questo non è un Backdoor Antivirus 16: the last show

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Fa un po’ pensionato sulla panchina, ma la domanda è questa (magari immaginate di dare una botta col gomito al vostro interlocutore):

“Dì un po’, ma tu te lo ricordi l’ultimo concerto che hai visto?”.

Triste, bisogna pensarci un attimo, perché non è affatto immediato ricordarsi l’ultima volta che abbiamo assistito a un concerto. Magari in un club piccolo, con una birra in mano, attaccati uno all’altro e tutti sputazzanti per sovrastare gli amplificatori e poter domandare cose tipo “Ma questa è una cover dei Pylon o sbaglio??!!”.

Bei tempi.

Ma prima di affogare nella malinconia e nel rimpianto, facciamo un rito propiziatorio collettivo.

Scriveteci (backdoor.torino@libero.it) e diteci l’ultimo concerto al quale eravate presenti. Con due righe di commento o anche solo il nome della band.

Magari funziona, magari ritorneremo a sputazzare. Magari era davvero una cover dei Pylon.

In ogni caso, ecco il mio (ok, prima di entrare in Zona Rossa ho visto anche Alessandro Baronciani e i suoi ospiti al Circolo della Musica di Rivoli, musiche, parole e illustrazioni per “Quando tutto diventò blu”)

Smile 22 gennaio 2020, Blah Blah, Torino

Le “miei” condizioni ideali. Band esordiente, grande attesa e pari curiosità. Tutto superiore alle mie già alte aspettative.

Dovendo dire (spiegare), echi di R.E.M., Smiths, Wedding Present, nessuna cover dei Pylon, ma una (grandissima, dalla ottima cassetta tributo  “From Turin to Austin”) di Daniel Johnston, “Life In Vain”.  Potenti e pop (con quella chitarra che per noi significa indie rock che significa quell’indie rock). Li ho adorati subito. Avrei voluto che suonassero il triplo e sono uscito bello goduto, certo che li avrei rivisti prestissimo.

https://www.youtube.com/watch?v=R7ayALwv9i8

smile

Purtroppo nel frattempo il mondo è crollato, ma sappiate che loro hanno un disco in uscita per il 2021.

Quindi non arrendiamoci e predisponiamoci al meglio. Magari arriverà.

from-t-to-a

 

comprate From Turin To Austin e probabili cover dei Pylon

(https://www.youtube.com/watch?v=atAxTsCxMcU)

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questo non è un Backdoor Antivirus 14: io non vado da nessuna parte

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Per la serie Grandi Ospiti, ecco uno sfavillante contributo del Direttore (aka Mauro Fenoglio), nostro amico, colonna portante backdooriana e stimata firma di Rumore.

Pregevole e raffinato. Vogliate gradire.

Io non vado da nessuna parte

di Mauro Fenoglio

nowhere

“Tu non vai da nessuna parte”.

È diventato un mantra, in questo gaio tempo pandemico.

Che poi non è che te lo impongono col fucile, come se fossi un cittadino di Wuhan tirato su a brodo e pangolino. Ti prendono a sberle a forza di dpcm (acronimo che può essere anche declinato come risposta ai decreti. Urlando, mentre si volge lo sguardo in alto verso una serie di divinità incuranti del nostro destino).

Oppure, se vivi nel sud est degli Stati Uniti come me, te lo dicono senza dirtelo. Mettendoti paletti strategici. Puoi uscire, fare i tuoi giri a piedi (sempre e inesorabilmente lo stesso giro, da marzo) ma se provi a prendere un aereo per una destinazione oltre oceanica, non è detto che ti permettano di ritornare, in un trionfo di cavilli e permessi mai sufficienti. Puoi andare in un ristorante (che non si sognano di chiudere) e a tuo rischio e pericolo, dare il tuo personale benvenuto al virus. Insomma, ti puoi muovere dove ti dicono gli altri (e andare dove non ti frega nulla), ma non dove vuoi tu.

E allora non puoi che dirti, sconfitto: “Io non vado da nessuna parte”, mentre affondi sul divano, testando il limite della sua resistenza nel tempo, dopo la quarta ora ininterrotta di televisione.

Eppure, quando il tempo (il tuo) era ancora un concetto che aveva un suo significato e non si limitava a giri di lancette sempre uguali, “non andare da nessuna parte” poteva essere una cosa meravigliosa. Anzi, è stata spesso proprio la musica che “non va da nessuna parte” a farti sentire vivo e unico.

Ultimamente, magari in fondo ad una giornata senza possibilità di un domani che provi ad essere diverso da ieri, mi è capitato di ripensare a Thirteen dei Teenage Fanclub e a come fosse meraviglioso dire “io non vado da nessuna parte” solo qualche tempo fa.

thirteen

Inutile spiegare chi siano i Teenage Fanclub qui dentro. Scozzesi, ma più americani che britannici. Baciati dal titolo di “più grande band del mondo” da Kurt Cobain in persona. Fra furia giovane, meraviglioso cazzeggio e innocenza, nell’anno di grazia (assoluta) 1991, col loro miracoloso Bandwagonesque.

Ecco, Thirteen arriva due anni dopo il capolavoro.Norman, Gerald, Raymond e Brendan decidono che è arrivato il momento di non andare da nessuna parte. Un disco che guarda dritto alla loro fonte d’ispirazione primigenia, quei Big Star che già negli anni 70 ebbero i loro guai nel far capire il loro verbo da meravigliosi sfigati. Un disco che non si preoccupa troppo di essere fuori tempo massimo (rispetto ai trend dell’epoca). E infatti Thirteen all’uscita riceve riscontri che vanno dal tiepido all’apertamente negativo. Solo col tempo i fan più verticali lo riabiliteranno (a volte anche con gli interessi).

Ma qual è il segreto aureo delle sue canzoni?

  1. Partire con frasi melodiche che non si preoccupano minimamente della sintesi (meglio se lievemente dissonanti, anche nella loro apparente gaiezza)
  2. Unirci testi che si guardano addosso, magari ripetendo la stessa frase ad libitum
  3. Scegliere la chitarra come motore per combinare 1 e 2 in un flusso da cui, a forza di ascoltarlo, si finisce per non volerne uscire più. Avendo coscienza di eleggere l’’assolo fine a sé stesso come veicolo, appunto, fuori tempo massimo (è l’inizio dei 90, baby. A te piace il power pop e gli anni ’70, ma noi abbiamo lo shoegaze)
  4. E niente lezioni accademiche sull’arte della ripetizione, tipo i nastri disintegrati di Basinski o le vertigini dell’’ascetismo elettronico degli Autechre. Qui si parla di assoli di chitarra, spesso pigri e senza pretese di cambiare l’ordine naturale delle grandi cose che governano il mondo.

Thirteen è un po’ tutto questo, nella maniera meno cosmeticamente adatta al tempo della sua pubblicazione, senza il supporto dell’appeal fresco dello straordinario predecessore.

Ascoltatevi la coda pigra, tutta flauto e archi, di Hang On (sberleffo al brit pop poco prima del brit pop), le 10 ripetizioni 10 di “I’m In Love With You” di Norman 3. O lasciatevi convincere che “When I See You Cry I Think Tears Are Cool”, come canta Gerald Love nella tenera Tears Are Cool, prima che parta l’ennesimo assolo che non ha davvero voglia di piantarla lì, se non quando rientra la ritmica, è l’unica frase che vi è rimasta in tasca, quando tutto sembra finire. Tutta roba che per il 1993 era già ben più che passata di moda, ma su cui ritornare, e ritornare, e ritornare, è stato un piacere e un sollievo per tutti questi anni.

Almeno per me, che ve lo sto a raccontare qui dentro.

https://www.youtube.com/watch?v=omeoWJ8SHrY

Certo, parliamo di un esempio fra tanti.

Altri?

Il premio del “io non vado da nessuna parte” è sicuramente nella coda infinita di Cortez The Killer di Neil Young (uno che del non andare da nessuna parte ha fatto una ragione di vita musicale). Che poi, Doug Martsch dei Built To Spill ha coverizzato, trasformandola in un meraviglioso challenge da una ventina di minuti, trionfo assoluto del non andare da nessuna parte.

cortezb-t-s-live

https://www.youtube.com/watch?v=uX9k9aoX6gk

https://www.youtube.com/watch?v=TNOvqFISxIc

E cosa vogliamo dire di Mr. J Mascis e di cosa sia per lui il non andare da nessuna parte, a colpi di chitarra che si guarda allo specchio? Senza andare troppo lontano, quante volte vi viene voglia di riascoltare Get Me dei suoi Dinosaur JR e sperare che non finisca mai? Che ci sia l’ennesimo assolo di chitarra ad attenderci al minuto 9?

j

https://www.youtube.com/watch?v=ybExfDHg1i0

Se poi vogliamo parlare di assoli circolari, allora rivolgiamoci a Mark Kozelek (sempre che ne sentiamo ancora parlare, dopo la sua scivolata in territori presidiati dal tribunale Me Too). Prima che la sentenza sia certificata, facciamoci un giro dentro all’ultimo disco dei suoi Red House Painters (Old Ramon del 2001) e mettiamoci al volante nella notte di Los Angeles, fra le sciabordate di Cruiser. Oppure perdiamoci nelle calme acque scure del fiume padre, fra le radici legnose di Carry Me Ohio (da Ghost Of The Great Highway dei suoi SunKil Moon, 2003) o scopritevi affascinati dalla geografia e la toponomastica, fra gli arpeggi circolari di Third And Seneca (da AdmiralFellPromisesdel 2010). Canzoni che iniziano sapendo già che non finiranno mai, continuano inesorabili nella loro incapacità di evolvere, sapendo di avervi preso per il collo per convincervi a non abbandonarle più.

oldramon

https://www.youtube.com/watch?v=O6qKGijRAeA

E allora si che era dolce dirsi “io non vado da nessuna parte” e sapere che quelle canzoni sarebbero rimaste con me per sempre. Le avresti abbandonate per un po’ con la scusa di rimetterti al pari col presente, per poi ritornarci dentro quando quel presente si faceva meno accogliente. E ricominciare da lì, esattamente dove le avevi lasciate.

Adesso, che il nostro “non vado da nessuna parte” e diventata asettica dannazione quotidiana, sono tornato su Thirteen. Era qualche anno che non lo facevo. Capita sempre così con i dischi dei Teenage Fanclub. Ho lasciato che Hang On si faldasse fra il flauto e violini, sono passato nel cortile al crepuscolo di 120 Mins, attraversato le strade finto blue(s) di Escher, accarezzato una volta ancoraTears Are Cool…..

…..e alla fine mi son detto “Ma io, davvero, dove cazzo devo andare…”.

Ora vi lascio, che stanno iniziando gli otto minuti di Gene Clark (pezzo conclusivo e riassuntivo di Thirteen)

https://www.youtube.com/watch?v=PzKFH-m9NGU

e io so (perché lo so) che dopo le sciabolate di chitarra a zampa d’elefante, allineata lungo sulle note di Cortez The Killer, a 3 minuti e 40 secondi circa, come sempre, arriva la voce di Gerald Love a rassicurarmi che almeno fino a qui siamo arrivati indenni.

Domani si vedrà.

“No matter what you do it all returns to you
No matter what you say you’ll hear it all someday.”

tf-ts

(continuate a ) comprare Teenage Fanclub, Neil Young, Built To Spill, Mark Kozelek e Dinosaur Jr

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questo non è un Backdoor Antivirus 13: era meglio il demo (del lockdown)

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So che lo sapete, ma il (la, forse sarebbe più corretto) demo è, nella vulgata musicale, la cassetta (o cd) con cui un artista/band esordiva, sperando di farsi conoscere o trovare un’etichetta che lo pubblicasse. Demonstration tape, appunto. Alcuni sono diventati leggendari, ma soltanto alcuni. Nella maggior parte si trattava di porcherie totali.

Tra i tanti snobismo tipici del “nostro mondo”, uno dei migliori è accogliere l’esordio di un artista/band celebrato fin da subito con un annoiato “era meglio il demo”. Già. Il che sottointende: mi aspettavo di più – l’ho scoperto io e ora mi ha rotto le palle – i suoni sono da major (il concetto di major, nel 2020) – sono duro e puro (io e soltanto io).

Reso l’idea?

Quindi:

“Ah, fai ancora questa cosa dell’Antivirus?”

“Sì, per me è una specie di disciplina quotidiana. A diversi clienti e amici che lo ricevono fa piacere, è un modo per rimanere in contatto con tutti e poi dà visibilità al negozio. Magari qualcuno compra un disco o fa un ordine. Essendo chiusi, aiuta”

“Non sapevo foste chiusi. Come mai?”

“E bè, Zona Rossa, lockdown, sai com’è…”

“Sì, ma non è come il primo lockdown, quello sì che era un vero lockdown, non come questo. Nessuno in giro, la gente tappata in casa. Anche l’atmosfera era diversa. Ora non si percepisce, per le strade un sacco di persone che si muovono. Non ha senso paragonarli. Io poi, per carità, anche allora ho sempre girato, ma era diverso. Trovavo sempre parcheggio, ci mettevo la metà del tempo ad attraversare la città. Adesso, no. Poi c’era la conferenza stampa delle 18, Burioni, tutta un’altra cosa. Questo non lo chiamerei nemmeno lockdown, dipendesse da me”

Prefab Sprout “Couldn’t Bear To Be Special (Paddy McAloon home demo)”

https://www.youtube.com/watch?v=RhxYU2Iy8ZY

p-mca

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questo non è un Backdoor Antivirus 12: zifio is the new loud

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A metà degli anni 70 partecipai con la mia scuola elementare al Concorso sul risparmio energetico “Omino Sano Omino Blu”.

In classe preparammo un cartellone dove venivano illustrati comportamenti adeguati e indiscutibilmente corretti.

Due i nostri punti di forza.

1-Spegnere sempre la luce dopo aver abbandonato una stanza (per anni venni additato come “Il Sacrestano” per l’applicazione ossessiva di questa pratica virtuosa).

2-Chiudere sempre la porta del frigo (evidentemente negli anni 70 qualcuno la dimenticava spalancata, lasciando marcire fagiolini e Belpaese Galbani. Anni dopo il problema si presentò in forma contraria, l’imperativo divenne per me cercare di aprirla un po’meno quella dannata porta)

A sorpresa, fummo tra i premiati. Non solo, durante una cerimonia di carattere bulgaro in un Palazzetto dello Sport gremito oltremodo, il Sindaco mi consegnò una specie di pergamena cardinalizia e venni intervistato al TG2 edizione serale.

Un picco di popolarità mai più eguagliato.

Poi le cose sono peggiorarono, dal punto di vista ecologico, intendo. Ora abbiamo Greta (grandissima sotto ogni punto di vista, anche per il suo look indie e quello sguardo graphic novel) e io non so se magari il vecchio cartellone di Omino Sano Omino Blu potrebbe servirle, ma quando faccio la mia brava immondizia differenziata ci penso.

Ok, vengo al punto.

Ed è questo: tra le tante campagne di sensibilizzazione sulle tematiche di area ecologica, la mia preferita è senza dubbio questa.

Max Casacci “Oceanbreath”

https://www.youtube.com/watch?v=0n1v2z6mCTQ

max-casacci-silvia-pastore-1

Qui una breve descrizione. “Regia di Marino Captitanio. “Oceanbreath” è il frutto dell’incontro tra il produttore e compositore torinese e Mariasole Bianco, biologa marina nonché presidente della onlus Worldrise. Max Casacci ha infatti utilizzato rumori, ambienti sonori, canti o versi acquatici provenienti da diverse zone marine che sono stati forniti dalla onlus stessa. Manipolando quei suoni, seguendo un preciso filo narrativo, è nata un’opera sonora che dà voce all’oceano”

qui potete approfondire di più

https://worldrise.org/oceanbreath-max-casacci/

Il video è impressionante e la musica potente e scura. Come la Natura stessa, per niente new age campanelli e trilli, ma quasi sempre buia e carica di drones.

“Brano realizzato esclusivamente con i suoni dell’oceano, senza utilizzo di strumenti musicali elettronici o acustici. Da un coro di pesci della barriera corallina australiana, al canto di una balena campionato e trasformato in pianoforte, fino al verso di uno zifio intonato come un immaginario flauto marino. Poi onde, delfini, pesci più comuni, per arrivare ad un finale ritmato sul rumore della rottura dei ghiacciai causata dal riscaldamento globale”

Io sono un grande appassionato di field recordings. Posseggo un nastro di rumori della foresta di Tikal in Guatemala (scimmie urlatrici included), tanto per dare l’idea. Ma lo zifio, devo ammetterlo, mi mancava.

Al che, la domanda che molti di voi si staranno ponendo.

Cazzo è, realmente, uno zifio?

eccolo

zifio

sostanzialmente, lo zifio è un cetaceo, definito un “nuotatore rilassato e tranquillo”. Di faccia, direi che sogghigna, ma non saprei dirvi esattamente perché.

Ora, Max Casacci tra Subsonica, lavori solisti (imminente il suo “Earthponia”) e produzioni (a proposito, eccellente quella di “Scacco Matto” di Lorenzo Senni), non ha bisogno di arricchire il curriculum, ma credo possa comunque tirarsela tranquillamente come “l’uomo che ha campionato uno zifio”.

Buon per lui. E per noi.

E non scordate di spegnere le luci se state abbandonando la camera (sul frigo mi sono arreso, con gli anni).

frigo

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questo non è un Backdoor Antivirus 11-I dannati dello Smartworking

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Esco a fare due passi, giusto quelli, perché non provo un irresistibile bisogno di comprare un’acqua di colonia parigina, un paio di sci da fondo, un abitino per i nostri infanti notoriamente ignudi, due etti di cioccolata, l’ultimo libro di Vespa, insomma non mi serva nulla di essenziale e disponibile alla vendita.

Cammino come un aspirante fantasma avanti e indietro nelle vie che delimitano il mio caseggiato, ma all’improvviso desidero essere realmente da solo, quindi mi dirigo verso palestre, cinema, piscine, teatri e club dove andavo a vedere i concerti.

per la cronaca sto ascoltando questo

https://www.youtube.com/watch?v=FQMXI5a1Pco

gainsbourg

e non padroneggio nessuna idea particolarmente brillante. Per fortuna.

Poi guardo i palazzi, le finestre e, a un certo punto, su un balcone, vedo uno che fuma. Ha l’incarnato color antracite, la tristezza appiccicata sul volto e lo sguardo rivolto al nulla.

E allora vi immagino là, voi dannati dello smartworking, reclusi magari da otto mesi come il Conte di Montecristo.

Con le ciabatte perennemente a quei piedi mai più calzati con regolarità da scarpe civili.

L’orrore della “tuta da lavoro” (quella da ginnastica, grigia e con il cavallo dei pantaloni ormai all’altezza delle ginocchia).

Le donne ricacciate in quelle case da dove faticosamente erano riuscite a evadere, tallonate da bambini che urlano, litigano, cagano, hanno fame, si annoiano. Le lavatrici, i pasti (è già di nuovo ora di mangiare?), insieme, sopra e dentro il lavoro.

Le congiuntiviti da schermo, che è obbligo e (non più) svago (stacco un attimo, guardo quanti sono i positivi, l’Ansa, i siti dei quotidiani).

La nostalgia che fa paura, quella dei colleghi stronzi, del gusto paludoso del caffè della macchinetta, dei cretini che urlano i cazzi loro sui mezzi pubblici.

Tutto appare desiderabile ora che non c’è più.

Ora che siete agli arresti domiciliari e siete abituati spesso al suono di una frase come “e comunque, anche se lavoro di più, almeno ho la fortuna di averlo ancora un lavoro”.

Ora che vi guardate il pantone ecrù dell’epidermide e i capelli dalla consistenza di segale.

Ora che provate a pesare la massa acritica di una noia enorme e per giunta consumata in una casa che ormai, qualche volta, spesso, desiderereste bruciare.

Ora a Voi dedico questo.

https://www.youtube.com/watch?v=_3eC35LoF4U

th

 

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(che accoppiata meravigliosa)

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questo non è un Backdoor Antivirus 10: Sunday’s Belle

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Domenica è una faccenda privata, soprattutto in tempi da Zona Rossa.

Quindi scelte sicure, garanzie, sweetness & sweetness.

E anche meno parole, il sound of silence non è poi male.

Come ho già detto, il futuro non è così buio. Ci attende un disco live di Belle & Sebastian.

Quindi due video in anteprima.

Del primo (grazie a Francesco V. per la segnalazione), amo tutto. Persino (soprattutto) la Paesano Pizza.

“My Wandering Days Are Over (Live)”

https://www.youtube.com/watch?v=qTDmplv_p0c

Del secondo, invece, amo tutto. Persino (soprattutto) l’assolo dei flauti.

“The Boy With The Arab Strap (Live)”

—.https://www.youtube.com/watch?v=gnvhhvzAvSM

Lo so, sono adorabili.

belle-sebastian

Prendetevi il vostro tempo. Con calma.

Torneremo a ballare senza saperlo fare, esattamente su queste note.

Belle & Sebastian sono sempre disponibili

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questo non è un Antivirus Backdoor 9: première mise à jour de le Cagat du Cinéma

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Bene. L’iniziativa ha funzionato.

http://www.backdoor.torino.it/?p=4693

votate con fiducia, le urne non sono chiuse.

Però, ecco un primo aggiornamento, con qualche motivazione da parte dei votanti.

I primi due sono, in assoluto, i più votati.

joker

Joker

“Per fortuna il lockdown e stato magnanimo con me, per quanto riguarda le immagini e le storie, ma mi porto appresso ancora le stimmate di questa schifezza monumentale che mi perseguita da quando l’ho vista. Un crogiuolo nefasto di autoindulgenza, paternalismo verso i (cosiddetti) esclusi dalla normalità (?) della vita, che così si sentono in diritto di potersi vendicare con gli interessi perché, alla fine, hanno sofferto solo loro. E tutti gli altri: zitti. Con tutto il carrozzone del patetico manuale psicologico per tutti quelli che sono impazziti per il film, ti vogliono propinare a forza di: “eh, ma tu sei insensibile ai crucci di chi non si allinea, i profondi meandri psicologici delle loro ragioni intime che ne determinano le azioni. Io ho un cugino che….” e via con la lista di tutte le scuse buone per un convegno del Forum Mondiale della Giustificazione.  Non c’è più neanche il rispetto per il Male fine a se stesso, accidenti” (MF)

“Mi ha innervosito” (AB)

favolacce

Favolacce

“Un film in dialetto e senza sottotitoli. Non si capisce niente, anche perché tutti parlano sottovoce. Come mai nessuno sa fare il fonico in Italia? Irritante, a dir poco” (GC)

“Molto lento” (CU)

suspiria

Suspiria (Guadagnino)

“Remake del celebre film di Dario Argento. Senza senza capo né coda, inutile direi. Mi chiedo ancora perché qualcuno glielo abbia finanziato” (LB)

jesus-rolls

Jesus Rolls – Quintana è tornato

“Visto (e piantato a metà) giusto ieri sera: spin-off (meglio dire aborto) dal Big Lebowski. Il veterano Walter direbbe: segna zero” (FM)

delitti-perfetti

Delitti Perfetti

“Sarebbe una commedia noir, ma (a discapito di ottimi attori, come Emma Thompson e il trainspottiniano Robert Carlyle), non mi ha strappato una risata (magari è stata colpa mia o del momento, chissà), e ogni pseudo colpo di scena era talmente ovvio da essere annusato eoni prima” (MA)

il-signor-diavolo

Il Signor Diavolo

“Nutrivo grandi aspettative perché ‘La casa dalle finestre che ridono’ è un horror della bassa-padana che ancora adesso apprezzo ogni qual volta mi capita di rivederlo. Ma questo proprio non mi è piaciuto. La trama è troppo ingarbugliata, la recitazione  di alcuni interpreti davvero imbarazzante, per alcuni dialoghi ho dovuto alzare il volume perché sussurrati” (LB)

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Holmes & Watson

“Un film idiota e che, cosa grave, non fa ridere per niente. Sketch buttati lì e trama inesistente in una mega produzione con molti attori famosi (Fiennes, Rebecca Hall etc.) che sembrano lì per caso o solo per i soldi. Mi piange il cuore perché Ferrell mi aveva fatto morire in altre produzioni come Old School e Semi-Pro” (AG)

una-donna-allo-specchio

Una donna allo specchio

“La Sandrelli al Carnevale d’Ivrea. Un film talmente brutto che riesce a restituire l’euforica malinconia canavesana!” (JCO)

on-the-rocks

On The Rocks

“Sofia Coppola, Apple TV+. Che poi non ci voleva un genio per capirlo. Streaming diretto sulla piattaforma più inutile del pianeta. Ormai te la tirano tirano dietro, o scontatissima con quell’altra schifezza di Apple Music. Una sceneggiatura che sta larga su uno scontrino. Una co-protagonista che ricorda Scarlett Johansson quanto basta a non rimanere troppo persi in translation. Bill Murray che ormai vive in un meme di facebook in cui fa cose bizzarre e ovviamente fa cose bizzarre (così come altrettanto ovviamente è ricco da fare schifo). Pare un crimine ormai farlo recitare fuori personaggio, sarà l’effetto Rincon. Sunto: le parti più spocchiose dei film della Coppola, moltiplicate all’incirca per quattro, durante un lockdown” (FV)

guida-romantica

Guida Romantica A Posti Perduti

“Sicura di gareggiare per le prime posizioni, indico Guida romantica a posti perduti, del 2020, regista Giorgia Farina. Vuole essere un viaggio a ritroso per uscire dalle proprie paure, in realtà e’ ridicolo e recitato da cani. Una vera cagata” (ET)

ultras

Ultras

“Orrendo. Ma davvero orrendo. Colonna sonora adeguata. Orrenda Pure quella” (ABA)

 Molto bene, attendo le vostre segnalazioni.

Intanto, per rimanere in tema, ricordo un tweet d’apprezzamento di Aidan Moffat degli Arab Strap su “Suspiria” di Guadagnino. Qualcosa come (vado a memoria) “dopo un quarto d’ora ho spento. Ne avevo più che a sufficienza”. Bene.

Aidan è un mio eroe. Vogliate gradire la sua (insieme al grandissimo Bill Wells) “Cruel Summer”. In tema anche quella, visti gli effetti della nostra insensatezza estiva.

 

https://www.youtube.com/watch?v=MwQgMRxOYGQ

Bill Wells & Aidan Moffat “Cruel Summer”

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questo non è un Backdoor Antivirus 8: Pronto Intervento Merli

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Esco a comprare La Stampa.

Mi metto a un metro di distanza dalla signora in abiti ultra borghesi che, di fronte a me, sta pagando l’edicolante.

O almeno mi illudo che sia così. Che paghi.

Perché in realtà sta allegramente parlando al telefono.

Ha un cane.

O almeno mi illudo che lo sia. E’ grosso come un rollè di tacchino, una faccia da stronzo e mi abbaia contro. Forse riconosce in me lo sdegno con cui lo osservo (cazzo vuoi, bestia orrenda e viziata, allevata a sottofiletto e divani di alcantara, allora, cazzo vuoi?).

La sua padrona è un prodotto da cinepanettone Vanzina degli anni d’oro, in perenne outfit Cortina d’Ampezzo. Indossa vestiti dove le cuciture sghembe e asimmetriche sono esibite, sembra un abito messo al contrario, ma è evidentemente frutto di una sartoria costosissima e dal profilo pauperistico dai doppi cognomi.

A lei, non frega assolutamente una mazza che ci sia qualcuno che sta aspettando (nella fattispecie: me, the poor cazzon whatever), non le interessa che il suo ratto in veste canina stia abbaiando da un tempo indefinito (un cane non può essere sgridato, giusto?).

Lei parla. E di cosa?

Di questo “Guavda, un disastvo. Secondo me non favemo nemmeno una sciata e sono sicuva che che ci savà una neve favolosa. Non mi dive niente, sono fuovi dai fogli, avvabbiatissima”.

Al ché io mi ricordo di essere cresciuto in quartiere dove una delle possibilità offerte dal quotidiano era che ti rubassero le scarpe mentre aspettavi il pullman e allora urlo “e allora! ci muoviamo!!”.

Lei si gira, indignata.

Non doveva nemmeno pagare (forse non paga mai, non possiede denaro perché la ritiene una pratica volgare, chiunque è lieto di prestarle un credito senza scadenza umane), stava lì.

Allora stringe la sua copia di “Terze case al mare da arredare a piacimento” e se ne va. Il ratto abbaia ancora.

Ed è a questo punto che io vorrei poter attivare Il Pronto Intervento Merli, possedere un numero segreto da digitare per chiamare all’istante Maurizio Merli, l’immortale commissario dei poliziotteschi anni 70.

“Pronto Intervento Merli? Presentatevi subito, massima urgenza”.

Loro arriverebbero in tre secondi facendo sgommare la Giulia e aprendo le portiere senza aspettare di aver fermato il motore. Giubbotti di cuoio hardcore, belli pettorusi, lana sulla pelle, stivaletti, baffi, baffi ovunque.

Io indicherei la Contessa Ramellato Gonfaldazzi della Fagiolaia e loro la butterebbero nel bagagliaio in due mosse. Due.

Il cane verrebbe schiacciato dalla sgommata di partenza. Nessuna pietà per nessuno.

Perché il momento è orribile e ci vorrebbe un minimo di buon gusto, anche se si è nipoti di latifondisti e madri di progettisti di giardini zen per la zona di Cannes e dintorni. Un minimo.

pronto-intervento-merli

e allora, per celebrare un vano desiderio, niente di meglio di una grande band che dalle colonne sonore dei poliziotteschi ha saputo magistralmente evolversi verso una galassia di groove ampio e moderno (ma con un’irresistibile flavour retrò che affiora ogni tanto)

Calibro 35 “Fait Till You Make It”

    —https://www.youtube.com/watch?v=ri7z_1zmWBY

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questo non è un Backdoor Antivirus 7: sono positivo (non in quel senso, ma nemmeno in quell’altro)

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Tra le tante trappole pandemiche, c’è anche quella lessicale.

E non  mi riferisco a uno che ho sentito ieri mentre facevo la spesa (198 metri da casa, tranquilli) che si lamentava più o meno così “che minchia poi ci viene a significare questa faccenda del test anti(i)g(i)enico?!! Che ora se non ci laviamo più non ce lo becchiamo ‘sto virus di merda??!!”.

Quello era uno dei tanti liberi battitori sparsi in giro, ormai in crisi di astinenza da bettole o mini assembramenti rionali nei quali poter pontificare in scioltezza.

Penso invece alla tagliola di significati di una risposta come “sono positivo”.

Me ne sono accorto durante una conversazione via zoom. Si discuteva della possibilità di riuscire a consegnare un progetto entro una certa data. “Tu cosa ne pensi?”. E io “Sì, sono positivo”. Prima che potessi aggiungere “Penso che ce la faremo”,  in due si sono allontanati, uno ironicamente, e uno perché era evidentemente terrorizzato. Ma anche “Penso che ce la faremo” non è più neutra, si porta dietro teloni con l’arcobaleno, cantate balconari, un’euforia ormai smarrita, se non “sotterrata” del tutto. Difficile.

Ma io, mentre scrivo, sono positivo (non tiriamo dentro Jovanotti, grazie) per uno stupido, sempiterno e adorabile motivo.

Ho appena ascoltato una pop song vicina alla perfezione. Ci ho scovato mille riferimenti e alcuni li ho poi ritrovati nel video.

Quanto ancora me li godo questi momenti, sono un furbacchione.

Un furbacchione che rivendica la libertà originaria dei vocaboli.

Insomma voglio essere negativo o positivo a seconda dei giorni. Senza dovermene preoccupare.

Come un giocatore della Lazio, in pratica.

A Girl Called Eddy “Been Around”

 — https://www.youtube.com/watch?v=fMpmVk06aVo

 

agce

“Been Around” di A Girl Called Eddy è disponibile da Backdoor

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questo non è un Backdoor Antivirus 6: L’erotismo in tempo di pandemia

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L’avrete notato anche voi, abbondano articoli sul tema: l’erotismo in tempo di pandemia.

Devo ammetterlo, non ne ho mai letto uno. Quindi Backdoor si guarderà bene dal consigliarvi come smanazzare, slinguar o tantomeno introdurvi, ma diciamo che si pone il problema.

O meglio, il problema si è presentato stanotte al sottoscritto, tramite un sogno dal significato inequivocabile.

Segnale che, come il buon Sigmund insegna, puoi far finta di nulla, ma il tuo subconscio non rimane in sciopero.

In poche parole ero mezzo svestito, stavo addosso ad altri “convenuti” contro i quali mi strusciavo e sudavo. Sorridevamo tutti.

E godevamo enormemente.

Una meraviglia.

Poi, ahimè, mi sono svegliato e, sorpresa della modernità, ho scoperto che il mio sogno erotico era già su YouTube.

Inquietante e sorprendente. Ma anche glorioso.

Eccolo.

https://www.youtube.com/watch?v=Sc63fTPttEQ

 

davvero, al momento, non riesco a immaginare nulla di più proibito e che mi manchi così tanto

 

brutalismjoy-as-an-catultra-mono

la discografia degli Idles è disponibile da Backdoor

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