Antipasto? Due fette di Playlist, grazie

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Troppo presto? Mai.

C’è già chi pensa al traguardo della playlist di fine anno, ovviamente.

A quali nomi entreranno nel novero de “sì, questo lo metto tra i dieci”.

Così ecco un primo bilancio di dischi meritoveli, firmato nientemeno che da Il Direttore.

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Ducktails

The Flower Lane

Il classico disco che non-se-lo-caga-nessuno. Gia’ un americano che si chiama Mondanile di cognome meriterebbe un premio. Se poi confeziona un pugno di canzoni che non ha paura di flirtare con gli Steely Dan e osa guardare a Paddy McAloon da una disincantata prospettiva slacker, non puoi che applaudire e spellarti le mani.

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Foxygen

We Are the 21st Century Ambassadors of Peace & Magic

Da Westlake Village, California. Un duo che guarda alle pietre che rotolavano con Jagger e Richards negli anni ’70 con la stessa devozione di un bambino che scopre i dischi del fratello maggiore. Ma la loro psichedelia rimane un gesto gentile e disincantato e il calembour di San Francisco una dolcezza da Saturday Looks Good To Me. La summer of love colore pastello.

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Acteurs

Acteurs

Tutti gli ingredienti a posto. Copertina da suggestioni minimal wave, suoni che guardano alla Sheffield dei Cabaret Voltaire e al vuoto spinto londinese dei Raime. Elettronica ancora una volta al servizio di un paesaggio vuoto e asettico. Quanto e’ dolce la contemplazione.

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INC.

No World

La chiamavano witch house. L’R’n’B  che lascia il centro del palcoscenico e si riscopre intimo. E allora non stupisca se in questi suoni si ritrovano spruzzate di new wave e tensioni che guardano più a una pista da ballo. Vuota, afterhours, a luci spente.

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Autre Ne Veut

Anxiety

Quando il restyling degli anni ’80 danza pericolosamente sul filo dell’eccesso e se ne vanta. Una voce che può spiazzare e preferisce terreni più sicuri, uno sguardo sintetico che abbraccia tutti i pre-sintentici dell’era dorata del post craxismo, fino a specchiarsi nella liquidità dei Freur di Doot Doot. Non per tutti, ma rischiando si può rimanere piacevolmente sorpresi

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Sally Shapiro

Somewhere Else

La ninfa dell’Euro pop scandinavo colpisce ancora. Tutto quello che avreste voluto sapere sulle notti in Riviera e il Cocorico’ ma non avete neanche avuto il tempo di chiedere. Il romanticismo dietro il dancefloor come solo lo sguardo tenero di due occhi scandinavi puo’ cogliere. This City’s Local Italo Disco DJ Has A Crush On Me e non c’e’ bisogno di spiegare altro.

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My Bloody Valentine

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Un miracolo.

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Iceage

You’re Nothing

Il post punk come lo insegnerebbero in un corso apposito all’universita’.

Ma con una freschezza e un bersaglio chiari.

Non fa prigionieri e non vuole farne.

Proprio come nel 1981.

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Rhye

Woman

Velluti, luci soffuse e caldo uterino. Everything but The Girl e Sade declinati elegantemente per questi tempi angusti.

Un fascino quasi sovraesposto per canzoni che partono dall’r’nb ma arrivano in camera da letto con sospiri jazz

che leccano le ferrite, dolcemente ma in profondita’.

Da rimanere in cameretta quando fuori piove, meglio se non da soli

 

 


Record Store (the) Day After 2013

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Grande entusiasmo per il Record Store Day 2013 di Backdoor

in playlist abbiamo

Thomas Guiducci,

accompagnato da Stefano “il Cardinale” Chiappo,

esibizione live in negozio

poco meno di un ‘ora di blues tra Po e Mississippi con chiusura trionfale e cori dei presenti su

Ghostrider In The Sky che si tramuta in una versione folk paludosa di Romagna mia.

Grandioso

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-il pranzo indoor di Backdoor

più abbondante di un banchetto del villaggio di Asterix, più certificato di un presidio Slowfood:

si segnalano

la milanese in carpione, ampia selezione di formaggi con gorgonzola da top five dell’anno, acciughe al verde, insalata russa con decoro Matinée records, Dolcetto doc, torte salate garantite con ortaggi Poc Ma Bun, cabaret di bignole e pasticceria assortita da paradiso diabetico e fragole in libertà

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un ringraziamento ai Sensibles,

https://it-it.facebook.com/thesensibles/app_2405167945

che hanno regalato cinque 7″ ai primi clienti del Record Store Day!

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e un brindisi alla vittoria di Backdoor (ci torneremo)

http://www.lastampa.it/2013/04/19/cronaca/costume/la-musica-ha-un-cuore-di-vinile-quello-di-torino-batte-da-backdoor-ZPRVWOkPbchbQKvrPyIJ0N/pagina.html

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il dj set creativo (una sonorizzazione ipnagogica, un cut up tra le memorie attuali e future degli anni 80) di

Selfimperfectionist/Giorgio Pilon

The Evening. Burning Light!

superbo!

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The Aperitivo’s Crowd

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il bar chiude

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Grazie a tutti quelli che si sono “esibiti” e ai tanti che sono venuti a trovarci nel corso della giornata.

Ci siamo enormemente divertiti

Dedichiamo il nostro Record Store Day ai due ragazzi giovanissimi che in mattinata hanno comprato un vinile di Marvin Gaye e Tammi Terrell e uno di Donny Hathaway. Disapprovano i compagni di classe che scaricano, si sono goduti il live con una birra in mano e hanno lodato lo spirito dei negozi di dischi. Il futuro è loro.

Come dicevano i ballerini sudati del Northern Soul: Keep The Faith!!


Record Store Day 2013 !

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Sabato 20 Aprile 2013

Backdoor

www.backdoor.torino.it

Via Pinelli 45

Torino

RecordStoreDay2013

 

 

 

 

 

 

Ore 11,30

Solo acustico (blues, folk, r’n’r e Romagna Mia in versione Mississippi)

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Ore 13,30

Indoor picnic Backdoor

(si mangia in negozio: tavola a quadrettoni, cotoletta in carpione, frittata, vino e torta casalinga)

Posti esauriti, spiacenti

Ore 18,00

giorgio

 

 

 

 

 

 

 

The Evening. Burning Light!

selezioni di Selfimperfectionist (Giorgio Pilon)

italo guilty pleasure & ambient bleeps/aperitivo

 

vi aspettiamo!

 


Moz on Mixtape!

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Ricordate le cassette miste? La fine arte del mixtape? Il desiderio di comunicare chi si era tra un lato A e un lato B?

Le copertine fatte a mano?  I titoli a pennarello?

Lo so, i tempi cambiano. Ma lo spirito rimane e rivive, splendidamente direi, in questo sito

http://www.mixtapefanclub.com/

 

fatevi un giro, ne vale la pena

e se a Pasqua siete a casa, tra uova e dolce pigrizia, bè, godetevi questo:

http://www.mixtapefanclub.com/component/joomgalaxy/Entry-Detail/35-With-Moz-On-Our-Side?Itemid=100?reloaded=true

 

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futebol

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sezione Amarcord

Mi è tornato in mano questo libro dopo molto tempo: è una delle cose più divertenti mai scritte sul calcio.

Intervistai l’autore per Il Mucchio Selvaggio (collaborai  con loro per poco tempo – e gratis…- alla sezione “libraria”)

era il 2004

ALEX BELLOS

Futebol parlado

Di Maurizio Blatto

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Dagli spalti si leva un coro “Alex! Alex! Alex!”. Tranquilli, non si tessono qui le lodi di Pinturicchio-Del Piero. L’invocazione da curva, piuttosto, è tutta per Alex Bellos, autore di Futebol (edito dalla Baldini Castoldi Dalai): uno dei migliori libri mai scritti sul calcio nonché un’acutissima panoramica sociale sulla nazione carioca. Il Brasile è quel Paese dove la filosofia la fa veramente Socrates a colpi di tacco e dove la sconfitta con l’Uruguay ai Mondiali del 1950 (giocata al Maracanà) viene ancora definita “la nostra Hiroshima”. E Bellos ne è stato, con il suo libro, un cantore superbo. Non potevamo non intervistarlo. Quindi, eccoci. Palla al centro, via.

Com’è nato il libro? Hai sempre vissuto in Brasile?

Sono arrivato in Brasile nel 1998. All’epoca ero stufo del mio lavoro come reporter, speso negli uffici londinesi del Guardian. Non ero mai stato in Brasile prima, ma era un Paese che mi aveva sempre incuriosito e così ho lasciato il mio impiego e sono volato là. Ho iniziato scrivendo articoli come freelance e nel giro di sei mesi sono diventato corrispondente del Guardian per il Brasile. Così, mentre l’idea originaria era di fermarmi un anno, alla fine ci sono stato per cinque. Nel 2000, la Bloomsbury mi ha proposto di scrivere un libro sul calcio. Essendomi sempre occupato di cronaca e approfondimenti ho declinato l’offerta, suggerendo che l’incarico venisse affidato a un vero giornalista sportivo. Subito dopo, però, ho pensato che proprio perché non ero un giornalista sportivo, avrei potuto scrivere un libro interessante. Ho sempre amato il calcio, ma non avevo intenzione di scrivere un libro “di genere”. Ciò che mi interessava era evidenziare come il calcio influenzi la vita culturale e come la cultura si rifletta nel pallone. Pensavo di avere la distanza necessaria per farlo, esattamente perché non avevo mai scritto di sport prima. Così ho firmato il contratto nel Luglio del 2000 e a Maggio 2002 il libro era pronto.

Futebol si apre con la saga dei giocatori brasiliani impiegati nel campionato delle isole Faroe. Marcelo Marcolino e gli altri “esiliati” carioca si dividono tra mercati del pesce, ghiacciate mortali e persino ruoli da panchinari. Ma, alla fine, questa è una storia triste o semplicemente bizzarra?

Non so se sia triste o divertente e non voglio risolvere la questione. Da un certo punto di vista questi brasiliani sono depressi e tristi perchè isolati e incastrati nel freddo, ma è anche vero che, per quanto strano possa sembrare, stanno vivendo i loro sogni. Ho voluto far iniziare il libro dalle Isole Faroe perché ci tenevo a dimostrare quanto potesse essere internazionale la “marca” del football brasiliano, ma anche per cambiare gli stereotipi che avvolgono quella “marca” stessa. In Brasile è molto facile sapere dove finiscono i giocatori, perché sono tutti registrati alla CBF, la Confederecao Brasileira de Futebol, e perché il Placar, una rivista specializzata, pubblica ogni settimana un articolo su un brasiliano che gioca in qualche angolo remoto. Ho scelto le Isole Faroe perché hanno la reputazione di aver le squadre più deboli d’Europa, sono freddissime e anche perché quasi nessuno sa dove siano realmente.

Il calcio, per i brasiliani, assume ancora il vecchio valore del “panem et circenses”? Ha un ruolo nel mantenimento della quiete sociale?

Il calcio fornisce ai brasiliani un senso di comunanza fortissimo, esattamente come il carnevale e la religione. Non so, fra i tre, quale sia il più importante. I brasiliani sono sempre stati meno bellicosi e più accomodanti di tutti i loro cugini sudamericani. Non hanno avuto una guerra d’indipendenza sanguinosa e anche i loro dittatori si sono dimostrati meno violenti rispetto a quelli cileni o argentini. In qualche modo si può sostenere che il calcio abbia aiutato a cambiare radicalmente la nazione. Persino durante la dittatura era concesso esporre striscioni a favore della democrazia negli stadi.

Uno dei punti di forza del tuo libro è la straordinaria galleria di personaggi al limite dell’incredibile. Chi, tra Mauro Shampoo, calciatore, parrucchiere e maschio, il fan club gay del Vila Nova e Padre Santana, guru nero del Vasco da Gama (per tacer degli altri) ti ha sorpreso di più?

Devo dire che scoprire che Aldyr Garcia Schlee, l’uomo che disegnò le magliette della nazionale brasiliana, sia tutt’oggi un tifoso dell’Uruguay, mi ha veramente lasciato di stucco. Non ci si può davvero credere.

Un altro paragrafo memorabile è quello dedicato al Peladao della foresta pluviale, la Grande Partitella, dove al termine di un’infinita serie di eliminatorie si arriva alla Finale, giocata secondo regole amatoriali e affiancata (e in qualche modo, determinata) dalla gara di bellezza delle reginette delle squadre coinvolte nel torneo. E’ questa la miglior metafora di tutto il calcio brasiliano, dove tutti sono coinvolti, uomini e donne, e secondo regole proprie?

Non sono sicuro che la Grande Partitella sia una vera metafora. Piuttosto la riterrei un microcosmo all’interno del Brasile stesso, un concentrato di “brasilità”: amore per il calcio, per le donne, per la burocrazia e per le feste. Penso che Manaus, la capitale della foresta pluviale, esalti ed esasperi le caratteristiche brasiliane, perché è molto isolata e anche dannatamente calda. Tutto è a un punto di bollitura. L’intera faccenda del concorso di bellezza femminile legato al torneo è fantastica perché, senza vergogna alcuna, è assolutamente “politically incorrect”. Alla fine, chi se ne frega, diciamocelo: una competizione di bellezza femminile è molto più eccitante di qualsiasi partita di calcio femminile…

Che cos’è che rende il calcio brasiliano così differente dagli altri e, soprattutto, è davvero il più bello del mondo?

Il calcio, ormai, è così “internazionalizzato” che anche in Italia i brasiliani giocano come gli italiani. Thierry Henry è molto più brasiliano di Elber o Emerson! Quindi, quando li guardi da vicino, non sei più così sicuro che i brasiliani giochino in un modo tutto loro. Ma ciò che è certo è che noi ci aspettiamo che lo facciano e pensiamo che pratichino un calcio differente anche quando, in realtà, non lo fanno affatto. Alla fine, ciò che rende i brasiliani davvero unici è tutta l’esagerazione romantica che gli mettiamo noi sopra. Ma, d’altro canto, il popolo brasiliano è realmente unico. Quando guardi una donna, o anche un uomo, passeggiare lungo Copacabana, cammina “come un brasiliano”. Muove i fianchi in un modo inimitabile, molto più elegante e ritmico di quello di qualsiasi europeo. Ecco, qualcosa di quell’ondeggiare lo puoi trovare nella corsa e nei dribbling di molti giocatori brasiliani. Solo un brasiliano può correre come Ronaldinho, ed è una cosa splendida (ma è anche vero che Emerson non corre come Ronaldinho…).

Sei diventato tifoso di qualche squadra brasiliana in particolare?

Non ho una squadra del cuore. Mi piacciono il Botafogo, il Corinthians e la Fluminense, ma ho mantenuto un approccio da turista e non da tifoso. Comunque detesto il Flamengo e il Vasco da Gama.

E in Inghilterra?

Sono cresciuto in Scozia, ed ero tifoso dell’Heart of Midlothian, la squadra di Edimburgo (e di Pasquale Bruno, ah! ndtg-nota del traduttore granata). Ora che vivo a Londra, la mia squadra è il QPR, i Queens Park Rangers.

Hai in programma un altro libro calcistico?

Non ho alcun progetto al riguardo, ma continuo a scrivere articoli. La maggior parte può esser letta sul mio sito www.futebolthebrazilianwayoflife.com o su www.alexbellos.com. Lì ci sono anche foto che non ho messo nel libro e articoli e interviste di altri giornalisti sul calcio brasiliano.

Segui il calcio italiano? Hai una squadra “di riferimento”?

Non sono tifoso di nessuna squadra italiana in particolare. Seguo quelle dove militano alcuni dei miei giocatori preferiti e mi piace quando i brasiliani si mettono in mostra, come Kakà nel Milan.

La tua passione per il Brasile si estende anche alla musica?

Amo la musica brasiliana. Ho contribuito alla selezione dei brani di un cd di musica brasiliana legata al mondo del calcio. Si chiama Mùsica de Futebol, è edito dalla Mr.Bongo e raccoglie tutti i grandi della musica carioca: Caetano Veloso, Chico Barque, Jorge Ben, Elis Regina e persino Pelè, che canta una sua canzone. L’idea era quella di raccontare la storia della musica brasiliana attraverso il calcio, visto che tutti i grandi della musica brasiliana hanno scritto di football. Ascolto anche un sacco di musica brasiliana moderna, le compilation Favela Chic sono grandi e anche il nuovo lavoro di Marcelo D2 è eccellente.

Scegli un uomo o un’immagine per rappresentare il Brasile intero.

Senza ombra di dubbio, Cotonete. L’uomo sdentato con la pettinatura folle che fa il tifoso di professione, “lavora” nelle strade di San Paolo e vive per i Campionati del Mondo. Lui è totalmente Braziiiiiiiil!


Mucchio febbraio 2013 -Last Shop Standing – Intervista

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Sul numero di febbraio 2013 del Mucchio Selvaggio c’è un bell’articolo di Chiara Colli, intitolato “Last Shop Standing. Il vinile ci seppellirà”. È un’analisi della (dorata? eroica?) sopravvivenza dei negozi di dischi indipendenti. La rotta è Londra-Torino-Firenze-Roma. Circostanziato, scorrevole e molto preciso (caratterista rara, ahimè), l’articolo contiene varie testimonianze dirette. Tra le quali la nostra, con diversi estratti da un’intervista che, grazie alla gentilezza di Chiara, riportiamo qui integralmente.

 

1. Cominciamo da qualche accenno sulla storia del negozio: quando ha aperto? Qualche passaggio “saliente” della sua esistenza?

Backdoor nasce nel 1982. Trent’anni di onorata carriera. Lo apre il Signor Franco e, inizialmente, lo chiama Metal Bridge. Una grande decalcomania a muro del ponte di Brooklyn e la scelta di puntare sul metal giustificano la scelta. Poco dopo (esattamente quando il metal inizia a “tirare”) vengono abbandonati metal, nome e la decalcomania scompare dietro poster e copertine di vinili. La new wave impera e si spazia fino al reggae. Grande attenzione per i gruppi italiani (Stefano Giaccone, già nei Franti, lavora per alcuni anni in negozio) e per tutto ciò che oggi etichettiamo come post punk (molto in linea con la stereotipata immagine di Torino grigia e industriale). Tra i primi, Backdoor cura collezionismo e vendita per corrispondenza (catalogo amanuense spedito via posta). Io faccio il salto del bancone da cliente a commesso e poi socio, cancellando la più veloce carriera da (non) avvocato di tutta la storia forense. Il vinile, anche nei periodi bui e difficili, non viene mai abbandonato. Nel “solco” della tradizione.

 

2. Chiaramente il tema saliente dell’indagine sui “last shops standing” è strettamente connesso con la crisi dell’industria musicale: sebbene sia un’evidenza innegabile, ci sono varie versioni sulle motivazioni che hanno portato prima l’industria musicale a entrare in crisi e poi molti negozi di dischi indipendenti a chiudere. Quali sono secondo te, e secondo la tua esperienza, i motivi principali per l’Italia? Puoi darci un’indicazione temporale di massima di quando la situazione è cominciata a cambiare?

 

Molto semplice. Tutto è cambiato dopo la diffusione mondiale del download illegale. Non ci vuole il cast di C.S.I. per capirlo. Poi qualcuno avrà lavorato male, qualcun altro non sarà stato propositivo o magari poco appassionato o aggiornato, ma la faccenda gira tutta intorno al filesharing. Dopo il Ground Zero di cinque anni fa circa, i pochi sopravvissuti (forse i più attenti e professionali), hanno ricostruito su quanto rimasto del mercato

 

 

3. Com’è la situazione a Torino?

 

Torino se la passa molto meglio di tante altre città. Ha una solida tradizione di passione musicale e di acquisto (ma non solo, ha moltissime librerie e parecchie sale cinematografiche). È una città europea che non si vanta di esserlo. Lo è nei fatti. Io ho comprato in molti posti diversi, ma Backdoor, prima che diventasse anche mio, è sempre stato il mio negozio di riferimento.

 

 

  1. 4.  Backdoor è a tutti gli effetti un last shop standing: quali sono i punti di forza del negozio, i motivi per cui secondo te ha resistito e sta resistendo a questo periodo buio per la cultura in generale, intesa come bene che merita di essere pagato per il valore che ha?

 

Backdoor è un rifugio solido e accogliente per gli appassionati musicali. Lo dico senza retorica perché lo è anche per me. Chi viene in negozio si compra sì dei dischi, ma anche una fetta di buon tempo. Sa di incontrare suoi “simili”, le sue follie saranno reputate normali. Qualcosa a metà tra il Circolo Pickwick e la bocciofila pop. Se resistiamo con soddisfazione è anche per questo. Poi, commercialmente parlando, paga anche la passione (terminale, la mia), l’offerta (rarità e piccole etichette, usati e collector) e un certo senso di condivisione. Tipo domandarsi a marzo “Sai già il tuo disco dell’anno?”. O anche “Ho rivisto la mia playlist del 2008, guarda un po’”. Roba così, malattie di goduria.

 

5. Se invece dovessi individuare alcuni errori che sono stati fatti sia dalle etichette che dai negozi di dischi…?

Bè, alcune etichette hanno fatto dischi brutti, ma questo è normale. La major (le tante odiate major che però hanno stampato il 99% dei dischi di classic rock su cui tutti, soprattutto i giovanissimi, sbavano oggi) non hanno forse voluto vedere il futuro com’era realmente. Ma, insisto, se non fosse intervenuto il download selvaggio, non parleremo di tutto questo. Per quanto riguarda i negozi, ognuno ha la sua storia. Credo, in generale, che chi avesse più competenza e curiosità sia stato premiato. Chi compra riconosce i suoi eguali, anche se sono dall’altra parte del bancone.

 

 

6. Che politica dei prezzi avete? È stato un aspetto che avete dovuto cambiare negli anni? “Gli affari” come vanno rispetto a 20-10 e 5 anni fa?

 

Un luogo comune da discorso da bar è “si lavora il doppio per guadagnare quello che si guadagnava cinque anni fa”. Ecco. Noi abbiamo prezzi che vanno dal disgraziato (le casse dei due euro –non si ascoltano, non si cambiano- buttate in basso) al collezionismo d’elite. Molti vinili a 10 euro (occhi che brillano, fammi vedere che magari scovo qualche meraviglia) e la quasi totalità dei cd usati a 7,50 o 5 euro. Se i giovanissimi comprano di più ultimamente? Direi di sì, e soprattutto vinile e grandi classici. Certificano con begli oggetti passioni nascenti e file mp3 tenuti come polvere ovunque. È sempre una bella soddisfazione dover “spiegare” (e vendere) Velvet Underground e Stooges (ma anche Smiths o Slint).

 

7. Ci sono mai stati momenti in cui avete pensato/rischiato di chiudere?

 

Non direi. Però quattro o cinque anni fa il futuro era molto Bauhaus. Nel senso di nero e cavernoso. Ma io sono cresciuto a pane e Big Star, mi basta un ritornello azzeccato e il mio ottimismo sgomita.

 

  1. 8.  Metto in dubbio che sia un periodo di crisi nera per tutti i negozi di dischi indipendenti. Com’è in questo senso la situazione per Backdoor? Mi confermi il ritorno e la scoperta (spesso perché fa fico, ma tant’è) del vinile, soprattutto tra i giovani?

 

Parlando in senso strettamente commerciale: se il mercato da 1000 diventa 100, ma tu ne conservi comunque 70, le cose non vanno poi così male. Una realtà piccola, se mantiene il “suo” sopravvive e se la spassa moderatamente. Cosa posso dire se non ogni bene del vinile? Noi ne siamo fidati custodi dal 1982 e, sarà anche vero che è di moda (merda, si vede pure nelle pubblicità degli alcolici per superfighi palestrati, che magari ci ascoltano Christopher Cross…), ma di sicuro rimarrà. Ricorderei anche che il cd doveva esser già morto e sepolto da almeno tre anni e invece. Ma il vinile resisterà, perché è il premium definitivo della musica. Puzza e profuma, ha copertine bellissime e orrende, per fortuna o purtroppo ti costringe a leggere i testi. È scomodo e richiede manutenzione. In un mondo di comodità indesiderate ed esteticamente deprecabili, si erge come meraviglia assoluta.

 

9. Backdoor è aperto da parecchi anni: qual è stato il periodo migliore per tutto “il carrozzone” indie?

Direi che l’avvento del post rock è stato indimenticabile. Seconda meta degli anni novanta. Esplosione di etichette, tutto apparentemente nuovo. Adorabilmente “minore” e contaminato. Quando uscì Four Great Points dei June of 44 avevamo la gente fuori che aspettava la sua copia battendo i piedi. Aprivo il negozio e dicevo “Dacci oggi il nostro Slint quotidiano”.

 

 

  1. Parliamo di Torino: dai negozi, alle band ai giornalisti è una città di grande fermento per la musica, credo anche più di Milano: tu che fai parte che questa storia l’ha costruita, sai darmi delle spiegazioni, individuando qualche momento/evento/personaggio chiave di questa vitalità musicale della città?

 

Di Torino in parte ti ho già detto. Siamo abituati a inventare e produrre. Quasi sempre in autonomia. A commercializzare (o a fregarci le idee, secondo un luogo comune sabaudo) ci pensano poi i milanesi. Ma una certa tradizione rimane. Mi sembra di poter dire che qui le cose durano di più (la moda e la velocità, quelle sì, toccano ai milanesi) e, oltre a essere –almeno per me - una caratteristica positiva, si creano così le condizioni per un “ricambio assistito” di chi suona, scrive o anche solo fa il pubblico ai concerti. Non sono sicurissimo che sia ancora del tutto vero, ma lo spero vivamente.

 

  1. La tua esperienza dentro le mura di Backdoor ti ha portato a scrivere un divertente “trattato” sulla vita in un negozio di dischi, che alla fine è una scelta “esistenziale” non solo per via della passione per il “rock’n’roll”, ma anche dal punto di vista umano (il famoso “garantire assistenza” con cui inizi il libro). Quanto ti diverti ancora a fare questo mestiere? Voglio dire, questa benedetta crisi ha fatto perdere il senso dell’unicità del lavoro che svolgete, o riesci ancora ad avere lo spirito giusto?

 

L’ultimo disco dei Mohicani, il mio libro, è stato un piccolo successo proprio perché ha chiamato a raccolta (riuscendo anche a superarlo, per fortuna mia) tutto quel mondo di appassionati che sembrava disperso. Durante le molte presentazioni del libro, venivo sempre ringraziato per aver dato una sorta di legittimità letteraria a quel manipolo di eroi consapevoli che ancora frequenta e sostiene non solo i negozi di dischi, ma la musica stessa. Poi, banalmente, mi sembravano storie troppo divertenti per non esser raccontate e volevo farlo nello stesso modo in cui mi sono smarcato dalla stretta critica giornalistica. Pop fiction. Abatantuono e Billy Bragg. Tutto questo non ha mai intaccato la mia passione personale. Compro ancora moltissimo, mi piace il mio mestiere, leggo un sacco di riviste, sono affamato di ascolti e ogni volta che mi arriva un pacco di dischi nuovi è come soffiare sulla mia torta di compleanno.

 

  1. Il sito, un po’ come propaggine de L’ultimo disco dei Mohicani (o forse è l’idea di quest’ultimo che è arrivata dopo?) contiene delle perle da sbellicarsi dalle risate con le richieste di clienti occasionali del negozio: daccene un paio per chi non ha letto il libro o visionato il sito (o anche delle perle aggiornate, se ci sono).

 

Il sito (www.backdoor.torino.it) raccoglieva le raccolte bizzarre che hanno dato poi il via al mio libro. La gente mi scriveva dicendo che aveva le lacrime agli occhi dal ridere. Potevo non dargli seguito? Una bonus track veloce? Eccola. 24 dicembre: “Ce l’ha quello di Baglioni che canta le canzoni di Natale”. “No, mi dispiace, abbiamo cose più rock, meno commerciali”. “Ah sì? Ma, tutto sommato meglio così. Che poi ancora mi toccava ascoltarla ‘sta cagata. Auguri”. “Auguri a lei”.

 

  1. Stilare una tipologia della clientela è difficile, ma mi chiedevo se al di là dei clienti affezionati e degli extraterrestri di cui sopra, fosse possibile tracciare un’evoluzione dei clienti nel corso degli anni: se l’età della maggioranza dei clienti è cambiata, se ci sono inversioni di tendenze negli acquisti che vanno per la maggiore, se il modo di vivere il negozio di dischi è cambiato.

 

Chi era appassionato di musica e di dischi (il supporto fisico, da smanazzare), secondo me ora lo è ancora di più. Vive con orgoglio e vanto guerriero la sua mania personale. La “crisi” e una certa tendenza all’archeologia vintage (o alla ricerca del colpaccio) hanno ingrossato le fila dei “dov’è il settore delle offerte?”. Ci sono meno clienti occasionali, ma più turisti mirati, tipo “prima di vedere la Mole sono passato da voi” (li adoro).

 

  1. Approfitto del fatto che sei anche giornalista musicale per ampliare il discorso: un’opinione lapidaria sul perché in Italia la cultura, e la musica nello specifico, non viene intesa come un bene per cui non solo è necessario, ma è anche giusto, spendere dei soldi: parlo dei dischi, come delle riviste, come della corsa agli accrediti per i concerti (ora, l’editoria nella sua versione cartacea in tutto il mondo sembra al capolinea, ma noi siamo oggettivamente ai minimi termini). Lo sappiamo tutti che non è solo la crisi, ma è una forma mentis. Da dove viene secondo te?

 

Dal fatto che siamo italiani e prevale la tendenza a essere sempre più furbi. Pensare che i musicisti campino d’aria, che le etichette le sostenga il WWF (e dovrebbe, prima ancora del ghiottone muschiato). Perché ogni tanto qualcuno mi porta un demo (che quasi sempre fa pena) della sua band e mi dice “minchia le etichette non ci cagano”, ma poi non si ricorda l’ultima volta che ha comprato un disco. Il futuro di tutti quelli che gravitano intorno al mondo musicale sarà di esser dopolavoristi di un primo lavoro che non esisterà più. La dignità culturale che questo Paese insopportabilmente anomalo riserva alla musica è degna del suo regime IVA. Un disco vale meno di un libro? Qualche minchione si è preoccupato di guardare come vengono trattati i musicisti in Francia? Perché gente come Ciampi o Tenco (e non parlo degli Unbelievable Cazzons, ma di Ciampi e Tenco) non ha il proprio catalogo disponibile almeno in cd? Perché ho centomila canali tv (da padre Pio alla pesca del luccio selvatico) ma non uno che si occupi con competenza della musica? Perché la gente spende mezzo stipendio per vedere gli U2 da mille chilometri di distanza per fotografare il palco (Hai visto quant’è grande? Ma cos’è un membro equino? E poi che cazzo significa, ha un valore questa metratura?) e poi non tira fuori cinque euro per un gruppo di Vancouver o Pontremoli che è come lui e “spacca” cento volte di più? Il punk ci ha insegnato solo a essere maleducati? La democrazia orizzontale del web (tutto disponibile gratis ora, dai) ci ha aiutato? Ci ha regalato nuove band esaltanti? I Minutemen, ve li ricordate?

 

  1. Mi sembra di capire dal sito che lavorate anche online: è possibile consultare il catalogo e anche acquistare, giusto? Riuscite a fare un po’ di cassa (per dirla brutalmente) anche con la vendita via internet?

 

La vendita per corrispondenza è sempre stato un nostro valore aggiunto. Il sito, ma soprattutto clienti affezionati sparsi per l’Italia. anche parlarsi al telefono consigliando nuove uscite è un bel momento.

 

 

  1. Tu stesso dichiari che, dovendo scegliere, il vinile è il tuo supporto preferito e ormai professarsi sostenitori del cd è un’eresia. Come vedi questo ritorno del vinile? Una moda, un ritorno inevitabile, una salvezza per i negozi di dischi che c’hanno visto lungo e non hanno mai smesso di trattarli?

 

Sul vinile mi sono già espresso. Ma non ho quest’odio unno verso il cd. Io stesso ne ho molti e mi piacciono usati. Costano poco, li puoi sbattere in macchina. Ti consentono di essere più grezzo nell’approccio tattile. È plastica.

 

  1. Il grande faro dei negozi di dischi indipendenti è Rough Trade, nella sua versione a Bricklane: un luogo un po’ a parte rispetto alla situazione internazionale, che si è creato uno status a sé ed è stato capace di fare tendenza ma anche di far interessare al suo “brand” un sacco di ragazzi. Mi chiedevo se da Backdoor cercate di coinvolgere i giovani, con degli eventi, dei mini live, delle promozioni…

 

Anche qui in parte ti ho già risposto. Abbiamo fatto suonare band (talvolta complete, i primi furono i Perturbazione), abbiamo avuto ospiti illustri (da Matt Dillon a Thurston Moore), facciamo spesso merenda commentando le ultime uscite della Captured Tracks, elaboriamo continue playlist, organizziamo gite sociali per i live. Socialità piena. Lo dico con orgoglio, molti miei clienti sono tra i miei amici più cari. Umanamente ricchi, divertenti, geniali. Dovresti conoscerli.

 

  1. In questo senso che opinione hai del Record Store Day? Moda o un appuntamento che potrebbe avere degli sviluppi, magari durante l’anno con più appuntamenti?

 

Credo che lo spirito sia stato in parte snaturato. Soprattutto per le limited edition pubblicate per l’occasione. Le trovi su Amazon o alla Fnac, non esattamente i tipici negozi di dischi da “preservare”. Lo spirito del Record Store Day secondo me da Backdoor, e nei negozi che gli assomigliano (dall’inarrivabile Amoeba di San Francisco a Hellnation di Roma), si respira ogni giorno. È non è retorica gratuita, ma uno dei motivi della loro perseveranza.

 

  1. Una grande differenza che ho notato con l’Inghilterra, è che in Italia il negozio di dischi indipendente è come il farmacista sotto casa: un luogo di ritrovo, con persone a cui si chiedono consigli, con un’atmosfera più familiare. Da Backdoor funziona così? Quanto è importante il rapporto di fiducia, lo scarto che c’è con un qualsiasi HMV, non solo in termini di competenza della persona che hai di fronte, ma anche del rapporto umano che si instaura?

 

Anche qui ti ho già risposto. Ma il vado a farmi due chiacchiere e mi prendo un 7” della Creation (magari…) vale sempre. Nonostante la grandissima offerta e la mole enorme di informazioni, qualcuno che sappia guidarti e consigliarti, serve sempre. Come si suol dire, “siamo qui per questo”.

 

 

  1. Graham Jones, l’autore di Last shop standing, alla fine del dvd si dichiara fiducioso rispetto al futuro dei negozi indipendenti che sono rimasti, perché sono quelli più fichi, che hanno lavorato meglio e che daranno inizio a un nuovo corso dei negozi di dischi. Volendo tirare le somme, tu come la vedi?

 

Direi che i giochi sono fatti, chi è in piedi andrà avanti. Io non mi lamento e cerco di spassarmela. Quando viaggio vado sempre (e compro) nei negozi di dischi, se non ci devo andare per lavoro giornalistico, non chiedo accrediti ai live, compro almeno quattro riviste al mese e aspetto il prossimo disco dei Fall (voglio vedere se mollo io o Mark E. Smith). Insomma, caldeggio un approccio equo e solidale (i Fugazi come il caffè guatemalteco) alla faccenda. La musica ci dà tanto? Bè, almeno in parte ricompensiamola allora.

 

  1. Qual è la tua idea di negozio di dischi indipendente ideale? C’è qualcosa in tal senso che cambieresti di Backdoor? Il coraggio premia, secondo te, in questo settore?

 

A costo di sembrare immodesto: il mio. Ma proprio perché cerchiamo, nei limiti del praticabile, di renderlo il migliore possibile. Cazzo, ci stiamo tutto il giorno. Se no tanto valeva fare l’avvocato. Cosa cambierei di Backdoor? Il cesso, ha sempre qualche guaio e spesso sembra un retro copertina dei Cramps. La grata davanti alla porta dove mi cascano sempre le chiavi e finiscono nella cantina della vicina tra i ratti e le bottiglie vuote. E i due dischi di Allevi che in un momento di follia ho ordinato in vinile. Invendibili.

 

 

 



Votazioni 2012

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Insindacabili, ecco le votazioni finali 2012 dei clienti Backdoor:

VOTAZIONI FINALI

CLIENTI BACKDOOR 2012

swans

 

 

 

Migliori 20 dischi del 2012:

1-Swans “The Seer”

2-Offlaga Disco Pax “Gioco di società”

3-Liars “WIXIW”

4-Colapesce “Un meraviglioso declino”

5-Chromatics “Kill For Love”

6-Raime “Quarter Turns Over A Living Line”

7-Godpseed You! Black Emperor “Allelujah! Don’t Bend! Descend”

8-Demdike Stare “Elemental”

9-Mike Wexler “Dispossession”

10-Daniel Rossen “Silent Hour/Golden Mile”

11-Tindersticks “The Something Rain”

12-Spiritualized “Sweet Heart Sweet Light”

13-Andy Stott “Luxury Problems”

14-John Murry “The Graceless Age”

15-Angus Stone “Broken Brights”

16-Beach House “Bloom”

17-Il teatro degli orrori “Il mondo nuovo”

18-Magic Castles “s/t”

19-Lightships “Electric Cable”

20-Grizzly Bear “Shields”

Miglior concerto dell’anno

1-Grouper (Blah Blah/Torino)

2-Flaming Lips (Gru Village/Torino)

 

Miglior canzone dell’anno

1-Scott Walker “The Day The Conducator Died

2-Offlaga Disco Pax “Piccola Storia Ultras”/“Sequoia”

Miglior disco italiano dell’anno

1-parimerito:

Offlaga Disco Pax “Gioco di società”

Colapesce “Un meraviglioso declino”

Miglior ristampa dell’anno

1-William Basinski “The Disintegration Loops”

a seguire (ma molto distaccati) Clock DVA, My Bloody Valentine, Palais Schaumburg

Disko minkia

1-Animal Collective “Centipede HZ”

a seguire Beck (lo spartito), Umberto Maria Giardini, Amor Fou, Band of Horses…

Le tragedie:

Muori. Ma rinasci il giorno dopo. Il guaio è che sei uno dei Queen. Cosa fai?

Prevale nettamente la soluzione definitiva: la stragrande maggioranza si uccide.

Incredibilmente, si riformano i Joy Division con Ian Curtis. Una sola data. Tu hai il biglietto. Ma quello stesso giorno hai il colloquio finale per essere assunto a tempo indeterminato alla Rough Trade. Come ti comporti?

Nonostante la crisi e la scomparsa del lavoro fisso, quasi tutti vanno a vedere i Joy Division.

Ti hanno beccato, vai in galera. O in cella due anni con Burzum o sei anni con i Pooh. Cosa scegli?

Per pochissimo, si sceglie di stare con Burzum.

Tra tutte, questa la motivazione migliore: “Gli proporrei una collaborazione. Due anni a disposizione, zero distrazioni… mica male dai. E poi non se ne può più con ‘sta storia dei black metallari cattivi. Basterebbe uno a caso dei miei ex vicini di casa “popolare” per sterminarli tutti a sberle, altro che Burzum. E poi a me ha portato fortuna. Tempo fa ho acquistato a 5€ il suo “Filosofem” in una bancarella di usato e ci trovato 15€ dentro. Per dire”.