Il mondo Backdoor. Contributi sparsi tra playlist,
meraviglie annidate tra la polvere e follie condivise.
Tutto in Via Pinelli 45, Torino.
Satisfaction guaranteed: Pinelli Park
Ognuno, e in modo diverso, si sta organizzando per contribuire a uno scandire meno tetro (pigro? atterrito?) delle giornate che stiamo vivendo. Questo appuntamento ne è un piccolo esempio.
Fioccano i djset on line (Facebook, soprattutto).
Essendo io un apolide social, me li perdo tutti, ma direi che quelli di George Self Pylon (“The Blue Hour”) e Andrea Pellizzer (“Touching From A Distance”) sono tra i più apprezzati del “nostro” giro. Cercateli sulle loro pagine Facebook, garantisco io.
Hold On, guys!
Vi segnalo anche questa pregevole mixata di Marco,
https://m.soundcloud.com/marco-castelnuovo-2/smiley-culture
altro nostro amico/cliente, che mi è stata di straordinario supporto durante la pulizia delle fughe delle piastrelle in bagno (effetto devastante collaterale della pandemia).
Oltre a questo pregevole modo di stare insieme, è partita anche la moda degli aperitivi on-line. Ci si trova a una certa ora su qualche piattaforma e alè, bicchieri in prima vista e chiacchiere in libertà. Niente da dire, sto partecipando anche io ogni tanto.
Ma la faccenda si porta dietro qualche problema.
Innanzitutto compagni delle medie che davvero non avevi più nessun interesse a incontrare (“proprio tu, bastardo, mi devi ancora settemila lire che ti avevo prestato in gita”), drammatiche reunion di maturandi (“perdonami, ma quando ho firmato dopo aver consegnato il compito di matematica, insieme alla certificazione che non avrei mai più dovuto “spiegare” una funzione davo per incluso che scomparissi anche tu, con la tua passione per la pallavolo e Gianna Nannini”).
E fin qui, basta negarsi.
Poi ci sono le complicazioni legate a quelli che ti fa davvero piacere incontrare.
Lo sfondo: se piazzo il pc in cucina, dietro di me si vedrà la pentola con gli avanzi dei rigatoni al pesto (senz’aglio, barattolo industriale)? Verrà giudicato troppo neorealista? Vado in salotto e ordino i soprammobili sotto lo specchio? Apparirà inequivocabilmente borghese? Mi metto sdraiato sul letto con i cuscinoni dietro la testa? Potrebbe essere scambiato per sottile erotismo domestico? Seduto composto sul sofà? Penseranno sia già morto e impagliato da un tassidermista?
L’abito: metto una camicia ma resto in boxer tanto mi inquadrano solo dal busto in su? Tengo una felpa, stile informale ma reattivo? Indosso un abito elegante così lo giudicano da funerale e mi buttan fuori dalla simpatica community e posso tornare ad ascoltarmi Bryan Ferry “Live At The Royal Albert Hall 1974″? Siamo sicuri che ‘sta videocamera non si muove e poi finisce che mi inquadrano le ciabatte e mi tocca poi impiccarmi per la vergogna?
L’igiene personale: devo lavarmi i capelli? Si vedrà che non toccano shampoo da sei giorni o usufruisco di quell’effetto vaporiera insito nella connessione che poi alla fine non si distinguono nemmeno i contorni delle facce? Mi raso o mantengo questo effetto barba trasandata che fa di me un fico survivor oh yeah?
Food & Beverages: possibile che abbiamo solo il vino bianco che buttiamo nella pentola con le salsicce? Che ci sia soltanto una Moretti da preliminari di Europa League? Cosa mettiamo davanti, i Fonzies aperti a ottobre? I grissini nelle buste di plastica che danno all’ospedale? Ma che figura facciamo, è mai possibile?
Insomma, problemi.
Che alla fine si superano e, in qualche modo si riesce a far festa.
Ecco un bel brano adeguato, quindi, per i vostri festini meeting, ammucchiate, amarcord, conferenze, chi sei già? aperitivi on line
https://www.youtube.com/watch?v=utCjuKDXQsE
e comunque sappiate che ho appena fatto la doccia, mi sbarbo regolarmente, sotto la camicia ho i jeans (e, assolutamente non le ciabatte), nella dispensa ho ancora (una!!!) ottima bottiglia di Barbera e un bel barattolino di carciofini sott’olio.
Get in the groove
Backdoor riaprirà, si spera presto, e i vinili torneranno a girare
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Ieri ho avuto il piacere di essere ospite all’interno di Altre/Storie di Mario Calabresi
https://www.mariocalabresi.com
è una newsletter settimanale. Eccola spiegata direttamente dall’autore “Perché una newsletter? Perché ti aspetta. Perché non si perde. Perché la ritrovi. Perché la leggi quando vuoi. Perché non ha limiti di lunghezza. Perché la si può curare nei dettagli. Perché è un appuntamento fisso. Perché è antica e moderna. Ho deciso di fare una newsletter perché mi somiglia e serve a raccontare le storie che mi stanno più a cuore”.
Come non essere d’accordo?
La attendo sempre, esattamente come Bastonate per Posta, del mio amico Francesco Farabegoli, l’unico che conosca che ha sempre un’opinione (divertente? inattesa? incomprensibile? invidiabile?) sulle cose che mi stanno intorno.
http://www.bastonate.com/
Cliccate sui link e iscrivetevi, non ve ne pentirete.
E così, ecco il mio piccolo omaggio a questo modo di raccontare quanto sfugge, prima ancora della canzone (che vi consiglio di ascoltare alla fine, o di notte, o quando siete soli)
Questo rende l’Antivirus molto più lungo del solito, ma è una storia incredibile, che parla, per chi scrive, di uno dei più grandi talenti della musica contemporanea. E di una città (come tutti) che amo incondizionatamente.
È una mia intervista, pubblicata su Rumore (grazie https://rumoremag.com/ ) nel 2015.
A Gigi Masin.
SENZA TEMPO: GIGI MASIN
Di Maurizio Blatto
Con Gigi Masin, veneziano classe 1955, il tempo è stato parzialmente galantuomo. La sua musica, ignorata per anni, è passata da culto sotterraneo ad approvazione mondiale. Appartato e dotato di una grazia assoluta, il suo tocco minimale di tasti e assenze ha attraversato il tempo e ora è qui, per tutti.
È una storia singolare la tua, sia sotto il profilo artistico che umano. Hai una cifra stilistica personalissima che, pur accarezzando David Sylvian, i Talk Talk, l’elettronica impalpabile, l’ECM e i paesaggi di Robert Fripp, ha trovato dopo anni consensi presso il popolo di Ibiza. Raccontaci i tuoi esordi.
“Ho iniziato a suonare una chitarra scordata fino a quando, nella prima metà degli anni settanta, sono entrato nel mondo nelle radio private veneziane. Di giorno seguivo la normale programmazione pop da classifica, ma la sera avevo uno spazio di assoluta libertà nel quale trasmettevo Miles Davis, John Martyn, National Health o Dick Gaughan. Poi sono finiti i soldi e con loro il lavoro alla radio, e allora ho trasportato la mia passione dai vinili alla musica stessa. Volevo fare un disco a tutti i costi, e desideravo che fosse di chitarra. Ma per il mio compleanno mi hanno regalato un sintetizzatore, di fatto, cambiandomi la vita. Era un modello economico, ma quelle sonorità hanno mutato per sempre la mia sensibilità: ho iniziato a giocarci, costruendo linee semplici che scaturivano quasi per sottrazione. Ho fatto sì che quel giocattolo diventasse un’abitudine quotidiana”.
Sei un autodidatta, quindi.
“Assolutamente, e quello che creo mi viene quasi d’istinto. Non aspiro a fare nulla di universale, cerco un linguaggio, amo suonare e avere un riscontro, ma ho iniziato a comporre come gesto personale d’amore verso la musica. Me ne accorgo oggi, guardando da distante quello che ho registrato: il mio suono, nella sua pochezza, era già completo allora, funzionava nella totale assenza di arricchimento, frutto artigianale di un gioco con i tasti, di loop fatti da nastri attaccati con lo scotch”.
E così pubblichi Wind, nel 1986.
“Sì, e arrivo a farlo proprio con questo metodo. Wind, nelle intenzioni, doveva rimanere l’unico disco della mia vita, non prevedevo alcun seguito. Lo produco e stampo da solo e, in più, decido di regalarlo a chiunque lo volesse. Non ho venduto una sola copia di Wind, bastava chiedermelo e io lo consegnavo gratis. Si è sparsa la voce e ogni tanto la gente passava da casa mia, mi suonava il campanello e diceva “È vero che regali il tuo disco? Posso averlo?”. Così ho dovuto ristamparlo nel giro di otto mesi e sono uscite un paio di segnalazioni sulle riviste, con il mio indirizzo indicato. Il risultato è stato che in molti mi scrivevano “Non credo affatto che sia gratis, ma questo è il mio indirizzo, spediscimelo”. E così ho fatto, almeno fino a quando non ho esaurito le copie: lo mandavo a tutti”.
Immagino tu sia consapevole del fatto che detieni un piccolo record. Wind è stato il disco venduto al prezzo più alto nel marzo del 2012 sulla piattaforma di compravendita mondiale Discogs. Assegnato per 923 dollari e 83 centesimi. E quando qualche copia viene messa sul mercato non scende mai sotto i 500 euro. Che effetto ti fa?
“La cosa mi dà pochissima soddisfazione, ovviamente apprezzo che sia cercato, ma nel fondo del mio cuore mi dico non ci siamo. È in completa antitesi con le motivazioni originali. Quindi lo ristamperò e in un formato diverso da quello originale, per renderlo disponibile a un prezzo “normale”. Della nuova edizione se ne occuperanno delle persone di mia completa fiducia. Non soltanto la veste grafica sarà differente, ma anche il suono verrà migliorato”.
Tu possiedi copie originali di Wind?
“Cinque copie, tutte mie. È comunque strano, perché tu fai una cosa e la consegni al mondo, ma non hai idea di che strada prenda, quindi quando ha saputo che Wind veniva venduto a quelle cifre una parte si è stupita, ma l’altra voleva piangere. Era un disco gratuito concepito come un tributo a quella sensazione di rivoluzione e libertà assoluta che mi aveva regalato il lavoro in radio”.
Tu sei stato anche un dj, vero?
“Sì, nel periodo delle radio private, ma in realtà facevo il vice dj. Durante le serate nei locali eleganti di Cortina o al Lido di Venezia, scaldavo e raffreddavo la sala, senza mai assolutamente mixare. Avevo lo stesso approccio della radio e mi concedevo la medesima libertà. Erano anni in cui ci si fidava del dj, anche se azzardava un brano di Miles Davis per la pista. Forse c’era più apertura mentale. Il nostro è un Paese sindacalizzato anche per la musica, per capirci qui chi ascolta Springsteen vuole solo Springsteen, e allora gli ambienti aperti e senza barriere, che pur ci sono, fanno fatica a emergere”.
E il campionamento della tua Clouds da parte di Bjork?
“La storia è lunga e parte ancor prima. Un amico di Londra mi avvertì che i To Rococo Rot avevano usato in pratica l’intera Clouds per la loro Die Dinge Des Lebens (su The Amateur View, City Slang, 1999 nda). Lippok dei TRR insiste ancora oggi che sia solo un campione, ma basta ascoltare i due brani per farsi un’idea. In ogni caso io ho provato a contattare la band con tutto l’entusiasmo e la disponibilità possibile, ma mi è stato fatto capire subito e senza mezzi termini di stare al mio posto. Freddezza assoluta e nessuna apertura al dialogo. Quello è solo un campione, fine. La cosa sembrava essersi chiusa lì, ma un anno dopo, con grande cordialità, Lippok mi scrive nuovamente da grande “amicone” e mi dice che hanno avuto un’offerta per Die Dinge Des Lebens e, in poche parole, mi chiede un’autorizzazione o meglio, una liberatoria, dove avrei dovuto attestare che il pezzo era completamente loro. Calma, questo è un po’ troppo, anche per una vicenda dove non c’è mai stata alcuna forma di rispetto. Domanda e scava, dopo qualche mail viene fuori il nome di Bjork: era stata lei a richiedere il brano. Nel giro di poche ore ho preso il disco (Les Nouvelles Musiques De Chambre Volume 2, edito dalla Sub Rosa nel 1989, nda), di cui avevo solo tre copie, e l’ho spedito alla One Little Indian, l’etichetta di Bjork. Loro si sono accorti della cosa e, dopo una settimana, un responsabile mi ha contattato per tentare di ammorbidire i toni. Ammorbidire? Bastava non cercare di fregarmi e affrontare la cosa diversamente. Io avrei capito. Ma così si esagerava: ho ancora tutte le mail dove i TRR mi chiedono di girare Clouds a Bjork come fosse loro”.
E quindi?
“Bjork campiona Clouds nella sua It’s In Our Hands, mette il mio nome tra i crediti e, piccola vendetta, prende i Matmos e non i To Rococo Rot come band per il suo tour”.
Ma soldi?
“Zero. E ho solo più una copia di Les Nouvelles Musiques De Chambre, quindi se si rompe sono spacciato”.
Com’è possibile che non si dia un giusto valore economico al tuo lavoro? Sono grandi nomi, non hai pensato a intraprendere una via legale?
“Certo, ma ho desistito, troppo caro. E non è stato l’unico caso: Jun Seba in arte Nujabes, è il suono nome letto al contrario, un produttore giapponese, ha preso sempre Clouds, l’ha velocizzata, ci ha messo sopra il rappato firmato Five Deez e l’ha battezzata Latitudes (Remix). Senza chiedere nulla ovviamente, e allora quando l’ho saputo mi son detto – adesso basta-, ma poi ho scoperto che in situazioni come questa si lavora per accordi bilaterali, quindi per arrivare in Giappone avrei dovuto prima ingaggiare un avvocato a Singapore. Troppo complicato e, soprattutto, oneroso”.
E quindi?
“Niente anche in questo caso, ma Nujabes è morto due mesi dopo in un incidente stradale vicino a Shibuya, a Tokyo”.
Ahia. Proviamo a definire la tua musica: l’approccio minimale e i tocchi misurati e fortemente espressivi la riconducono spesso alla tradizione ambient di colossi quali Brian Eno e Harold Budd.
“Sono ovviamente musicisti che conosco e apprezzo, ma che quando ho inciso Wind, credimi, non sapevo nemmeno che esistessero. Io venivo da una tradizione rock, folk e jazz, o al massimo di musica contemporanea, come Ligeti e Penderecki. Per me Brian Eno era semplicemente il tastierista dei Roxy Music. Poi ho ascoltato i suoi lavori ambient e ho anche sentito Harold Budd dal vivo, apprezzandolo molto. Ma onestamente non vedo una continuità con Wind, che era un disco spontaneo e non così serio”.
Sei considerato uno dei numi tutelari della musica balearica. Come ti trovi nel mondo Ibiza?
“Mi stupisco e ho paura che scoprano da dove vengo e capiscano che non sono uno dei loro. Ma va bene, anzi benissimo. Il merito è dei ragazzi olandesi della Music From Memory, etichetta e negozio di dischi usati e non di Amsterdam. Sono delle bellissime persone. La loro filosofia è quella di dare una seconda possibilità a lavori che ritengono esser stati trascurati, sottovalutati o dispersi. Hanno un amore nel cercare e valorizzare i dischi che mi ha ricordato il mio, quello iniziale. Io ero uno dei primi della loro lista dei desideri e, quando mi hanno contattato, gli ho dato due dvd pieni della mia musica: trent’anni di vita. Ho lasciato massima libertà di scelta per il materiale che sarebbe finito su Talk To The Sea, pubblicato nel 2013. La loro selezione mi ha stupito e soddisfatto al tempo stesso e, proprio grazie al mio disco, loro hanno potuto economicamente stampare altre cose, come il recente I Was Crossing A Bridge di Vito Ricci. Allo stesso tempo io ho avuto una visibilità nuova, che mi consente di suonare spesso dal vivo e, soprattutto, di aprirmi e non chiudermi in me stesso. Io ho una famiglia e un lavoro normale, e questi nuovi spazi espressivi sono davvero vitali”.
A Ibiza ci sei mai stato?
“Mai. Però mi hanno detto che mentre mettevano la mia musica si aggirava Paris Hilton. Buffo no? Io ho sempre suonato per me stesso, ma evidentemente quel linguaggio piace ora e aveva bisogno di tempo per maturare. Trent’anni fa non funzionava e dieci anni dopo non se lo ricordava nessuno, evidentemente per qualche strana congiunzione astrale doveva aspettare oggi per entrare in sintonia con qualche ascoltatore. La cosa strana è che mi si chiede di cose che, anagraficamente, non mi appartengono più, ma ho capito che una finestra sul mio passato si stava aprendo quando i dj hanno iniziato a domandarmi il permesso di mettere un mio brano nelle loro compilation. Intanto rivelava un senso di rispetto superiore a quello dei campionamenti non autorizzati, ma mi faceva anche capire che c’era un desiderio nuovo. Mi chiedevo che cosa se ne facessero a Ibiza di una mia canzone d’amore, ma poi ho immaginato che forse c’è un bisogno reale di musica che sappia confortarti. È il momento in cui viviamo a richiederlo”.
C’è comunque un grande senso di serenità nel tuo lavoro. Una grazia assoluta.
“Io non sono come la mia musica e mi spaventa che lo si immagini, perché non sono affatto placido o sereno. Diciamo che a volte la musica compare, colleghi le tracce, abbini e devi soltanto salvare, quindi faccio finta di non conoscermi e mi godo il momento”.
Anche per le recenti collaborazioni?
“Sì, certo. Il progetto Gaussian Curve (Clouds, sempre su Music From Memory, con Jonny Nash e Young Marco, nda) è venuto fuori in due giorni e mezzo in una casa vuota di Amsterdam. Per l’improvvisazione di Lifted (1, su PAN, nda) non ci siamo dati regole se non quella di un amalgama sonoro che, alla fine, mi ha ricordato i Weather Report. Mentre per il lavoro con i Tempelhof (Hoshi, su Hell Yeah) ha contribuito che li abbia visti prima dal vivo, dove sono eccezionali. Progetti che mi hanno molto coinvolto e che forse in parte avranno un seguito, pur differente”.
Quanto ti influenza vivere a Venezia? È solo una suggestione da cartolina o ha un effettivo impatto sulla tua musica?
“Mio nonno era gondoliere, fai tu…. Ovvio che ti influenzi dove vivi, ma che si rifletta sulla musica non saprei. Io non riesco a stare lontano da Venezia, di trasferirsi non se ne parla. Ormai ho casa da anni a Mestre, ma è là, a dieci minuti e so che se ti perdi, scopri ancora angoli meravigliosi, delle enclavi “vere”. Da piccolo facevo il bagno nei canali, che erano limpidi e trasparenti, ti tuffavi dentro. Venezia era bellissima. Ma è anche una città ingrata, un palco dove i veneziani non suonano, a meno che non facciano reggae o ska, cantino in dialetto e si portino dietro l’orchestrina. Che uno come Enrico Coniglio (musicista e field recorder, consigliate le sue Topofonie, nda), registratore di luoghi veneziani quasi sezionati al bisturi, venga ignorato a casa sua, è offensivo. Prima o poi registreremo un disco insieme, ce lo diciamo sempre”.
A proposito. C’è un musicista “famoso” con il quale ti sarebbe piaciuto collaborare?
“Avrei voluto suonare per John Martyn, un autore che ho sempre amato. Al di là dell’alcool, l’ho sempre sentito vicinissimo a me”.
In chiusura: un luogo di Venezia e la canzone ideale da ascoltare lì.
“La stazione ferroviaria di Santa Lucia e From A Late Night Train dei Blue Nile. È insuperabile, la ascolti e pensi di dover buttare la tastiera, per sempre”.
Se siete arrivati fin qui, sappiate che i dischi di Gigi Masin sono stati ristampati e lui si esibisce abbastanza regolarmente dal vivo (un incanto, credetemi). Il mondo ha finalmente iniziato ad apprezzarlo come avrebbe sempre meritato. Sono usciti nuovi dischi a suo nome, tra cui uno, splendido, uscito da poco: “Calypso”.
Qui una bella presentazione del lavoro
https://www.youtube.com/watch?v=TE7mBhwbOKk
E la canzone? Eccola. Impalpabile, perfetta. Da “Small Hours”, come diceva John Martyn.
https://www.youtube.com/watch?v=OMFkgeoIOi8
Buon ascolto, vi farà bene.
PS anche questa
https://www.youtube.com/watch?v=tym7zDX6HGM
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“Questa città sta diventando una città fantasma. Tutti i club hanno chiuso.
Questa città sta diventando una città fantasma. Tutte le band non suoneranno più”.
https://www.youtube.com/watch?v=RZ2oXzrnti4
La canzone è del 1981 e gli Specials la scrissero in piena tatcherismo, con un’Inghilterra impoverita, la band accusata di essersi commercializzata per l’ingresso di tastiere giudicate troppo pop e il pubblico che scatenava risse sotto il palco.
Jerry Dammers, il leader degli Specials, guardava dal finestrino dell’autobus i negozi chiusi di Liverpool e le signore anziane di Glasgow che vendevano quanto avevano ancora in casa (servizi da tè con tazze e piattini inclusi, avete idea di che cosa significhi per un britannico?) e poi, senza troppo sforzo, ha scritto “Ghost Town”.
Chi avrebbe mai pronosticato che sarebbe diventata così amaramente attuale?
Fa paura.
Ricordate l’ultimo concerto che avete visto?
Abbastanza appiccicati uno all’altro, pacche sulle spalle, mani addosso, sudore, sorsi di birra offerti da bicchieri altrui, qualcuno tossisce, si suda, qualcuno starnutisce. La normalità convertita oggi in prontuario della mini apocalisse.
Quando tutto finirà, credo che saremo disposti a fare 50 km a piedi per andare a vedere la reunion dei Four Salami On The Boat.
Garantito.
E non voglio più sentire quelli che “Ah, suonano là? No, troppo in periferia. Ah no, suonano lì? Troppo in centro, non c’è parcheggio”.
Ma ok, capisco che bisogna tenere il morale alto, quindi ecco, per la grande iniziativa
“La casa di mia madre”
A volte non occorre attendere che sia la quarantena a rivelarci aspetti della nostra casa che ci sorprendano. Gli oggetti che non ti aspetti possono uscire inaspettati da ogni angolo, anche con la scusa di riorganizzare una stanza o preparare la casa per le festività. La casa di mia madre è da sempre un laboratorio di creatività. L’avvento dell’infinita apatia in cui il mondo sta progressivamente declinando non l’ha colta impreparata. Essendo marzo inoltrato, solo ora gli spazi e le pareti della casa stavano liberandosi dalle modifiche dettate dalla celebrazione del Natale, per prepararsi ai colori e alla gioia dell’estate. La casa di mia madre è una creatura cangiante, multiforme, che si alimenta continuamente di oggetti “che sono validi e non vorrai mica che li butti via”, che “servivano ad una cosa, ma io li ho re-inventati per un’altra”, che “guarda cosa ho trovato al mercatino”. Un mausoleo di creatività incontrollabile, esplosiva.
A puro scopo di suggerimenti d’arredamento, nel caso oggetti inattesi inizino a spuntare anche a casa vostra, ecco qualche semplice esempio:
1) MACEDONIA DI SOPRAMMOBILI
Consiste nel costringere nell’ultimo angolo/piano orizzontale libero della casa oggetti che appartengono a tempi, culture, stili diversi e (apparentemente e incomprensibilmente) messi insieme. La narrativa che c’è dietro a questa logica è per lo più indecifrabile e solitamente si risolve in un “stanno bene, vero?”, “non capisci niente” (nel caso non si sia immediatamente pronti ad annuire alla domanda precedente)
2) LA RICONCETTUALIZZAZIONE WARHOLIANA DELL’OGGETTO
Gesto creativo in cui un oggetto (solitamente deperibile e teoricamente non riutilizzabile) viene inserito in un nuovo contesto che lo rende “valido” e non più usa e getta. Qui tovagliolo per pranzo di Natale appeso alla parte come addobbo e arricchito da corona natalizia. Il concetto è quello di evitare che chi lo osserva capisca che è un semplice tovagliolo
C) L’INVASIONE DEL MERCATINO
E anche quando sembra che Natale sia finalmente fuori da casa di mia madre (verso fine marzo), quando anche l’ultima briciola di creatività sembra essere momentaneamente sopita e pareti e angoli rifiatano, rimane sempre la minaccia dormiente del mercatino. Improvvisamente appaiono su pareti o sui pochi spazi lasciati sui piani orizzontali, oggetti nuovi, inimmaginabili, inspiegabili. Come questo.
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Da ragazzino avevo una raccolta di fumetti intitolata The Dropouts. Contrariamente all’uso odierno della parola (generalmente qualcuno che non lavora, ma ha un bel progetto musicale destinato a fare il botto e indossa abiti di recupero più per necessità che per hipsterismo) definiva una coppia di naufraghi, Alf e Shandy, che trascorrevano giornate pressappoco identiche su una minuscola isola deserta. Ricordo in particolare una striscia: i due erano sdraiati sotto l’unica pianta di cocco, mani intrecciate dietro la testa, in silenzio. Non succedeva niente. Alla fine, uno dei due diceva “sempre duro il lunedì, eh?”.
Ecco, oggi funziona un po’così.
Ma non per tutti, là “fuori” c’è gente che garantisce servizi e, soprattutto, ci sono infermiere/i e dottoresse/dottori che immagino siano a pezzi. Credo che ognuno di noi sia in contatto con qualcuno che lavora in ospedale e sa bene che, quando riescono a risponderci, sono quasi sempre esausti, ma anche risoluti e, se ce la fanno, persino ironici.
Bè, grazie.
Ho pensato a cosa dedicare loro oggi, e mi veniva sempre in mente l’attacco di “I’m So Tired” dei Beatles, quella sensazione di beatitudine malsana da svenimento annunciata da “I’m so tired, I haven’t slept a wink I’m so tired, my mind is on the blink”, ma poi ho pensato che ci voleva qualcosa di più ottimista, insomma una canzone pop di minchionesco supporto.
Mi sono ricordato di quando, trent’anni fa, svolgevo il mio ameno servizio militare. Un pomeriggio in caserma, in cui eravamo quasi tutti in aria di congedo, ma scazzatissimi e irascibili, all’improvviso è partita nei corridoi da una radio a tutto volume “Samarcanda” di Roberto Vecchioni. Memorie da dopoguerra, lo so, e anche se ascoltate solo noise giapponese o il lati B dei 12″ della Warp, immagino che vi sia capitato almeno una volta nella vita di sentire quella canzone. Un ritmo folk, da danza agreste, con un ritornello di quelli che non ti stacchi (mai) più dal cervello che fa “Oh oh cavallo, oh, oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh, cavallo, oh oh”. Appunto. Esattamente quando partì il refrain del cavallo, un commilitone abruzzese metallaro totale assoluto, che in nove mesi ci aveva omaggiati credo di sedici parole in totale, cominciò a battere gli anfibi a tempo e a muoversi con la mano fieramente alta nel gesto delle tre corna. Yeah! Impazzimmo tutti, sull’ennesimo oh oh cavallo, esplose un coro da stadio esaurito in ogni ordine di posto, chiunque batteva a tempo su armadietti, letti a castello o gavette d’alluminio. Qualcuno, persino, rise. Poi, finita la canzone, tornammo tutti abbastanza velocemente al nostro aplomb virilmente tenuto in piedi con il Vinavil. Ma fu un momento indimenticabile, di fiera e impagabile cazzoneria liberatoria.
Quindi, cari amici che siete al limite, e non dormite da tempo e non so nemmeno bene che cosa state e dovrete affrontare, ecco il mio piccolo omaggio. Have fun, se potete.
https://www.youtube.com/watch?v=VrUoDdS8lBc
Dimenticavo, grazie per i contributi della campagna OGGETTO DISPETTO, domani pubblicheremo una prima scintillante carrellata.
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L’ho avuto sotto gli occhi dall’inizio, ma me l’ha ricordato un nostro amico dalla Val D’Aosta (tenez bon et n’abandonnez pas, Jean-Claude!), da quando siamo in quarantena: “ogni giorno sembra domenica”. Molle, pigro, lento.
E oggi è domenica, quindi abitualmente in giornate come questa si affrontano imprese meravigliose tipo mettere in ordine le t-shirt a febbraio, infilarsi nei cassetti oltre i bastioni della biancheria o spostare scatoloni con lo scotch marrone dove non sai più cos’hai ficcato dentro.
Tutte amenità che ti fanno rimpiangere di non essere al lavoro.
Purtroppo ormai lo facciamo abbastanza di continuo in questi giorni. L’occasione giusta, no?
E allora affiorano degli oggetti che mettono paura. Cose che sei convinto non siamo tue e che, sicuramente, qualche malintenzionato ti ha ficcato nell’armadio mentre eri distratto in cucina o rilassato in bagno. Non sei stato attento e, zac!, un mariuolo ha messo con destrezza e perfidia un barometro in mezzo all’attrezzatura da sci, un libro di massime Daniele Piombi tra i tuoi Simenon o un paio di simpatiche bermuda pinocchietto rosse di fianco ai jeans.
Li prendi in mano e ti chiedi “ma come cazzo è possibile che io avessi questo?”.
Non vi è ancora successo? Beati voi.
E allora lancio oggi la campagna OGGETTO DISPETTO, galleria di orrori rinvenuti e dai quali volete dissociarvi.
Mandate foto via mail o via wapp se ricevete direttamente il Backdoor Antivirus.
Pubblicheremo (ditemi se volete rimanere anonimi, lo comprendo…) una bella galleria di assurdità casalinghe venute a galla.
Comincio con le mie
Dai, è pazzesco. Una vita di letture selezionate e poi salta fuori questo. Io lo so che è stato qualcuno di voi e se la sta ridendo. Maledetto
Anche questa, buondio… Ma quando posso aver portato in casa mia il set “copricapo da finto rasta”? E per usarlo in quale occasione?
Qui ho perso conoscenza. Il troppo è troppo. Dopo averlo avvistato che faceva finta di niente subito dopo i Protomartyr e gli Psychedelic Furs ho pensato di impiegare tutto il bagaglio residuo di Amuchina per bonificare la collezione.
Comunque, attendo le vostre segnalazioni e torno a quanto scrivevo all’inizio.
Ogni giorno sembra domenca.
Che poi qualcuno dice, “ma come, non ha ancora messo nulla degli Smiths o di Morrissey?”
Appunto. Et Voilà.
https://www.youtube.com/watch?
Backdoor riaprirà, si spera presto, e i vinili torneranno a girare
Keep On Rockin’ In A Free (from virus) World
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Inevitabilmente, si comincia a sognare.
Di stare altrove, di fare altro. Di essere qualcun’altro?
Da sempre, nutro due desideri.
Il primo è diventare Roger Federer per un giorno (una volta era McEnroe), per giocare 24 ore senza fermarmi e sentire tutti i colpi che escono fluidi e fenomenali. Scendo a rete, sparo di rovescio, smorzo, piazzo un ace. Faccio tutto in leggerezza assoluta.
https://www.youtube.com/watch?v=qo-NdNkCjuk
Il secondo, e da sempre, presentarmi così, con questa faccia che ho, gli abiti da vecchio liceale britannico e la rinomata incapacità danzereccia, in mezzo a una pista o uno spazio aperto qualsiasi e improvvisamente ballare alla perfezione, intendo nello stesso esatto modo, “You Should Be Dancing” come John Travolta. Con la faccia seria e impassibile.
https://www.youtube.com/watch?v=LUID0jSh2Ic
Piazzarle tutte: l’allacciamento dei polsini, il frullatore Girmi impazzito, tacco-indice indice-tacco, movimento pelvico (soprattutto movimento pelvico), spaccata olimpica, finto gesto dell’ombrello, danza cosacca per nani, sbracciate da segnalatore aereoportuale. Insomma il repertorio completo. E poi sparire.
Cristo, quanto mi piacerebbe.
Comunque stasera è pur sempre sabato sera (e spero che nessuno abbia la febbre) quindi per chi vuol danzare, ecco qui l’unico e inimitabile James Brown
https://www.youtube.com/watch?v=_EZVIMjACF4
come si suol dire “don’t try this at home”, ma danzate in ogni caso e come riuscite.
Cercate di essere felici.
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Ho un problema con l’udito.
Troppo sviluppato, forse un eccesso di allenamento dopo tanti anni passati ad ascoltare dischi.
In teoria sarebbe dovuto succedere il contrario, considerati i volumi insensati adolescenziali con cui ascoltavo in cuffia Husker Du, Smiths o X. Invece no, sono quel tipo di persona che, se uno starnutisce a un km di distanza alle 4 di mattina, si alza di botto nel letto, gira la testa, e si domanda a chi deve dire “salute”.
Un disastro.
L’unica consolazione, quando la soglia del mio udito supera quelle dai doberman con gli ultrasuoni, sono i rinomati “tappi auricolari antisuono in cera naturale Calmor”. Calmor, appunto. Li fanno in Svizzera, una garanzia.
Ma Calmor mica tanto, perché poi alla fine dopo quello starnuto ipotetico, spesso mi alzo e vado magari alla finestra, apro, e mi gusto aria e silenzio.
Ecco, un’altra cosa strana di questi giorni è il silenzio semi assoluto che c’è in città, ma durante il giorno, in pieno pomeriggio. Quando me ne sono accorto la prima volta mi ha messo i brividi.
Quindi, ecco la canzone di oggi
https://www.youtube.com/watch?v=O5n2rr7cjfE
non facile fare una cover di un capolavoro simile, ma i Chromatics ci sono riusciti.
E avere un disco nuovo dei Chromatics non è una cosa da poco. Il loro eccentrico leader, Johnny Jewel, per dire, aveva distrutto fisicamente quindicimila cd e diecimila vinili del precedente, e mai uscito, “Dear Tommy”, dopo esser quasi affogato alle Hawaii nel giorno di Natale del 2015. Vero? Leggenda? Chissà.
Tenete duro, e fate pure casino. Tanto vi sento comunque.
Backdoor riaprirà, si spera presto, e i vinili torneranno a girare
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E così Backdoor è chiuso.
Quindi questa, che è una storia di ieri, direi che va benissimo per oggi.
Ieri mattina sono andato in negozio a piedi, una quarantina di minuti scarsi, per muovermi un po’ e dare un’occhiata alla città.
La decisione di chiudere la maggior parte delle attività era nell’aria, ma molti avevano già anticipato lo stop che sarebbe arrivato in serata. Fogli di saluto sulle serrande, preoccupazione e hashtag beneaugurali.
Poca gente in giro, molte mascherine, alcune buffamente “autoprodotte” con sciarpe e domopak, sguardi preoccupati (“mmm…questo ha la faccia di uno che ce l’ha…) e camminata a parentesi tonda (appena qualcuno si avvicina, tu allarghi e poi rientri).
Molta inquietudine generale.
Poi, quando ero quasi arrivato, mi sono fermato sotto i portici di Piazza Statuto, dove una volta c’era un’edicola, e ho aperto lo sguardo. Degli operai stavano lavando, forse disinfettando, le rotaie del tram, una macchina dei carabinieri controllava traffico e permessi, una signora affacciata da una finestra salutava qualcuno che forse avrebbe voluto poter incontrare di persona.
Tutti e dico tutti, che si creda in Dio, Lou Reed o Camazotz, era come se aspettassero un segnale dall’alto, per esser confortati, per capire.
E, esattamente in quel momento, un piccione mi ha cagato sul piumino.
Plaf! bella dritta sulla manica sinistra.
Il segnale dall’alto l’avevo ricevuto io. Ero stato il prescelto. E vedevo anche il mittente, un bastardo di pennuto tre metri più in alto, su una sbarra di ferro tra le arcate.
Quindi, come dire, Dio, Lou Reed o Camazotz, grazie, va bene così. Abbiamo capito.
https://www.youtube.com/watch?v=YWk1v5YSGUY
e questa è il mio vaffanculo a Camazoztz, che per chi non lo sapesse era una divinità dalle sembianze di pipistrello guatemalteco molto rilevante nella mitologia Maya. Il nome Camazotz è formato dalla parola K’iche, che significa “morte”, e Sotz, che significa “pipistrello”. Azzarderei che qualche responsabilità in tutta questa faccenda deve averla di sicuro.
Quindi state a casa e resistete.
Backdoor riaprirà, si spera presto, e i vinili torneranno a girare
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Dicono che con tutto questo stare a casa aumenteranno di sicuro le nascite.
Ovvio, quello è un ottimo passatempo (durante il famoso black out di New York, successe davvero) ed è una bella visione delle cose.
Ma mi faceva giustamente notare un amico che, viceversa, potrebbero anche aumentare le separazioni.
Non sono da escludere piccole guerre civili sugli orari delle colazioni (spegni la tv, devi proprio mettermi il giornale sulla tazza, sei diventato muto?), sull’uso dei bagni (è necessario lavarsi la testa mentre mi faccio la barba e lei usa il phon?) o sui Grandi Temi Pratici dell’Umanità (tipo, come si rifà correttamente il letto, la trigonometria applicata al riempimento della lavastoviglie, l’orario d’inizio della ristrutturazione dello sgabuzzino).
Pensateci, potrebbe accadere, anche se questa è sicuramente una visione meno bella delle cose.
E allora, nell’eterno derby eros vs thanatos oggi propongo
https://www.youtube.com/watch?v=Zski7RAPEFw
dovrebbe funzionare in entrambi i casi.
Chi è Pierre Daven-Keller?
Autocitazione, con un estratto della mia recensione sul numero di Rumore (https://rumoremag.com/) in edicola (compratelo! è un’ottima lettura anche da Isolation Times), “spiegando” di che cosa è fatto il suo disco:
“Del meglio: Bacharach, Air, Morricone e Gainsbourg. Ancora? Perché, qualcuno vorrebbe sinceramente smettere? Avete presente Double Vies, il film di Olivier Assayas? Tutti discutono di editoria, del futuro digitale, sono intelligenti, bevono bene e, inevitabilmente e con nonchalance sopraffina, trombano e poi si fumano una sigaretta guardando i boulevard. Maledetti francesi. Kino Music è la musica di quella nonchalance, che solo uno sventurato di dio potrebbe decidere di non buttarsi al collo come vello sacrale. (…) Daven-Keller, al secolo Pierre Bondu da Montmartre, con qualche disco alle spalle, ci spiega come bisognerebbe stare al mondo con l’incanto erotico di La Fiancée de l’atome, dove Helena Noguerra (attrice, voce dei Nouvelle Vague e sorella di Lio) si tramuta in Edda Dell’Orso per il suo e il nostro godimento (dal minuto 3, prego)”.
“Godetevi” la canzone e poi fate la vostra scelta.
Backdoor (per ora) è aperto. Comprate (o fatevi spedire un disco).
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https://www.youtube.com/watch?v=lmXW6YpMw84
Ogni giorno le cose cambiano. Siete tutti a casa?
Backdoor è aperto e qualcuno passa a fare scorta di dischi visto che deve rimanere in isolamento casalingo.
Il che ci commuove, i vinili come i beni di prima necessità.
Il nuovo Real Estate o Calibro 35 prima dei piselli e della pasta, tanto per dire.
Ma molti sono spaventati, ovviamente, e allora la scelta di oggi è per una ballata di conforto.
La dolce Suzanne Vega e un ritornello che dice più o meno
“Oh, tienimi come un bimbo che non vuole dormire, lascia che mi raggomitoli dentro di te e fa che ti senta per il tuo calore”
Fate le cose con giudizio, ma non sparite. Trattatevi bene.
Backdoor (per ora) è aperto. Comprate (o fatevi spedire un disco).
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