!!
Aggiungo una canzone, Nostalgia dei Chameleons, perché l’estate è anche ricordo e malinconia, il titolo è inequivocabile.
A settembre mi immagino con il kleenex ascoltando il cd per la trentesima volta.
Film:
Nell’estate del 1976, alla RAI, diedero una bellissima rassegna di fantascienza che venne inaugurata da uno dei film migliori della fantascienza in bianco e nero: La cosa venuta dall’altro mondo con Zeb Arness (quello de La conquista del West) nella parte dell’alieno bastardo e indistruttibile.
Estate 1983, ancora Alta Murgia, cinema Vittoria.
Con gli amici si va a vedere La cosa che, del film sopracitato è il remake fatto da John Carpenter. Segue dibattitto davanti alla focacceria di Nicola (un vero mago del forno a legna). Al dibattito partecipano Nicola F., Nicola N., Fabrizio e un’altra decina di persone. Si parla della base norvegese, del cane che porta il virus alieno, di Kurt Russel che è un vero capo e dei ghiacci polari. Durata del dibattito un’ora circa, parole in italiano nessuna, tutto in rigoroso dialetto barese.
Libro:
Jonathan Lethem La fortezza della solitudine
Bellissimo.
spiaggia di Alki, Seattle
Dischi:
Ben Frost A U R O R A
Eccetto quei due-tre nomi di ordinanza da sfoggiare con gli amici più aggiornati, chi scrive non mastica granché di elettronica. Ben Frost rientrerà anche nella categoria, ma è un animale ben lontano da clubbing e deejaying di tendenza: concepito tra radure d’Africa e i geyser d’Islanda, A U R O R A è l’abisso che ci guarda dentro.
Strand of Oaks Heal
Synth pop e chitarre elettriche, insieme ma senza inorridire. Tale Tim Sholwalter che fino a ieri l’altro raccontava di papi e dragoni ora ha scelto di andare in terapia. Parla di sé e degli ascolti della sua adolescenza, invita J. Mascis e omaggia Jason Molina. Una vita, la sua, scandita dalla collezione di dischi, proprio come la nostra.
Songs: Ohia Ghost Tropics
Molina, appunto. Perché quando si ripensa a lui si ripensa sempre al chitarrone: e invece in questi “tropici fantasma” si ascoltano solo rumori d’ambiente, cinguettii di uccellini, percussioni sfiorate appena. E poi una voce, quella voce lì, sola come non mai.
Film:
Charlie Kaufman Synecdoche, New York
Arrivato in Italia con otto anni di ritardo, “grazie” alla morte di Philip Seymour Hoffmann. E’ effettivamente è la storia di un uomo di teatro che muore, ma che prima di morire vuole raccontare la vita degli altri. Di tutti gli altri.
Libro:
Luca Rastello I Buoni
“Molti crimini sono migliori di questa legalità. Molti criminali sono migliori dei suoi sacerdoti”. Un romanzo su chi ha fatto della bontà una professione e del rispetto della legge un feticcio. Ma per quanto noi ci crediamo assolti…
The Serpentine Beach, Londra
Bruno “the english man”
Dischi:
New Order Technique
Bill Cargill Submarine Address
Saint Etienne Finisterre
Film:
Harmony Korine Spring Breakers
Libro:
Marco Mesneri Addio Monti
spiaggia di Mullaghmore, Irlanda
Dischi:
Fennesz Besc
perché è uno dei miei regali di compleanno (di Chiara) e continua a girare in queste sere estive
Arcade Fire Reflektor
il disco più caldo degli Arcade Fire, visti in concerto a fine giugno, sono i nuovi Talking Heads
Slowdive Souvlaki
già il titolo fa estate (greca), il 16 luglio hanno suonato a Padova, sentendo Alison ho pianto come un bambino
Film:
This Must Be The Place, scritto e diretto da Paolo Sorrentino : un film del 2011 che tutti dovrebbero aver visto, ambientato parzialmente a Dublino: quest’anno ferie estive in Irlanda
Libro:
Lester Bangs Deliri, desideri e distorsioni
uno dei regali di Chiara per Natale,
ho iniziato (colpevolmente) a leggerlo solo ora
spiaggia della Grotta del Bue Marino, Sardegna
Disco
Charlie Haden The Ballad of the Fallen
Film:
Charlie Kaufman Synecdoche, New York
Libri:
Jared Diamond Armi, acciaio e malattie
Adriano Sofri Machiavelli, Tupac e la Principessa
Erling Jepsen L’arte di piangere in coro
spiaggia della riserva naturale di Torre Guaceto, Brindisi
Dischi
The Frowning Clouds Whereabouts
Deian e l’orsoglabro Prezzo speciale
McCarthy Red Sleeping Beauty ep
Film:
Mamuro Hosoda Wolf Children – Ame e Yuki i bambini lupo
Libro:
Extence Gavin Lo strano mondo di Alex Woods
spiaggia del D-Day, Normandia
Dischi
Ninos du Brasil Novos Misterios
Ben Frost Aurora
Chris & Cosey Song Of Love & Lust
Film:
Eric Rohmer La nobildonna e il duca
Libro:
Francesca Serafini Di calcio non si parla
spiaggia delle Barbados, con Hugh Grant
Dischi
Courtney Barnett A Sea of Split Peas
la ADORO, vorrei fosse mia amica e andarci in giro per concerti e negozi di dischi
Colorama Temari
gruppo gallese un po’ tipo Superfurry Animals, prodotti da Edwin Collins e con ex dei Jennifer Gentle, ottimo
Keith Cross & Peter Ross Bored Civilians
ristampa Esoteric di un duo di giovanissimi: 1972, capelli lunghi, Badfinger + Caravan, cover di Sandy Denny, disco fantastico
Film:
Jersey Boys, del vecchio Clint
Libro:
Edward St Aubyn I Melrose
spiaggia sulla Senna, Parigi
Dischi
Marcos Valle Garra
Effetto Felipao al contrario: per ogni disco ascoltato, questo gira sette volte.
Fenomenale, la ricchezza è pari alla goduria.
Fitness Foreves Cosmos
Partito tempo fa, è arrivato (giustamente) fino all’estate.
In Cane Ciuff We Trust.
Loscil Endless Falls
Sul letto, condizionatore a 18 gradi, modalità muscolo (tempesta di vento) e due gocce di Loscil.
Vi saluto.
Film:
Woody Allen Manhattan
Un rito estivo. Lo so a memoria.
Ogni volta che lo riguardo mi piace di più e penso che non dovrei partire e rimanere in città,
ad annusarla, amarla e vederla in bianco e nero.
Libro:
Jay McInerney Si spengono le luci
“L’estate era calata sulla città come una banda giovanile che sbuchi all’improvviso da dietro un angolo: aggressiva, compatta, odorosa ed eccitante, carica di elettricità”.
Finiscono gli anni ottanta?
Finisce un matrimonio?
Are you ready to be heartbroken?
spiaggia sul fiume Nilo a Tereka, Sud Sudan
Dischi
Peter,Bjorn & John Writer’s Block
I’m From Barcelona Let Me Introduce My Friends
War On Drugs Lost in the Dream
Film:
Catherine Hardwicke Lords of Dogtown
Libro:
John Niven A volte ritorno
spiaggia di Sanremo
Rossano Lo Mele
Dischi
The The Soul Mining 30th Anniversary
Un disco anziano, ma che non invecchia. Un album di non genere, ma che li ingloba tutti, i generi. Rischioso e commestibile. La cronaca – al di là della lussuosa versione in vinile pubblicata per il suo trentesimo compleanno, anche un nice price su cd, usato o meno va bene – riporta alla luce un disco che l’ombra non l’ha mai conosciuta.
Black Keys Turn Blue
Li si da ormai un po’ per scontati, i Black Keys. Perché molto o troppo famosi e perché producono hit gommose. Ma questo disco qui, l’ultimo pubblicato, è davvero travolgente per inventiva e capacità di mettersi in gioco. Psichedelia, i Pink Floyd migliori dei primi ’70 e il solito, magico, tocco chitarristico e vocale di Auerbach.
The National Trouble Will Find Me
In attesa dell’imminente uscita del film-documentario Mistaken for Strangers, l’ultimo album dei National continua a rimanere un disco di classicità americana assoluta. Dove l’effetto sorpresa viene mangiato dalla grandezza delle canzoni e dalla maturità di un gruppo che oggi ha pochi o nessun rivale, in questo ambito.
Film:
Jersey Boys. Tutto funziona a meraviglia nell’ultimo film di Clint Eastwood. Le canzoni, gli abiti, la ricostruzione di quel New Jersey mezzo mafioso del dopoguerra. La storia ha dell’incredibile, ma sono americani (Frankie Valli & The Four Seasons, i protagonisti del film), quindi tutto diventa: credibile.
Libro:
Tobias Wolff La nostra storia comincia (Einaudi)
Della serie c’è vita dopo Raymond Carver. Il vecchio Tobias ha vissuto una vita al buio, vista l’egemonia di Carver in tema di short stories. Ma questa nuova raccolta ne celebra ancora una volta il suo magistero narrativo. Fatto di poche pagine a botta. E dove un semplice litigio domestico spalanca porte ed emozioni.
spiaggia di Copacabana, Rio De Janeiro
Estate 2014
Sebastien Tellier L’aventura
L’estate
AA VV Wow wild summer-Creation 1984
Le estati
Isaac Hayes Summer in the City
Jonathan Richman That summer feeling
Bananarama Cruel Summer
Primal Scream Higher Than The Sun
The Style Council Long Hot Summer
Bertrand Burgalat This Summer Night
Astrud Gilberto The Girl From Ipanema
Belle and Sebastian I Know Where the Summer Goes
Pavement Summer Babe
Bruno Martino Estate
Film:
Luciano Emmer Domenica d’agosto
Libro:
Stephen King Stagioni diverse – Il corpo
spiaggia di Maaahafushivaru, Maldive
Domenico “avvocato”
Dischi
Classixx Hanging gardens
Il sogno elettronico di una notte di mezza estate targata L.A. Il tempo che non ritorna o che, forse, per qualcuno, non arriverà mai.
Rhye Woman
L’altra metà del cielo capace di rasserenare anche i cuori più tormentati.
Todd Terje It’s Album Time
La promessa balearica di un’estate magica e carica di promesse.
Libro:
David Bezmozgis Il mondo libero
L’estate romana del 1978 di una famiglia lituana nella sua fuga tragicomica dalla Russia brezneviana verso Israele e il sogno della libertà sconosciuta.
Film:
Leone Pompucci Mille bolle blu(1993)
Le vacanze di Sandrino in attesa dell’eclissi del 1961.
Il boom economico visto con gli occhi di un bambino.
spiaggia della Baia di Talamanca, Ibiza
Dischi
Mark Barrott Sketches from an Island
Il disco che raccoglie gli ultimi due 12″ pubblicati da Mark Barrott, fondatore della International Feel che quest’anno dall’Uruguay si è trasferito a Ibiza. Dall’alba al tramonto, l’album perfetto per un’estate balearic.
A.r.t. Wilson Overworld
L’enfant prodige australiano Andras Fox si lascia alle spalle la deep house e sforna un disco impeccabile, tra Sakamoto e Badarou. Uscito in musicassetta, sarà presto disponibile anche in vinile.
Joan Bibiloni El Sur
L’etichetta di Amsterdam Music From Memory riepiloga la carriera del chitarrista spagnolo Joan Bibiloni con un LP pieno di sorprese: dal tramonto in poi.
Libro:
Elias Canetti Il testimone auricolare
Brevi e taglienti racconti da leggere al riparo dal sole, sotto l’ombra di una pineta.
Film:
Eric Rohmer La Collectionneuse
Uno dei tanti film di Rohmer ambientato durante le vacanze estive, ovviamente in Costa Azzurra. Colonna sonora dei Blossom Toes.
spiaggia di Iquique, Cile
Dischi
Marine Girls Beach Party
Non occorrono spiegazioni, d’altronde Tutti Lo Sanno.
Love Forever Changes
L’estate avvelenata dal Vietnam, perché c’è sempre una Bummer in the Summer.
AA VV NME C86
Com’è rilassante lasciarsi cullare dal jangle pop.
Libro:
Bruce Chatwin Che ci faccio qui?
Come viaggiare comodamente, stando seduti sulla poltrona di casa.
Film:
Alfred Hitchcock La finestra sul cortile
Da vedere in prima serata su Raitre, possibilmente intervallato da una réclame della Cedrata Tassoni.
spiaggia di Galveston, Texas
AA VV Too Slow To Disco
Il tuffo nella hot tub che meritavate, senza che nessuno vi avesse avvertito prima. La vita e’ anche questione di arrangiamento.
Blueboy If Wishes Were Horses
La copertina perfetta per il disco dell’estate del cuore. L’Agosto di prati bagnati del sud dell’Inghilterra.
The Beach Boys Smile
La California. I giovani leoni di John Milius prima che il sogno di un’estate si avvelenasse con il Napalm e Brian Wilson che suona il piano in salotto con i piedi nudi infilati in una vaschetta di sabbia immacolata. Non e’ mai troppo tardi per un sorriso infinito.
Film:
John Milius Un mercoledì da leoni
Libro:
Aldo Nove Amore mio infinito
L’estate dei condomini, la passeggiata e il gelato. Rimettete pantaloni corti e sandali di plastica.
Capisco che ci sono situazioni decisamente peggiori, impieghi usuranti, tirannie dettate dai gradi, banalità assassine da ufficio, però ogni tanto affiorano dei dubbi su ciò che faccio e sul mio ruolo. Talvolta mi tocca tornarci, niente da fare. Ad esempio qualche settimana fa mi sentivo piuttosto stanco e stavo guardando una vetrina di libri in una via pedonale del centro. Nel riflesso del vetro, tra un Cammilleri e un Fabio Volo, mi è parso di avere la faccia come un krapfen, gonfia e priva di espressione. “Non va”, mi sono detto, come i telecronisti di Mediaset quando l’attaccante spara alto sopra la traversa. Mesto e pensieroso, ho iniziato a sentire una voce che mi chiamava, prima flebile quindi più risoluta. “Mauri, Mauri, sono qui”. Sono qui, ma dove? Di fianco a me non c’era nessuno, all’interno del negozio non anima viva. Bene, ho pensato, è ora. La Morte è venuta a impacchettarmi o per ben che vada sto iniziando ad avere le allucinazioni. Finirò per discutere con ragazzi con la faccia da alano che vedo solo io, lo sapevo. Poi una mano mi ha sfiorato la caviglia. Benissimo, sono gli zombie, non ci avevo pensato, ma è una possibilità. Walking dead che mi hanno riconosciuto per quel che sono, un poveraccio con la faccia da krapfen. Finirò per essere il loro pasto. Uno snack. Allora ho abbassato lo sguardo di scatto e ho visto uno con la faccia vagamente familiare tentare di portare il busto fuori da un tombino. Capelli biondi, casco protettivo e barba sfatta, è Alessandro, uno con cui giocavo a calcio da ragazzino e che non vedevo da almeno vent’anni. “Lavoro per una ditta di spurgo, tu come te la passi?”. Ecco, il punto è questo. Io me la passo bene, chiaramente, posso dire a uno che sguazza ogni santo giorno nel liquame che ne ho le palle piene di quelli che mi chiedono quando ristampano Starsailor di Tim Buckley su cd? Bè, davvero no. Però ci sono giornate faticosissime, progettate da psichiatri deviati, assassini del comportamento. Quel pomeriggio di un giorno da cani morti si apre con una mattinata piena di svogliati, quelli che entrano senza desiderio, sfogliano a caso, non sanno nulla e trovano una parvenza di interesse unicamente nella sezione dei Pink Floyd. Innocui, ma logoranti. In genere dicono “Ah, ma si vendono ancora i dischi?”. I livelli di possibile risposta sono tre: 1 (amichevole) “Sì, anzi c’è stato un bel ritorno di interesse legato al vinile”. 2 (algido, ma nervosetto) “Bè, se siamo qui, vuol dire che si vendono ancora”. 3 (definitivo, di commiato) “No, non si vendono più. Teniamo aperto il negozio solo per rispondere a domande di coglioni come te”. Oggi siamo attestati sulla risposta numero 2, ma iniziamo pericolosamente a scivolare sull’opzione successiva. Fa caldo, troppo, l’umidità è a livelli tropicali e l’incasso è basso rispetto all’impegno profuso. Abbiamo rifiutato due buste di dischi con almeno sei titoli di James Last, analizzato una lista di ricerca di un appassionato di fusion (presenze in negozio: zero) e allontanato un pensionato collezionista di Dalida perennemente alla ricerca di una rara edizione belga in 45 giri allegata a una rivista femminile. Il primo del pomeriggio è il seguente. “Madonna, quanti dischi… senta, passando davanti mi è venuta in mente quella canzone là, ha presente, quella famosa, quella là… che si sentiva tanto, la sanno tutti, bella, quella là… no, non me lo ricordo il titolo, ma aspetti, è rock, rock… non mi viene nemmeno da cantarla, ma Lei la conosce sicuramente, quella là… ah ecco, magari così le viene in mente, è rock e c’è uno con la chitarra, sì, quella là, rock, con uno con la chitarra, ecco”. Niente da fare, viene accomiatato nell’afa massacrante. Quella là rimarrà un mistero. Boccheggiamo come carpe fuori da un lago svizzero, quando entrano i due castigatori definitivi. Disgraziati totali, accento veneto marcatissimo. Uno, enorme, suda come la Fuente de Cibeles di Madrid e ha una maglietta slavata dei Killing Joke, jeans a vita bassa e una riga del culo esibita con orgoglio e metraggio vicino al Canale di Suez. Si sfrega le mani e annuncia “Sono sicuro che troverò qualcosa”. Sulle braccia ha tatuaggi incomprensibili, probabilmente eseguiti da un cieco. Mi pare di scorgere un serpente con le ruote, ma non ne sono sicuro. È fatto come un’otaria. Andato. Il suo sodale è un rottame psichico, povero lui, con un’ombra di baffi biondi, un cappello piegato sulla visiera stile “se lo fa Jovanotti me lo posso permettere anche io, chi cazzo sono, il figlio della bidella?”. Esuli del SERT, piombati qui. Quello che suda rivolta il negozio, guarda tutto. Ogni due minuti chiama l’amico “Hey Michi, dai che tra un po’ andiamo”. Poi fischia, come a un cane, per richiamare la sua attenzione “Michi sei il migliore, il migliore”. Michi è come imbalsamato sotto una foto promozionale di Betty Davis, appesa vicino alla cassa. La tigre funk, nello scatto, indossa un abitino zebrato ridotto ai minimi termini. Ha lo sguardo di una killer del materasso. Michi all’improvviso mi dice, con una voce a metà tra l’eroinomane e Topo Gigio, “Mia madre ha un vestito come questo qui, ma rosso. Come questo qui”. Indica Betty. Quello che suda fischia tre volte “Sei il migliore, Michi, il migliore. Dai che andiamo”. Sono dentro da più di un’ora. Il Signor Franco è appoggiato alla Clint Eastwood sulla porta di ingresso con lo sguardo rivolto verso il nulla della Piazza, muto. Michi lo raggiunge e gli dice “Lo conosci Aldo?”. Passano decine di secondi e poi il Signor Franco risponde “Quello di Aldo, Giovanni e Giacomo? Sì, quello lo conosco”. Michi non risponde ai fischi e parte in una spiegazione indecifrabile di gente che ha conosciuto anni fa e poi dovrebbe ritrovare ora per motivi di soldi. L’afa e la fattanza si mescolano pericolosamente. Quello con la riga del culo fuori controllo mi strizza l’occhio e mi dice “Questo qui è un fenomeno, tu non hai idea. Un fenomeno. È vero Michi che sei il migliore? Diglielo anche tu, dai che andiamo”. Siamo tutti sul crinale della sopportazione. Sento che ci massacreremo a morsi, come bestie impazzite. Michi è di nuovo inchiodato in mezzo al negozio, muto. La sua storia personale deve essere anni luce oltre ciò che definiamo abitualmente come “drammatico”. Mi pare di capire che sia il fratello della compagna di quello che suda. “Il migliore, dai che andiamo”. Ma non vanno, sono ormai entrati due ore fa. Poi, sei o sette fischi dopo, Killing Joke mi dice “Bel negozio, devo tornare con calma. Ma non sono di qui, ci vediamo quest’inverno. Dai Michi, saluta che andiamo”. Abbiamo due stagioni di salvezza prima di rivederli, sempre che rimangano vivi fino a dicembre. Michi saluta e l’iper sudato si pulisce le mani impolverate sulla faccia, riducendosi come un minatore del Galles anni cinquanta. Sono lo scatto di una versione deviata del National Geographic. Michi saluta, superano il Signor Franco e barcollano verso l’ignoto. Noi non ci diciamo niente. Avremmo bisogno di una doccia e di una settimana in una Spa a Beverly Hills. Per quei due invece ci vorrebbe un miracolo. Le mosche iniziano a girare in tondo nel negozio, più fresco rispetto al clima sahariano di Piazza Barcellona, e c’è una puzza insostenibile. Afrore di disperazione. Pensiamo di averle viste tutte per oggi, ma il pomeriggio di quel giorno da cani morti necessita di un epilogo all’altezza. Così la porta si apre e ci regala in extremis uno che aspetta immobile di essere servito. Il Signor Franco gli si para davanti, senza dire nulla, come in un duello. Parte l’altro: “Dove li posso trovare dei dvd di Ciccio e Franco?”. Nessuno dice nulla, i muscoli tesi. Poi il Signor Franco gli volta la schiena e risponde, urlando, “A Palermo”. Adesso è finita davvero.
Effe Punto Dinosauri (Labellascheggia)
Bassa fedeltà per alta intensità emozionale.
I disgraziati americani (Sparklehorse, Vic Chesnutt…),
la grazia inglese (Nick Drake & associated) e i cantautori milanesi di ringhiera
AA VV Too Slow To Disco Vol.1 (How Do You Are)
Il manifesto dello Yacht Rock. California seconda metà anni 70, palme,
eleganza Steely Dan, desiderio Fleetwood Mac, bionde e cocaina.
Ogni tanto bisogna anche godere
Gianni Oddi Style (Schema)
Library italiana 1974. Grandissima ristampa.
Bossa, lounge e una dedica a Twiggy. Irresistibile
Swans To Be Kind (Mute)
Più psichedelici, forse.
Sempre mostruosamente compatti.
Morrissey The Lazy Sunbathers (da Vauxhall And I )
Perché poi va a finire che uno dice, ma come? Niente Moz questa volta?
Quindi ecco la canzone perfetta per la dolce pigrizia estiva. Voilà.
Angelo Del Boca Italiani, brava gente? (Neri Pozza)
Consigliato dal fido Andrea Pomini.
Nefandezze italiche commesse durante il nostro periodo colonialista.
Alex Bellos Futebol (Baldini & Castoldi)
Ideale per i mondiali brasiliani.
Leggete qui
http://www.backdoor.torino.it/?p=114
Pif
Il Testimone, la sua intervista dalla Bignardi, la capacità encomiabile di cambiare dolcemente “registro”
I tifosi messicani e algerini
(grande il Messico, grandissima l’Algeria)
Lo so, questo è il privè (molto privè, quasi pubblicità piena) di aprile, ma siamo a fine maggio.
Però la scusa è che, come già anticipato, oggi esce ufficialmente nelle migliori librerie all over the world il mio nuovo libro, MyTunes per Baldini & Castoldi.
Quindi, come si suol dire, sono stato incasinato.
Ma questo nuovo tomo (464 pagine!) “frutto della vita (molta autobiografia espansa) e dell’amore (drammatico, terminale per dischi e canzoni) di quest’uomo (io)” è finalmente disponibile.
Potete farmi figo e chiederlo alla vostra libreria di fiducia o farmi pavone e ordinarlo direttamente qui. Con dedica assicurata.
Il libro costa 16 euro
aggiungete 2 euro per spedizione ordinaria non tracciata
aggiungete 4,50 per spedizione raccomandata (tracciata)
se pagate paypal, sorry, ma bisogna aggiungere 1 euro in più alle tariffe.
nostro indirizzo payal: backdoor.torino@libero.it
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Ma per premiarvi in anticipo e darvi un’idea del libro, ecco un inedito, classica outtake succosa rimasta fuori (lo ammetto, me l’ero scordata e una notte mi sono svegliato improvvisamente – merda, mi sono dimenticato i Killing Joke…).
Buon divertimento.
Maurizio
(Killing Joke, 1980)
“Essere artista ha sempre significato possedere ragione e sogni”
(Thomas Mann)
Maestro Tirelli tu possa bruciare nell’inferno del Rondò Veneziano. Rosolare sulla brace, oltraggiato da spruzzi di accendifuoco Diavolina e abbrustolito a fianco delle damine che suonano il violoncello. Lì devi stare, maledetto pavone gonfiato imballato in giacche di pelo maron e cravattini sabaudi. Quello dovrebbe essere il tuo posto, vigliacco di un baffino canavesano che mi hai impedito di entrare in un gruppo punk e roteare la chitarra come un Pete Townshend in libera uscita. Rondò alla turca, ma quella del cesso, dovrebbe essere la tua dannata dimora. Un vecchio adagio dice che chi non riesce a diventare un buon musicista in genere fa il critico musicale. Bè allora io dovrei essere il capo dei recensori. Ho provato diverse volte a imparare a suonare la chitarra. La più seria, nel 1980. Avevo quattordici anni e andavo a lezioni dalla Scimmia, arpeggiatore di quartiere così battezzato per il volto dai tratti vagamente scimpanzeschi. La Scimmia adorava i Chicago e viveva dall’altra parte del corso, un inferno di lamiere e smog, dove abitavo io. Attraversavo e mi insegnava gli accordi. Portava una riga in mezzo ai capelli degna di un sipario del Teatro della Fenice e vestiva come Tex. Dopo tre lezioni io sapevo già fare Dedicato della Bertè, e mi parve un risultato straordinario. Ero ebbro dei miei progressi, tutto funzionava. Mio padre però ebbe una soffiata da un collega. “Il maestro Tirelli, violino all’Orchestra del più importante Teatro della città, viene addirittura a domicilio. È bravissimo. Bravissimo che non hai idea”. Fui costretto ad abbandonare la Scimmia. Ci separammo per sempre sulle note di If You Leave Me Now, ovviamente dei Chicago. Tornai a casa con il cuore a pezzi e il falsetto di Uh uh uh uh no baby please don’t go nelle orecchie. Quadretto vagamente omosex, ma comunque straziante. Il maestro Tirelli si presentò senza esitazioni una settimana dopo, direttamente in camera mia, vestito esattamente come Camillo Paolo Filippo Giulio Benso, conte di Cavour, di Cellarengo e di Isolabella, ma con l’aggravante di olezzare come una mandria di pecore assassinate e lasciate macerare nell’aglio. Lo odiai all’istante. Indossava dei mocassini credo cuciti direttamente da Geppetto e con questi batteva costantemente il tempo sulle mie piastrelle. In alternativa, faceva schioccare le dita. Aveva un libro sottobraccio, dalla copertina arancione, che si chiamava Pequenos Exercicios Melodicos. Capii subito che ci sarebbero stati dei guai. Passavamo interi pomeriggi, seduti sul copriletto patchwork fatto a maglia da mia nonna Caterina, a solfeggiare con le dita. Ogni volta che sbagliavo, mi tirava una stecca sulle falangi. Era come se vivessimo nel 1850, ero certo che la sera lui telefonasse a Urbano Rattazzi o andasse a farsi un hamburger con Pietro De Rossi Di Santarosa. Mi agitava e io indispettivo lui. La cosa che meno tollerava era la mia incapacità di dominare il plettro. Presi a farlo cadere volontariamente dentro la cassa della chitarra. La scuoteva come Paul Simonon sulla copertina di London Calling e urlava inviperito “Non è possibile, in tanti anni, mai vista una cosa simile. Santa polenta, mai”. Potevo relazionarmi serenamente con uno che usava santa polenta come epiteto? Per giunta mi toccava aerare la stanza per ore, anche in pieno inverno. Tirelli se ne andava, ma una traccia di sé rimaneva in ricordo, minando persino l’esistenza di un paio di piantine grasse che avevo ricevuto misteriosamente in regalo per un compleanno. L’eau de Cavour sembrava ammazzare pure loro. Dopo due anni di questo strazio non avevo imparato nulla. Non superai mai l’ostacolo del barrè, le mie stesse dita mi erano nemiche. Lui mi scherzava. “È facilissimo, ma mi guardi per Dio!”, prendeva la chitarra e, mentre camminava in circolo per camera mia eseguendo Segovia alla velocità di Silver Surfer, un giorno intercettò un ritaglio di giornale appiccicato sopra la scrivania. Erano i Killing Joke. “Questi chi sarebbero? Musica moderna? Io apprezzo unicamente il Rondò Veneziano. Adesso prenda quel plettro e vediamo se riesce a combinare qualcosa”. I Killing Joke mettono tutti d’accordo, Tirelli a parte, ovviamente. Punk, metallari, industriali, dj alternativi, new wavers. Lenti e pesanti, con un groove di sottofondo. Immagini del Papa che benedice truppe naziste, Jaz Coleman che canta dipinto in faccia, synth e riff monolitici. Le loro intuizioni sono state la base di molte carriere conclamate (dai Nine Inch Nails ai Korn, passando pure per i Jane’s Addiction), ma nei primi anni ottanta erano ancora un culto sotterraneo. Il loro primo album si apre proprio con Requiem: giro ossessivo di sintetizzatore, riff implacabile di chitarra e bordate di batteria. Post punk marziale, sottilmente deviato. Jaz Coleman canta di bombe che ticchettano, morte, religione e parole che cessano di avere significato. Non mi stupii quando, nel 1982, proprio Coleman se ne andò in Islanda ad attendere l’Apocalisse. Stava arrivando. Davvero? Nel frattempo mi beccai un’influenza belluina. Per giunta mancavano pochi giorni all’interrogazione sul Doctor Faustus di Thomas Mann. Ero drammaticamente indietro nella lettura. Mia madre chiamò Tirelli e gli disse che avrei dovuto saltare la lezione. Finalmente una buona notizia. Non bloccò però la febbre. Requiem mi si piantò in testa. Succede, tu stai male e una canzone ti si ripresenta ossessivamente. Poteva andarmi peggio. Iniziai comunque a delirare, il Diavolo si offriva di comprarmi l’anima in cambio dell’immediata padronanza del barrè. Fui sul punto di accettare. Thomas Mann si mischiava al giro della chitarra di Geordie Walker. Mi convinsi che l’Apocalisse stava davvero arrivando e per giunta io la stavo aspettando in pigiama. Il paracetamolo mi tolse dall’imbarazzo. Guarii, presi un onesto 7 sul Doctor Faustus e, in un momento d’ispirazione, composi uno strumentale alla chitarra. Una schifezza do sol sol la sol sol che chiamai, ovviamente, Requiem. Venni a sapere che i Killing Joke tutti stavano rientrando in Inghilterra. Nessun segnale dell’Apocalisse. Meno male. Mi son sempre domandato come si fossero organizzati. Stavano su un balcone a scrutare il mare? Misuravano i venti? Chissà. Comunque decisi di farla finita lo stesso. Affrontai i miei e chiesi di giubilare Tirelli. Non ce la facevo più. Pietosamente, acconsentirono. Liberato da un simile macigno, mi presentai nella palestra del mio liceo, dove alcune band di studenti si sarebbero esibite nel pomeriggio. I nostri favoriti attaccarono per ultimi. New wave totale. Cambiavano nome di continuo. No Real, Ecole Maternelle, forse all’epoca ne avevano addirittura uno diverso. Li adoravamo. In chiusura tentarono una cover dei Killing Joke. Gli riuscì talmente male che non capimmo se fosse Wardance o Requiem. Verso metà il bassista si fermò e disse al microfono “Ci spiace ragazzi, ma non riusciamo a farla”. Uno di fianco a me, appeso al quadro svedese urlò “Fatela lo stesso e vaffanculo a Baglioni”. Gli andai dietro “Sì e vaffanculo a Tirelli e al Rondò Veneziano”. Ci fu un boato di consenso incondizionato e loro riattaccarono, forse, Requiem. Urlavamo tutti. L’apocalisse poteva attendere.
cose che mi sono piaciute:
Donato Epiro Fiume nero (Black Moss)
Tribalismo anni settanta che emerge da un rio amazzonico dove una tribù sanguinaria sacrifica un pellegrino abbandonato ai boa constrictor
(chiaro, no?).
Scuro e ossessivo.
Damon Albarn Everyday Robots (Parlophone)
Una toccante festa alla propria mezz’età
Denovo Kamikaze Bohemien (Viceversa)
L’esordio mai uscito. Diciamocelo, erano dei fenomeni pop.
Cagna Schiumante Cagna Schiumante (Tannen)
Aspro e potente. Libero. E splendido da dire: “Cosa ascolti tu ultimamente?”. “Cagna Schiumante!”.
Mette a posto chiunque
Joe R. Lansdale La foresta (Einaudi)
Forse un po’ gratuito per il dosaggio di violenza, ma Lansdale è Lansdale
Simon Goddard Simply Thrilled – The Preposterous Story of Postcard Records (Ebury Press)
L’epopea della Postcard records di Glasgow, i Josef K, gli Orange Juice, santo cielo…
La signora borghese (accompagnata da marito e cane dalmata) che al Salone, dopo aver comprato il mio libro, ha scelto in omaggio il 45 “brutto” La novia di Antonio Prieto.
E mi ha confidato “Sa, proprio su questa canzone ebbi un rapporto completo”.
“Ahh”, ho risposto io.
Quindi si è rivolta al marito con misurata nonchalance: “Ricordi anche tu, Aldo?”.
Impassibili, né lui, né il dalmata hanno replicato.
(foto di Roberto Zava)
Alla fine ho chiuso il santuario. Sono stati bei momenti, ma ho temuto di vedere i pullman parcheggiati nella piazza deserta del mercato con i cartelli stile “Pellegrini Santa Bilinda”. Non che fosse una cattiva idea, magari si potevano stampare dei santini tascabili con il tacco sulla pedaliera, sulla falsa riga di quelli che si muovono in una specie di tridimensionalità a poco prezzo. Una volta ne ho visto uno di Padre Pio, se lo spostavi apriva e chiudeva gli occhi. Quando era in fase “palpebra calata” erano velati di sangue, tipo Walking Dead. Non ho dormito per alcuni giorni. Comunque, lo ripeto, ci siamo divertiti. La gente veniva e adorava. Alcuni fedeli si sono uniti on line, grazie alle icone esibite sul sito. Più o meno tutti hanno detto la loro. Alcune perle:
- Lo smemorato. Deciso: “Me la ricordavo diversa nelle Breeders”
- Father & Son. Entrano padre e figlio. Father: “Rifatti gli occhi, figliolo, ma sappi che è soprattutto una grande chitarrista”. Son: “Papà, ha le stesse scarpe di zia”. Silenzio. Father:“ Andiamo va, che mi è crollata la poesia”.
- L’esperto terminale. “Sì, ma lo shoegaze è un genere sopravvalutato. Tutti a copiarlo, a sbavare per questa qua, quando ci sono stati musicisti dell’area illbient che la gente si è scordata dopo cinque minuti”.
- She & Him. She: “Certo che voi maschi siete tutti dei fenomeni, basta che una abbia una gonna corta e un paio di tacchi e non capite più niente. Se hanno vent’anni poi, potrebbero anche non saper suonare”. Him: “Ti sbagli. Qui, com’è scritto, è la pedaliera il vero oggetto erotico. E poi ha cinquantadue anni”. Di nuovo, silenzio. She: “Mah, andiamo che poi chiude la Coop”.
- Il transustanzionista. (via mail dal Texas, voi sapete chi…). Da quando è uscito mbv e i My Bloody Valentine si sono improvvisamente ri-materializzati dopo tutti questi anni è oramai chiaro che Kevin Shields non esiste più. La sua natura ha subito l’ovvia transustanziazione nelle molecole di feedback di queste canzoni aeree attese per decenni. Il suo corpo aereo dissolto in un cataclisma celeste di rainy guitars. Non crediate di averlo visto sui palchi di mezzo mondo nel 2013. E’ chiaramente un sosia tirato fuori ad arte perché’ il rock ha bisogno di fisicità, si nutre di riferimenti. Kevin e il suo ciuffo anfetaminico sono oramai da un’altra parte, immersi nel suono puro. Non ci resta che Bilinda. Ripresa nel dettaglio come mai prima, nelle foto che accompagnano recensioni del disco e cronache dei concerti. Con la sua chitarra tenuta bassa sotto la cintura, come lo sguardo che continua a inseguire la punta delle scarpe. Bilinda, ah Bilinda. Un angelo caduto dal cielo, perduta in uno squat a Brixton con suo figlio Toby, appena nato. Eserciti di siringhe infette e montagne di droga che minacciano di scalfirne invano la sostanza eterea. La sua sostanza eterea sopravvivrà’. Bilinda, obbligata a svegliarsi di botto alle sette di mattina e registrare la sua voce per catturarne l’essenza del sogno in quelle canzoni che si dichiaravano Loveless, senza amore, perché assolutamente oltre un amore sillababile dagli umani. Bilinda tirata su a studi classici e Bauhaus. Sostanza mondana di un sogno altrimenti etereo. Oramai, rimasta sola a dare traccia di una qualche esistenza terrena per quell’entità My Bloody Valentine altrimenti non rintracciabile. Bilinda, Dolce Stil Novo cantato da ogni fan indie pop, si dà con grazia a ogni scatto fotografico e spinge il pedale con il tacco, ogni notte, per provare di nuovo a dare sostanza all’eco di Kevin, oramai perduto fra le stelle di un suono che non riesce a venire a patti con la materialità. Ah Bilinda. Ci mancherai, lo sappiamo già ora, quando ti dissolverai anche tu in un mare di suono e della tua essenza angelica ci rimarrà l’eco di un paradiso innocente. Scorporata nelle linee parallele del tremolo, come un’onda anomala. Sarai la sostanza di poeti che cercheranno di disegnare il tuo profilo fra le stelle, senza riuscire a catturarti mai.
- Il concreto. (via mail, non saprei da dove). “Diofà! Grazie”.
- Il filo-friulano. (via mail, luogo sconosciuto). “Non mi sorprende te l’abbiano mandate dal Friuli, ho tanti amici là”. Chiedo un filo di spiegazione alla cosa, ma non risponde al mio messaggio.
- Il monotematico. “Bella, e brava. Puoi chiederle se ha degli ep dei My Bloody Valentine, ma solo stampe originali, da vendere?”. Faccio presente che non è reale, ma si tratta soltanto di una foto. “Ah, pensavo comunque avessi un contatto”.
- L’utilitarista. “Grandissima chitarrista. E indubbiamente, bel personale. Sono immagini che torneranno utili nei momenti difficili, come le ultime pagine di Rockerilla degli anni ottanta. Quelle sul metal, con le tipe bionde con i bikini striminziti di pelle nera borchiata”. Tutti i presenti annuiscono in silenzio.
Non male, no? È pur sempre primavera, fioriscono gli alberi di pesco e sbocciano i feedback sugli amplificatori. Godiamoceli.
Playlist:
cose che mi sono piaciute:
Dischi:
Sun Kil Moon Benji (Caldo Verde)
L’album definitivo di Kozelek. A breve, una lunga riflessione sul disco firmata dal nostro collaboratore di lusso: Il Direttore.
Aidan Moffatt/Bill Wells Everything’s Getting Older (Chemikal Underground)
2011. L’ex Arab Strap e il Morricone di Scozia.I rapporti umani messi a nudo totale. Vale la pena tornarci ogni tanto.
Selfimperfectionist w/ ILM :act :reshape (L.M.H.)
Il reshape dell’esordio di selfimperfectionist. Tooting Park Station si riempie di nuovi suoni. Un po’ più tenera è la notte.
Weekend The ’81 Demos (Blackest Ever Black)
La naturale prosecuzione degli Young Marble Giants. Arte minimalista.
Bill Callahan Have Fun With God (Drag City)
“Dream River In Dub”, avverte lo sticker. Ma è un dub notturno, senza sole, quasi morbido. Ipnotico.
Libri:
Michael Sandel Giustizia – il nostro bene comune (Feltrinelli)
Filosofia politica e morale, Harvard. I diritti dei singoli e l’utilitarismo, agganciati alla realtà. Illuminante.
Altro:
Corrado Augias: “Io ti voglio bene, Corrado Augias. Mi piace quello che dici, ma soprattutto come lo dici. Quell’italiano così fluido e impeccabile. Il timbro sopraffino della voce. Come metti a posto cretini e maleducati con risoluta eleganza. Ti prego, proteggimi da quelli che mi scrivono le mail e scrivono fiume Po’ con l’accento, dai barbari dei forum, dai telecronisti di calcio che urlano e dicono “spizzata del difensore”. Ma cos’è una spizzata, Corrado Augias? Me lo dici tu com’è stato possibile lasciare entrare questa parola nel nostro lessico quotidiano? Grazie, grazie di tutto, Corrado Augias”.
(foto di Roberto Zava)
Lo so, questo è il privè di febbraio e siamo al 13 di marzo. Non va bene. Ma è stato un mese complicato. Impegni a valanga, ho consegnato un libro nuovo, si è rotta la lavastoviglie, abbiamo perso il derby (come sempre). Insomma un sacco di doveri imminenti e guai assortiti. Quel genere di settimane in cui vagheggi di andare a vivere su un alpeggio, in un salubre silenzio degno di un disco di Ryoji Ikeda (per esempio la colonna sonora di See You At Regis Debray, il nulla assoluto in ben due cd). Ritemprarsi la mente e forgiare il corpo: pii desideri inarrivabili. Hai sonno, troppi caffè e un malsano desiderio di vita normale, una roba stile fictionsuraiunoepoisubitoadormirenonvogliosapereniente. Sono segnali pericolosi. Intanto tiri dritto e ignori le occhiaie degne di Peter Murphy. Poi però, come sempre, succedono piccoli fatti miracolosi che ti salvano. Micro regali inaspettati. Apro la posta e trovo una mail di Andrea P. da Pordenone. È un cliente simpatico, mi ha ordinato già dei dischi in passato, condividiamo una passione smodata per l’ep dei Moin e ha anche un collega, Davide D., cui ho spedito diverse cose, tra cui un 10” della Backbeat Band. Insomma gente dai gusti raffinati e non disgraziati come quello che poco prima di controllare le mail mi aveva domandato “Raccolte per far ballare gli anziani? Ne abbiamo?”. Mentre mi chiedo che cosa ballino gli anziani (Rita Pavone? I Vanilla Fudge? Pipino e i suoi Pinguini?) e drammaticamente come (sostenendosi l’un l’altro? con il girello ospedaliero?), leggo il messaggio. Ma soprattutto, apro l’allegato. Sono foto del concerto al Kino Siska di Lubiana dei My Bloody Valentine. L’autore si chiama Roberto Zava e si vede che ci sa fare. Di solito le foto dei live sono sfocate da far schifo e qualcuno tenta sempre di giustificarne la pochezza con un pietoso “Ti piace l’effetto mosso? Non volevo fare il solito scatto banale in posa”. Le guardo, salto subito quella del venerabile Kevin Shields perché, come già detto altrove, mi ricorda Gianroberto Casaleggio e la cosa mi agita. Proseguo. Appare Bilinda Butcher. La sublime, meravigliosa Bilinda, dea di dolcezze assonnate (la svegliavano alle sette di mattina, per farla cantare in modo pigro e sensuale) e rumori assordanti (il feedback assoluto dei mbv). Ha un vestito corto e quello sguardo mite da frastuono imminente. Bellissima. Quindi eseguo un gesto da shoegaze al contrario: sono io a guardare le sue scarpe. Mi immobilizzo di fronte alla foto. Lo ammetto, sono l’esatto contrario di un feticista del piede. Anzi, mi fanno schifo i piedi e tutto ciò che li riguarda, donna e uomo, senza distinzione. Ribrezzo. Ma qui, in questo scatto che evidenzia il tacco di Bilinda sulla pedaliera, c’è della poesia. Arte, azzarderei. Eleganza e promessa. Le ho indossate per voi e adesso, con la loro semplice pressione, vi divoro le orecchie. Permetto al feedback di spazzar via le vostre ansie, affogate senza remore nell’onda degli amplificatori. E da là sotto afferrate appena la dolcezza delle mie parole. Con questo tacco, io vi salvo. Ok, sono “andato”, completamente bollito, in pieno delirio mistico shoegazistico. Sarà il mancato riposo, i troppi ascolti di Loose My Breath in gioventù, i capelli pettinati di lato e le Fender Jazzmasters allineate, non saprei, ma rimango comunque ipnotizzato. Immobile di fronte allo schermo. Mesmerizzato dalla calzatura che sprigionerà l’adorabile massacro. Non riesco ad alzarmi. Gli eventi e la triste realtà decidono per me e dopo una manciata di ore, mi stacco mio malgrado dalla postazione. Ma ci torno a intervalli molto brevi, felice della mia sindrome di Stendhal targata Creation. Ringrazio i benefattori friulani, guardo Bilinda e rispetto tutte le mie scadenze. Ma le voci iniziano a girare: “Mi hanno detto che hai delle foto interessanti nel retro…”, “Novità dei My Bloody Valentine…?”. Qualcuno ha fatto la spia o forse io in una sorta di veglia sonnambulistica mi sono lasciato scappare qualcosa. Ma non posso sottrarmi. E così disciplino delle visite guidate alle immagini di Bilinda. Decido io i tempi e le modalità. È una cosa a metà tra la comitiva giapponese al Louvre e i mistici post chiavate senza frontiere devoti della Madonna di Medjugorje. Per un’esperienza più completa, metto Soon di sottofondo. Guardo le espressioni, memorizzo i commenti, finiranno forse nel prossimo privè. I devoti aumentano. Le sacre icone sono state rese qui disponibili. Guardate le foto e convertitevi, non è mai troppo tardi per abbracciare una fede consona ai vostri meriti. Fatelo, For the love of Bilinda.
Playlist:
cose che mi sono piaciute:
Dischi:
Liminanas Costa Blanca (Trouble In Mind)
Duo di Perpignan tra garage fuzz, (molto) Gainsbourg e cinematografia italiana. Tres cool.
Morrissey Satellite of Love (Parlophone)
Assolutamente inutile. E come tale, adorabilmente imperdibile.
Libri:
Aleksandar Hemon Il libro delle mie vite (Einaudi)
Ennesimo gran libro di auto biografia travestita da romanzo/racconto. Cosa significa sentirsi stranieri, come scoppia una guerra.
Altro:
I Perturbazione a Sanremo. Vederli così eleganti e con una canzone “più loro” di quelle recenti è stata una bella soddisfazione. Non guardavo Sanremo da quando ha vinto Alice ed è stata una prova disumana. Certi passaggi mi hanno ricordato alcuni esperimenti di rettocolonscopia telepatica.