Non sono passati nemmeno due mesi dalla scomparsa di Enrico Fontanelli
e credo che chiunque lo conoscesse abbia pensato a lui ogni giorno.
Questo è il mio ricordo di Enrico, pubblicato sul numero di maggio di Rumore
Aggrappandosi a una distanza
Una delle ultime volte che ho camminato di fianco a Enrico Fontanelli lui, senza quasi fermarsi, ha scattato una fotografia a una macchina parcheggiata.
Si è abbassato leggermente e ha inquadrato una targhetta di un vecchio modello, credo, di fine anni settanta. Non saprei quale.
Mi ha sorriso, come a dire “Non possiamo farne a meno”. È vero, non possiamo.
Tutto significa qualcosa, molto ci serve. Tanto lo buttiamo. Ma ci sono cose alle quali dobbiamo aggrapparci.
Enrico era una persona gentile e ricca di talento. Aveva una faccia bellissima, che spesso mascherava con le sigarette sul palco. O con una riservatezza dolce, che l’ha accompagnato fino alla fine.
Quando ho saputo della sua morte ho rimpianto di non intendermi di macchine, dei modelli che si susseguono nel tempo. Bestia che pensa sempre ai dischi, se avessi memorizzato che cos’era quel rottame grigio che avevamo superato insieme, ogni volta che uno anche soltanto simile mi fosse passato sotto gli occhi avrei pensato, Enrico.
Un chiodo piccolo su parete liscia di tristezza. Un aggancio.
Rimangono i ricordi personali e la musica, ovviamente. Io credo che le sue macchine vere, quegli strumenti ostinatamente ancora funzionanti e tenuti stretti con lo scotch marrone, sentano la nostalgia del suo tocco, esattamente come le persone che Enrico ha sfiorato. Penso a quel meraviglioso adesivo degli A Certain Ratio che aveva appiccicato su una specie di tastiera. Lentamente si staccherà per il calore del tempo e per il freddo della sua assenza. Scelgo per Enrico due appigli. Non so nemmeno se li ha suonati lui o Daniele, se sono un suggerimento di Max. All’inizio e alla fine di Bachelite degli Offlaga Disco Pax ci sono due effetti, minimi e precisi. Dopo un minuto e venti di Superchiome, i Kraftwerk. Allo scoccare dei tre minuti e cinquantacinque di Venti Minuti, i Joy Division. Lasciati lì per noi, espliciti. Una semina di condivisione.
So che oltre alle sue canzoni, ogni volta che sentirò quelle dei Kraftwerk e dei Joy Division, quelle da cui sono stati riflessi quei pochi secondi penserò, Enrico.
E so che succederà. “Non possiamo farne a meno”. È vero, non possiamo.
Tutto significa qualcosa, molto ci serve.
Ma questo lo teniamo. Stretto, con le nocche bianche per la presa.
Maurizio Blatto