L’episodio risale ancora alle vacanze estive. Sono in macchina con tutta la famiglia, saranno le ventidue circa. Cosa ascoltare è una faccenda delicata. In genere comandano le bambine. Ma non ce la facciamo più a sentire il cd delle Winx. Non male, per carità, ma ormai l’ho messo più di Unknown Pleasures e comincio a manifestare un leggero nervosismo. Le compilation? Il Festivalblat, mio raccoltone estivo ormai entrato di diritto, insieme agli agnolotti di Natale, nella tradizione di famiglia, ha già fatto diversi giri. Ho pronto Personal Record di Eleanor Friedberger, ma perdo l’attimo vincente. “E se mettessimo la radio?”. “Ok, no RTL o simili”. Questo sono io, patisco le radio incatenate all’heavy rotation. Sempre le stesse canzoni, sempre e sempre. E per giunta tre quarti mi fanno schifo. E mi entrano in testa. E hanno dei testi per idioti conclamati. E mi entrano in testa. “Mettiamo la RAI?”. Questo sono di nuovo io. La RAI ha buoni programmi e so che, visto che non ci sono eventi sportivi in corso, il resto della famiglia non temerà trappole. “Ok, metti la RAI”. C’è una voce femminile. Brava, ben impostata, non mi tratta come un cretino. Non sembra fatta di crack mentre dice cose tipo “ragazzi c’è un sole fantastico e scommetto che la Sara è già in spiaggia di brutto”. Mi rilasso, di sicuro non passeranno Pezzali. La conduttrice ci informa che ora toccherà a un artista eclettico, che ha saputo cambiare la propria musica sempre un attimo prima, un innovatore. Uno che ha introdotto l’elettronica nel proprio codice, cercando sempre di anticipare e cogliere i cambiamenti. Che ha inciso sui tempi, sia con i testi che con le sonorità. “Cristo” penso “meno male, adesso ascoltiamo Brian Eno”. Pochi secondi dopo parte Jovanotti. Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti. È lui. Rischio di andare fuori strada, di sfasciare la serranda chiusa di Ortofrutticola da Silvana con il muso della macchina. Divento pazzo. Ma come? Ora, ognuno fa quello che vuole e per chi vuole, ma qui si sta esagerando. Sono settimane che tento di togliermi dal cervello Estate (io avrei voluto assistere alla riunione in cui hanno deciso il titolo) e adesso qui me la spacciano per il frutto di un genio? Stiamo parlando della canzone che fa “sento il mare dentro una conchiglia, estate, l’eternità è un battito di ciglia”? Quella? La stessa che finisce con “ma che caldo ma che caldo ma che caldo fa ma che caldo in questa città”? Dai. E poi anche questa cosa dell’elettronica. Smettiamola. L’elettronica esiste da almeno cinquant’anni e non è che basta mettere due bum bum o un synth alla cieca per diventare moderni. Smettiamola. Innovare è una cosa seria, nelle trame di cotone puro del pop più solare come nelle pieghe aguzze dell’avanguardia. Bisogna sapere e volerlo fare. Non è che vale sempre tutto. Così m’incazzo e spengo la radio. Perché sono certo che passeranno pure Pezzali. Inveisco, vorrei sputare, ma ho paura che mia figlia piccola lo scriva magari in un tema. Descrivi le tue vacanze: “Io e la mia famiglia siamo andati al mare. È stato molto bello. Mia mamma ci pettinava come bambole e mio papà sputava addosso alla radio”. Arrivati a casa li costringo a sentire Caldo dei Diaframma e Azzurro di Paolo Conte. Spiego la grandezza dei due brani, l’abbandono afoso della prima, la genialità popolare della seconda. Le fabbriche chiuse, il baobab. Sento che un po’ mi compatiscono. La verità è che a loro piace Jovanotti. Davvero. Si contengono, perché hanno paura che le denunci, ma lo apprezzano sinceramente. E allora vado a prendere gli Haxan Cloak, sento il bisogno di una cosa scurissima e buia, difficile e che posso capire solo io. Un antidoto. E mi domando come sia possibile che sempre e comunque il mondo abbia un bisogno urgente e insanabile di Jovanotti. A tutti i livelli. Anche ai concerti delle band italiane indie più compromesse. Di quella forma di simpatia. Che possa immaginare di metter piede in una grande chiesa che passa da Che Guevara a Madre Teresa di Calcutta. Che creda davvero che Che Guevara e Madre Teresa di Calcutta siano orizzontali, assimilabili. Ma per chi ci prende questa gente? Davvero ritengono che si possano rivalutare le canzoni degli 883? Gandhi, San Patrignano, tutti con in mano birra e camogli noi senza fidanzate troie né mogli noi? Mi dispiace, ma non è tutto uguale. Rivendico la necessità delle differenze, dei solchi invalicabili. Del mancato evvabbè concesso per una briciola di successo ottenuto di riflesso o per pietà. Del rifiuto dell’allegria conquistata al sottocosto Lidl, quella che un giorno, mentre ci ricordiamo vagamente degli Husker Du e del fatto che la rivoluzione comincia ogni giorno, davanti allo specchio, ci coglie impreparati e con un sorriso da gibbone. Proprio davanti a quello specchio. E allora, piuttosto, Penso Negativo.
Maurizio Blatto
Playlist
(cose che mi sono piaciute)
Dischi
Moin Ep (Blackest Ever Black)
I Raime che si fanno Slint. Tremate, il post rock sta tornando.
AA VV Scared To Get Happy (a story of indie-pop 1980-1989) (Cherry Red)
Il box definitivo dell’indie rock inglese. La Bibbia del me ne sto in casa con i miei dischi e che bello fuori piove. Unico difetto: il sistema, diabolico, con cui sono stati sistemati i 5 cd. Una specie di argano in plastica che, ovviamente, ho già spaccato.
Death In June But, What Ends When The Symbols Shatter? (NER, 1992)
A distanza di anni, un disco impressionante.
I Camillas Costa Brava (Wallace +)
Geniali e commoventi. Giovane donna sono i Velvet e La canzone del mare è Battisti. Serve altro?
David Kilgour Frozen Orange (Merge, 2004)
Disco dimenticato del leader dei Clean, registrato con membri dei Lambchop. Dunedin & Nashville. Basterebbe da sola Gold In Sound, delizia pop assoluta.
Saluti da Saturno Dancing Polonia (Goodfellas)
Visto anche dal vivo, è quasi fiabesco. Cantautorato fiabesco.
Eleanor Friedberger Echo Or Encore (Merge)
Il disco (Personal Record) vale nel suo intero, ma questa è una delle canzoni dell’anno. E allora, Eleanor Put Your Boots On.
I Cani Glamour (42 records).
Un grandissimo, lui. Pop e sguardo interno doloroso.
Roma città, è aperta.
Libri
Emmanuel Carrère Vite che non sono la mia (Einaudi)
Dopo Limonov, un’ossessione. Uno dei più bei libri mai scritti sulla morte.
Emmanuel Carrère L’avversario (Adelphi)
Come dice l’Autore: “Ho pensato che scrivere questa storia non poteva essere altro che un crimine o una preghiera”.
Auslander Shalom Il lamento del prepuzio (Guanda)
L’umorismo ebraico è un’arte superiore.
A Dio, ci penso io, parola di Shalom.
Marcello Marchesi Il Dottor Divago (Bompiani)
Un genio. Ci sono più intuizioni qui dentro che nell’Italia degli ultimi vent’anni.
Marco Lazzarotto Il ministero della bellezza (Indiana)
Sorriso che si fa storto mentre ti accorgi che è quasi vero. Molto possibile. Tragicamente probabile. Un Orwell sabaudo.
Altro
Anghiari (AR)
Luogo incantevole con una vita culturale straordinaria. Dalla Libera Università dell’Autobiografia a Sei Pezzi Facili.
Radiazioni Cult
Ogni venerdì dalle 22,00 sulle frequenze di radio Ciccio Riccio.
www.ciccioriccio.it
Live, interviste e programmazione eccellente.
Quando a Django gli giran le palle e fa una strage in Django Unchained di Tarantino.
Mea culpa (cose che ho sbagliato)
Baustelle Fantasma (Warner). Non capito o quasi snobbato appena uscito, mi è esploso in ritardo. Un disco, soprattutto, di grandissime canzoni.
Cosmo Disordine (42 records). Gli ho dato 7 su Rumore, ma mezzo voto in più, almeno, lo meritava. Soprattutto dopo averlo visto dal vivo, con le ballerine e la versione acustica di Esistere.