Il mondo Backdoor. Contributi sparsi tra playlist,
meraviglie annidate tra la polvere e follie condivise.
Tutto in Via Pinelli 45, Torino.
Satisfaction guaranteed: Pinelli Park
“senza Tony Allen, non ci sarebbe l’afrobeat”
addio a Tony Allen
Backdoor riaprirà, si spera presto (il 18 maggio, pare), e i vinili torneranno a girare
ma se volete, siamo attivi per le spedizioni!
Pongo due riflessioni, alè.
La prima: guidare, di questi tempi.
Vi è capitato di prendere la macchina ultimamente? Il traffico è molto rallentato, ma il pericolo meno.
Chi si muove immagina di girare allegramente in un videogioco, sorride beato, non mette la freccia, si ferma all’improvviso. Pensa a godersi l’assenza di code e ingorghi e quindi svolazza pericolosamente. Per non dire di uno che l’altro giorno sembrava procedere a un’andatura da ubriaco totale, a zig zag. Quando si è fermato di traverso al semaforo, mi sono timidamente avvicinato (a piedi). In pratica aveva la mascherina issata sugli occhi, con il bordo superiore aderente alle sopracciglia. Un eccesso di cautela destinato a diventare una minaccia automobilistica. Vi prego, fate attenzione.
La seconda: calcio?
Insomma, la mia domanda è questa: davvero avete capito che, incredibilmente, il calcio vi ha ha rotto le palle?
Dopo anni di partite ogni sera della settimana, parole vuote su qualsiasi aspetto del campionato e calciomercato 24 ore su 24, mi aspettavo che i malati di pallone iniziassero a sfregare le unghie sui muri, con la bava alla bocca. Invece? Tutto sommato, un educato silenzio. Vi siete sottoposti al “tacchino freddo”? Astinenza dolorosa per qualche giorno e poi ascetica indifferenza?
https://www.youtube.com/watch?v=2C6ThAaxrWw
Backdoor riaprirà, si spera presto (il 18 maggio, pare), e i vinili torneranno a girare
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Mi è tornato in mente sabato, mentre timidamente facevo due passi intorno a casa mia.
“Cosa c’è dietro l’angolo?”.
Una domanda che Maurizio Costanzo faceva a tutti suoi ospiti nel talk show “Bontà Loro”. Memorie di metà anni ’70.
Il quesito torna di moda. Perché è bene chiedersi che cosa ci aspetti esattamente là dietro.
E non parlo soltanto metaforicamente (su quello ho le mie previsioni, e sono pessime).
Insomma e se sbucasse uno senza mascherina che tossisce?
Oppure qualcuno anche bardato da protocollo di sicurezza, ma incerto nell’orientamento che poi mi sbatte contro?
E se va a finire che ci tocchiamo?
Potrebbe anche esserci uno che conosco e con il quale non ho voglia di parlare, no?
Che poi mi giudica se sto troppo lontano e mi giudica se sto troppo vicino.
Che mi vede con questa capigliatura mezzo da Beethoven impazzito e mezzo pappagallo punk (e mi giudica).
E se becco un vigile? Faccio l’insurrezionalista o il cacasotto?
E se salta fuori proprio Maurizio Costanzo? Come la mettiamo? Chi la fa la domanda?
Quindi è meglio allargarsi come se si prendesse vento e affrontare gli angoli con cautela e distanza da parentesona rotonda.
Sì, conviene.
Perché, come diceva Tricky, “Hell Is Round The Corner”. Sicuro.
Dite che non sono ancora pronto per la ripresa?
https://www.youtube.com/watch?v=E3R_3h6zQEs
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Duole essere così poco raffinati e persino vagamente qualunquisti, però ragazzi davvero.
Qui non si capisce veramente un cazzo.
Voglio dire, ce l’avete un copione? Uno straccio di idea tenuta stretta sin dall’inizio? Qualcosa che assomigli a un programma, a una linea perseguita con coerenza?
Sapete cosa fare?
Perché noi, francamente, non molto.
Fosse mai successo che uno dicesse una cosa del tipo:
State male (cioè febbre, perdita del gusto, difficoltà di respirazione)?
Allora fate questo (chiamate il medico di base / ospedale)
e succederà questo (veniamo a farvi il tampone, il risultato arriverà, vi diremo, sarete ricoverati).
e sopratutto, fare in modo che poi accada davvero.
Negligenza, incapacità, parole vuote. Oppure tutto affidato alle virtù dei singoli medici, le Regioni per sè e, come sempre, Dio contro tutti.
Qui stiamo a discutere se uno che ha la casa al lago (ma per chi ci avete preso, per George Clooney?) può farsi un tuffetto in santa pace e non abbiamo la minima idea sul fatto che ci sia o meno una rete di sicurezza generale per tutti noi. Perché la fuori, il Virus mi pare sempre lo stesso. O sbaglio? Te lo becchi e forse crepi, ma invece ci domandiamo se sia una buona opzione andare a trovare i cugini di sesto grado a Strambino per farsi una bella sgambata, finalmente.
Parlateci di medicina e Stato, non di precetti da quiz.
Vi ha sfiorato il dubbio che nel resto del mondo (USA esclusi, gli altri grandi cialtroni allo sbando, come sempre durante le calamità) stiano dando un’impressione di maggiore capacità? Di “visione”?
Le conferenze sembrano prediche di curati in villeggiatura e a me interesserebbe sapere qualcosa di più sui tamponi piuttosto che sulle omelie.
E poi, ma chi ve li scrive i testi? Un poeta di instagram? Pensate davvero di dare un’impressione di risolutezza? Non vi ha sfiorato il dubbio di assomigliare a quelli che vanno spinti sul palco con un calcio in culo (“Cristo, vai fuori, dì qualcosa, qualsiasi cosa, che la sala è piena”).
Ma vi riguardate? E sopratutto, vi rileggete?
Le librerie che riaprono, i congiunti (??) da visitare, l’asporto sì, le seconde case, la concezione sportiva del tutto, il senso d’amore e di amore. Ma sul serio?
Vi siete fatti due domande su questa cosa delle “relazioni stabili”?
E l’app allora? (“Cazzo, è vero, quella l’abbiamo saltata”). C’mon…
Chi vi correggeva i temi al liceo, il Gabibbo? Che razza di letture vi hanno formato? Guardate che c’è gente che le parole le sa usare. Bastava anche solo chiedere a Paolo Pagliaro, quello che fa “il punto” dalla Gruber. Per dirne uno che sa spiegare un concetto bene, in modo chiaro. Pulito. Senza scomodare Aristotele o Kurt Vonnegut con una ouija board. Bastava una telefonata al numero giusto.
So che è difficile, però dai. Se non sulle misure, almeno sulla calibratura dello show direi che possiamo essere d’accordo: pessimo, quantomeno.
Non voglio ricordare il testo della Regina Elisabetta, ma non so, Ministra Azzolina, Lei l’ha visto Macron parlare della scuola?
Avete idea di com’è andata da noi? Tutto arruffato, ripetuto. Certi aggettivi ridondanti che tornavano indietro. “Vetusto”.
Quella sensazione di improvvisare, di vivere alla giornata, del buona la prima alè (tutti concetti che spero vengano spazzati via definitivamente quando torneremo umani).
L’idea che fino a un minuto prima di andare in onda ripassassero l’ordine delle battute, come dei guitti nei teatri parrocchiali.
Questa sciocchezza di “ci giudicherà la Storia”. Sbagliato. Purtroppo tocca giudicarvi ora.
Fa innervosire. Ma soprattutto tristezza.
Sappiatelo.
(e per spiegare ancora meglio il concetto, vogliate gradire il video del giorno, cortesemente suggerito nientemeno che da Paolo Spaccamonti)
https://www.youtube.com/watch?v=yBQy_S_k-qg
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Quindi?
Dunque,
La Filarmonica della Val Bernazza eseguirà alle ore 14,00, in diretta dal Palamungitura, una selezione di arie del compositore locale Guidoanselmo Belgioiso con la straordinaria partecipazione del soprano Marisa Di Roccaverana.
Intorno alle 15,30 su Rai Educational ci sarà la Compagnia del Barattolo Scoiattolo che insegnerà in diretta a truccare i bimbi da Tapiro dalla Gualdrappa con colori ecologici e idrosostenibili. Poco dopo, sempre sullo stesso canale, il Dopolavoro dei Fabbri Fabbricatori elaborerà in modalità webinair un tutorial per la manutenzione delle zip nelle giacche a vento.
Alle 16,07 esatte, La Compagnia di Danza “Mo-Vi-Mento-Asburgico” metterà a disposizione sulla sua pagina Facebook alcune selezioni video tratte dall’opera “Espressione Corporea di Tratti Interrotti Spezzati e con i Cerotti”, pluripremiata piece di danza moderna basata sulla frapposizione tibiale di non apparenza tra visioni e distorsioni. Si avvisa che saranno assenti, per rispetto verso la salute dei traduttori, i sottotitoli utili alla comprensione dell’evento.
Ore 16,40: sulla sua pagina Instagram, il poeta Erminio della Fagiolaia reciterà alcuni versi tratti da “Sudò, e allor intinsi lo pede nel rio” della poetessa Agata Rosa Canina. Lo accompagnerà il flautista Pietro Tall.
Sul sito dell’Associazione La Puzzola che non Puzza, alle 17 in punto, sarà possibile fare merenda tutti insieme con lo chef Magna Greta che ci introdurrà al corretto imburramento della fetta biscottata nell’era moderna. Animerà l’intervento il simpatico pupazzo Glice Mia. Pazze risate assicurate per tutti.
Ricordiamo inoltre che, per tutto il corso della giornata, sarà possibile seguire su Radio Rai 3 una maratona sull’analisi della diaristica vescovile svizzera nello iato analitico compreso tra il 1276 e il 1277 (non oltre settembre). Intervalleranno gli interventi alcune selezioni di musica da camera bulgara con particolare attenzione all’utilizzo della viola da gamba.
Alle ore 20:57, come da abitudine, scoccherà l’ora di “Ascolta, si fa sera” rubrica religiosa radiofonica di Radio Rai, a cura del GR, ma oggi, in maniera del tutto imprevista, la consueta sigla, apertura della cantata “Alles, was ihr tut mit Worten oder mit Werken (BuxWV 4)” di Dietrich Buxtehude, sarà proposta nella versione remixata da un gruppo di artisti anonimi scelti appositamente all’interno della Warp records.
Alle ore 21:00 segnaliamo, in streaming gratuito offerto dalla Compagnia Teatrale “Tendoni Senza Freni”, l’operetta “Leva quella man da qui, maialon”, sommo esempio di cafè chantant birichino.
A seguire, Cineforum curato dalla Cineteca “Smaila Smile Calà Calì” aperto a interventi on line del pubblico sul tema “Jimmy Il Fenomeno: Fenomeno o fenomeno?”.
Alle 23:59, curato dalla Sezione Cultura (di che? non si sa), il cortometraggio “Cambogia: analisi di uno stravolgimento ferroviario evitabile”.
Per i superstiti, seduta di ipnosi propedeutica al sonno marmoreo con la riproposizione ad libitum dello spettacolo “A me gli occhi” di Gigi Proietti.
Quindi?
Bè, direi che è andata come sempre: abbiamo passato il nostro tempo a informarci su quello che potremmo fare per passare il nostro tempo.
Perfetto.
A domani.
https://www.youtube.com/watch?v=i_FXzl2Webg
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Com’è ovvio che sia, iniziano ad affiorare segnali non trascurabili di insofferenza.
Ci apprestiamo a una settimana complicata, forse l’ultima di vero lockdown (???), e toccherà attraversarla a denti stretti, mantenendo la rotta e facendo un bel respiro.
Ma qualcuno, non ce la fa più.
In piazza Barcellona, la piazza antistante Backdoor, direi che la Fase 2 è iniziata da tempo. Io arrivo in negozio a orari da Bela Lugosi, nel deserto urbano più assoluto, ma quando ficco timidamente la testa fuori dalla serranda, vedo una miriade di persone che deambulano smarrite e con movimento ondulatorio, spesso senza mascherina e con lo sguardo vitreo. Poveri loro, senza dubbio, ma a qualcuno la faccenda non deve essere andata giù e, da un anonimo balcone, è stata sollevata qualche giorno fa una velata critica. Si è udito nettamente un “Tornate a casa, zombie del cazzo!!!”. Io l’ho interpretato come un moto di dissenso, ma non vorrei sbagliarmi. In ogni caso i destinatari dell’invito se ne sono fatte beffe e hanno continuato imperterriti a sobbalzare mestamente, in ciabatte, sedano e rotoloni di carta igienica.
Difficile tenere i nervi saldi, pensare al bene comune. Sono le esplosioni improvvise a far paura.
Venerdì sono andato a fare la spesa. Nel consueto balletto delle corsie “prego, venga lei-si immagini-prendo solo i carciofini sott’olio-ci mancherebbe- (ma magari levati dalle palle appena puoi)” ho sentito un brusio nell’area del banco gastronomia. Lesto come una donnola, sono sgusciato a lato della muraglia delle fette biscottate per buttare un orecchio. “Eh no, mi scusi, qui avete soltanto il Fontal e io volevo la Fontina d’Aosta. Capirà che non è la stessa cosa. No, non lo è davvero. Io vengo qui con una cosa in mente e ne trovo un’altra. Lo guardi (eleva il tocco di formaggio ad altezza occhi). Questo è Fontal! Spero sia d’accordo anche lei. Fontal, è un maledetto Fontal”. E poi, innervosito dal silenzio esausto dell’addetta al banco, il tipo (faccia da uno che se avesse avuto cinquant’anni in più sarebbe stato un dirigente FIAT) ha guardato una disgraziata che aspettava in coda e le ha detto “La vuole lei ‘sta merda?” e ha tirato il povero Fontal nella fossa comune dei formaggi in offerta. Avrei voluto dirgli “Senta buonuomo, la faccia finita, che io non ho trovato i Tuc e nemmeno i Ritz. Qui tutti abbiamo i nostri problemi, ma non è il caso di farne un comizio”, ma poi ho capito che cercava solo la rissa, era uno con la data di scadenza molto più vicina di quella del meschino Fontal.
Ho soprasseduto. Sono tornato a casa e mi sono bevuto il mio caffè della giornata affacciato alla finestra, sotto la quale, molto più in basso, è passato uno che che scandiva sulle note di “Yellow Submarine” la seguente filastrocca “Andrà bene, andrà bene, andrà bene un bel cazzo”, pausa di tre secondi e poi ”Andrà bene, andrà bene, andrà bene un bel cazzo”. E avanti così, fino a quando non è scomparso dalla visuale e dalle orecchie del circondario.
Insomma è difficile, ma fatevi un esame di coscienza, provateci.
Le scelte musicali di oggi, mai così azzeccate, sono offerte da Andrea Pomini, amico e collega di Rumore, uno dei pochi al mondo in grado di distinguere un brano di Fela Kuti da un altro, nonché autore dei migliori spaghetti di zucchine dell’intero pianeta.
e anche
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Ovunque vi troviate ora, non siete più lì.
Ma qui.
Fate partire il video.
https://www.youtube.com/watch?v=wCWAZB0Fa_s
Che ore sono? Poco dopo le sette, davvero? La luce è meno forte. Usciamo insieme a vedere il tramonto? Prendo io da bere, non alzarti.
Avvertite che la vostra pelle si sta distendendo. Il sole addosso, abbandonato dalla doccia. Sciolto da quelle creme che vi spalmate lentamente solo per il piacere di sapere che potete farlo. Che il tempo è vostro. Che potete dedicarvelo. Fuori c’è un po’ di vento.
Cin! alla tua. Sorridete.
Questa canzone è bellissima, chi sono ? I Saxophones, marito e moglie, californiani, non li hai riconosciuti? Hai ragione, ora me li ricordo.
L’alcool scende lento, tracciando una geografia sotto pelle di piacere e necessità. Avevate bisogno di questo. I rumori sono ovattati, ma solo perché il mondo si sta prendendo cura di sé, esattamente come voi. Non parlate molto. Il silenzio è un’offerta di comunanza. Guardate avanti, ma in nessun punto preciso. Vi accorgete dei profumi. Il suono della canzone vi scivola addosso, la batteria a piccoli tocchi, quel ritornello dolce e sospeso. Siete leggeri.
Vi piace?
“Ho visto che il futuro non era così diverso
Non è strano?
Come mi sforzo così tanto di essere lo stesso
Come potrei non notare la profondità del dolore?
Come potrei non cambiare?
Quando la visione è così chiara
Non dovresti aver bisogno di spiegare
Un taglio nella carne, un segno dei tempi
I misteri rivelati, ma non mi piace quello che trovo”
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E quando ci vedremo, che cosa mai potremo dirci?
Proibiti gli abbracci, le strette di mano vigorose, gli spintoni e i calci in culo (forse questi no), saranno le parole filtrate dai tessuti più o meno regolamentari delle nostre mascherine a rimetterci in relazione tra di noi.
Come stai?
Diciamoci la verità, con quelli che ci interessavano, siamo sempre rimasti in contatto, è facile ormai. Sappiamo perfettamente cosa mangiavano, se lo avevano preparato loro, i voti assegnati alle serie televisive, i dischi ripescati negli scaffali, i libri finalmente portati all’ultima pagina. Ma a loro, come a noi, non è successo sostanzialmente nulla. Pausa assoluta. Se non sono dei lavorati lignei, il grosso del traffico emozionale sarà stato interiore e, come tale, non sempre condivisibile. Pensieri incerti, ansie, programmi per il futuro, se un futuro non così appannato si potesse intravedere.
E quindi cosa ci racconteremo?
Ogni telefonata o video ammucchiata finisce sempre con un “non vedo l’ora di vederti”. Che è un augurio sincero e vero. Ma non avremo nulla da dirci, se non che con i nostri capelli impazziti, il colore grigio della faccia e gli occhi incomprensibilmente stanchi per l’immobilismo, siamo per ora sopravvissuti a tutto questo. E che speriamo di non ammalarci, noi e i nostri cari. Applicheremo una sanatoria sulle banalità, perché sara improbabile non cascarci dentro. Mischiarle a caso.
Ma quindi, come stai?
Se fosse finito davvero tutto, avrebbero dovuto spedirci singolarmente altrove, catapultarci da soli in un angolo di mondo che non conoscevamo, e poi riportarci a casa dopo un po’, tutti insieme. A raccontare qualcosa di nuovo e sorprendete. Sorridendo sulle parole, felici di poter testimoniare che la vita esisteva ancora, là fuori.
https://www.youtube.com/watch?v=3kjxU7XfK70
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Tedeschi, non fate così.
Mi rivolgo a Voi, perché di olandesi, austriaci, danesi, svedesi e finlandesi so poco. Siete i Paesi Frugali, ho imparato in questi giorni la Grande Metafora. Ecco noi no, “Italiani Sempre Manciare”. Vero. Ma la convivialità a tavola è una delle gioie più grandi al mondo. E so che siamo l’unico popolo che parla di cibo mentre mangia. Ma siamo anche i migliori in questo campo e abbiamo le cose più buone di tutti. Potreste dire lo stesso dell’Inghilterra, tanto per dire?
Tedeschi, non fate così.
Provate a volerci bene davvero. C’è quell’adagio “L’Italia stima la Germania, ma non la ama e la Germania ama l’Italia, ma non la stima”. Credo ci sia poco da aggiungere. Ma dietro a un grande Stato c’è sempre uno Stato così così. Ecco, quello siamo noi. Qualcuno dovrà pur farla quella parte, no? Provate a prenderci singolarmente, uno per uno. L’effetto cambia. Tutti insieme, non ce la potremo fare, mai. Arrendetevi anche voi. Il senso di società, di bene comune, è latitante. Ma non esattamente in quella modalità che ci affibbiate sempre addosso sulle copertine delle vostre riviste. Insomma, non del tutto.
Tedeschi, non fate così.
Vi abbiamo sempre suonato a calcio, ai Mondiali e agli Europei. Tranne l’ultima volta. E come è andata? Non abbiamo semplicemente sbagliato i rigori, tirandoli a lato e lasciando alle riprese video una faccia disperata. Potevamo andare direttamente negli spogliatoi e dirvi “In tema di “rigore”, Voi siete imbattibili. Noi andiamo a fare la doccia”. Invece no, li abbiamo sprecati come dei pagliacci, danzando, da sbruffoni, facendo gesti di cui non sembravano preoccuparci le conseguenze. Non è uno sforzo da poco. Abbiamo consolidato i luoghi comuni su di noi con due belle pallonate da circensi. Converrete, ci vuole impegno.
Tedeschi, non fate così.
Pensate al Mare Adriatico. Ai menù mirati nelle pensioni, al conforto dello Zanza (qualcuno sa perché), alla Romagna che vi versava la birra nei boccali. A quando vi guardavamo baffuti e con i capelli lunghi dietro, i sandali con le calze corte bianche (banale, ma vero, quindi), le camicie finto floreali dei supermercati di Amburgo. Vi abbiamo lasciato essere padroni qui. Vi abbiamo fatto ballare con “Life Is Life” degli Opus, sbevazzando e urlando nella vostra lingua gutturale. Siete stati i benvenuti, qui.
Tedeschi, non fate così.
Ho sempre amato la vostra musica. La meravigliosa Neue Deutsche Welle. I D.A.F., i Palais Schaumburg, gli Einsturzende Neubauten. L’indietronica di Notwist e Lali Puna. Il kraut poi, come avrei fatto senza Neu! e Can? Ho sempre comprato i vostri dischi, questo è un dato di fatto.
Tedeschi, non fate così.
La vostra cultura è Cultura, per carità. Lo sapevo anche quando uscivo dal cinema dopo i film della Von Trotta e sentivo crescere un desiderio inconfessabile di Jerry Calà. Ne ero comunque conscio. Tutti quei filosofi, complimenti. E avete fatto anche i conti con la vostra Storia, e io so bene quanto avremmo da imparare anche noi su quel versante. Quindi non prendetevela se mio nonno, sulla spiaggia di Spotorno, nei primi anni 70, sputava per terra quando sentiva parlare qualcuno di voi tra gli ombrelloni. Aveva fatto la Guerra, aveva visto cose. Ma bisogna andare avanti, riporre fiducia.
Tedeschi, non fate così.
Abbiamo un paio di cugini che vivono da voi, e stanno bene. Sono andato a Dusseldorf e ho declamato un testo di Nick Cave al matrimonio di mia cugina. Siamo stati a Berlino e l’abbiamo trovata affascinante, civile e con tutto il Novecento, gloria e ferite, esposto sotto i nostri occhi. Mia moglie e io abbiamo pranzato almeno tre volte in un ristorante, qui a Torino, di specialità tedesche. Mi è piaciuto il sedano rapa, quel wurstelone lungo come un avambraccio e la birra bianca. Non sono mai stato all’Oktoberfest, ma non mi piacciono nemmeno le giostre. Insomma, spero possiate capire che abbiamo fatto la nostra parte. Quindi.
Tedeschi, non fate così.
Danke
https://www.youtube.com/watch?v=c7B8Rr4mIpg
Per quanto assurdo e incongruente, anzi forse proprio per questo, l’Antivirus di oggi è dedicato a Pancho. Abbiamo saputo stanotte che il Coronavirus se l’è portato via. Un pezzo di Backdoor sgretolato. Non potremo mai più ascoltare un disco di James Brown senza pensare a lui.
Addio amico. Con te se ne va, per sempre, anche il Piastrellista Funky.
Guess I gotta cry, cry, cry
People, let me cry, cry, cry
I’d feel a little bit better
If I cry, cry, cry
(James Brown)
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L’aruspice esercitava la sua arte divinatoria esaminando fegato e intestino degli animali sacrificati. Lì individuava eventuali segni divini e conseguenti norme di comportamento per il futuro.
Il Polpo Paul (2008-2010) prediva i risultati della Nazione di calcio tedesca durante i Mondiali del 2010 direttamente dal suo acquario a Oberhausen.
Io mi affido all’autoradio.
Mi spiego meglio. Quando ho dei dubbi, faccio partire una mista di Classic Rock e metto la funzione random. L’avevo preparata quasi per caso e messa in una chiavetta USB (possiate essere maledetti voi progettisti di automobili che ci avete privato del lettore cd) da portarmi dietro nell’ultimo viaggio fatto in America. Andavamo a trovare mia figlia, nello Stato di Washington. Durante gli spostamenti, nella mia bella Chevrolet azzurrina, guidavo sereno tra le conifere con “Brown Eyed Girl” di Van Morrison o “Pale Blue Eyes” dei Velvet Underground. Non un clacson o un pirla che tagliasse la strada, nulla disturbava il dolce scorrere di “It’s Too Late” di Carole King. Un paradiso.
Tornato a casa, ho un po’accorciato il numero di canzoni, ma lo scrigno Classic Rock è sempre rimasto a rassicurarmi. Quando ho dei dubbi, ripenso a quel periodo felice e faccio partire a caso la mia mistona. Se ho delle domande, lì dentro trovo sempre le risposte. Sempre.
Così, mentre diluvia sul tettuccio della macchina e in giro non c’è ne nessuno, mi attanaglia un filo di tristezza e cerco conforto.
Play.
Ecco, esatto. Cosa sta succedendo? Bè, le cose non vanno benissimo, direi. Cioè, sono migliorate, certo. Ma è sempre difficile rassegnarsi al fatto che questa cosa sia successa davvero. E poi il futuro? Il fatto che fosse da inventare, una volta era una garanzia di libertà, di possibilità. Ora un po’ meno. Mette ansia.
Play.
Esatto. Sembra di “correre nel vuoto”, è vero. La sensazione di andare avanti, ma senza regole, di guardar dritto e non domandarsi, sperando che vada bene, che non ci si sfracelli. Funzionerà? Per quanto?
Play.
Capisco. Io all’inizio ero così. Mi sono barricato dentro. Sarò uscito due volte in sedici giorni dal mio “Rifugio”. Mi dicevo “Se sto qui, se stiamo tutti qui, andrà bene. In fondo è facile, su questo non si sbaglia”. Silenzio, fiato trattenuto, attesa. Ma per quanto poteva durare?
Play.
Così ho iniziato a uscire, ogni tanto, a lavorare un po’, ho preso confidenza con la mascherina, con i guanti, con il mondo svuotato. Ma un riparo non c’è. Bisogna accettare il rischio? Per fortuna la vita morde. Quando ascolto questa canzone degli Stones sento la pelle bruciare, un desiderio incontenibile di essere là, fuori, da qualche parte. Devo ignorarla? O invece assecondarla con rabbia?
Play.
“Non sai dirmi come”. Ok, speravo in qualcosa in più. Avrei dovuto assoldare una medium e interrogare il Polpo Paul? Nessuno ha la risposta, bisogna provarci, capito. Però questa mi uccide sempre, l’organo e la ritmica felpata potrebbero tenermi qui dentro tutta la vita, fossilizzato al volante. AOR, musica per adulti, lo so. Ma non è che io sia ormai qualcosa di diverso, è solo che certe volte vado in apnea nella malinconia, scendo, scendo…
Play.
Che non ci fosse il sole me n’ero accorto anche io. Ah, vuoi dire che è la pioggia a tenere il morale sotto la soglia di guardia? Mahh, a me la pioggia non dispiace. Anzi, spesso mi rassicura, mi autorizza a fare le cose che, ok ho capito, le cose che stiamo facendo già da due mesi. Casa, tè caldo, dischi preferiti, naso sulla finestra. Comunque anche il povero Bill se n’è andato in questi giorni. Tutto cambia, anzi, tutto sfila via, scivola sotto gli occhi. Certezze?
Play.
Ecco, questa l’hai centrata. “Non riusciamo a trovare la strada di casa”. Difficile tornare indietro, a quell’indietro che eravamo noi, insieme. Questa è un’altra canzone che mi stende. Penso a quando saltava fuori in “Fandango”, a Kevin Costner giovane, a quella voglia di andare, la polvere in faccia, gli occhi stretti, a me che esco dal cinema. Quella frase sul poster: “in ogni specie vivente c’è una fase di crescita tra l’infanzia e l’età adulta. In molte specie animali capita durante il primo anno di vita…nell’uomo succede subito dopo il college”. Forse è andato tutto troppo veloce.
Play.
Bè, oddio. Non proprio. E poi quante canzoni degli Eagles ho ficcato qui dentro? Disperato no, ma abbiamo visto tempi migliori, questo ce lo puoi concedere anche tu. Diciamo che una piccola dose di ottimismo gratis non guasterebbe. Anche solo la percezione più netta di poter fare le cose comunque. Bisognerà accontentarsi, ma qualche minuscola sicurezza in più sarebbe la benvenuta.
Play.
Ah, bè. Così siamo capaci tutti. Comunque va bene. Ed è un buon modo per finire. Inizio ad avere freddo e non smette di piovere. Brian Wilson mi basta. Se ha tradotto in quel disco i suoi demoni e le sue meraviglie inarrivabili, c’è speranza per tutti. La bellezza è ancora dentro di noi, ci toccherà tradurla in qualche modo.
Stop.
https://www.youtube.com/watch?v=YgGjJP2Fn2g&t=103s
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