Backdoor Antivirus 23
L’Antivirus di oggi è più lungo del solito, ma spero abbiate voglia e tempo di leggerlo tutto.
Abbiamo un ospite: Angelo.
Un amico e un cliente di Backdoor (non solo, direi un protagonista di uno dei momenti più memorabili della storia di Backdoor, come leggerete). Ha fatto tutte le “nostre cose”: radio, scrittura musicale, lavori in un locale dove si suona dal vivo.
Da anni vive a Berlino, ed eravamo curiosi di sapere come fosse la situazione lì.
Quindi, come si suol dire, “direttamente dal nostro corrispondente a Berlino”…
Ciao Angelo, da quanto vivi a Berlino e perché.
Ho visitato Berlino per la prima volta nel 1999 ed è stato un banalissimo amore a prima vista. Appena sceso dal bus, mi sono guardato intorno e mi sono sentito a casa, anche se, o proprio perché, ero arrivato allo Zoo. QUELLO ZOO (Zoologischer Garten). Ho annusato gli odori (merda di elefante e salsiccioni alla griglia) e ho sentito “qualcosa”. Forse era solo colpa delle venti ore di bus, ma per il mio carattere sabaudo era già un’enormità. Con le altre città visitate non era successo.
Da quella volta ci sono tornato due o tre volte all’anno. Tutti gli anni. E ogni volta ho trovato una città diversa. In meglio e in peggio, ovvio. Mi sono sempre sentito bene a Berlino. Mi sono sempre sentito parte della città. E in contemporanea cresceva il mio malcontento per l’Italia prima, e poi, purtroppo, anche per Torino. O meglio, non per Torino città (che adoro). Ma per il maelstrom decadente che ha risucchiato tanta, troppa, davvero troppa gente. Non era più la comunità e la società in cui ero cresciuto. Non mi sentivo più a mio agio. Non parliamo del lavoro poi…
Nel 2005 chiude squallidamente da un giorno all’altro la radio dove lavoravo. Mi passa anche la voglia di lavorare a Spazio211 (che Dio lo benedica) e pian piano anche l’entusiasmo di scrivere per Rockerilla va scemando. Vado a vivere un anno a Parigi e vedo solo la vita che passa fuori dalla finestra perché al di là dalla portata delle mie finanze.
E allora nel 2006, alla fresca età di 30 anni, decido di andarci davvero a Berlino, grazie ai soldi guadagnati sgobbando per i XX Olympic Winter Games. Un anno di bellissime esperienze, ma anche un bel po’ di traumatiche sberle in faccia (dopo un anno non ero più “fresco” per niente). Cinque traslochi, un lavoro in una ditta che fa bancarotta per troppa festa. A volte eccessivo entusiasmo, a volte non uscivo di casa per settimane e altre varie ed eventuali… Dopo dodici mesi mi ritrovo in questa situazione: lavoro finito, papà che si ammala, la solita nostalgia per gli affetti e gli amici. Torno a Torino.
Ma.
Nel 2014 Berlino ripiomba nella palude del mio tirare avanti da disperata e inutile partita iva: papà finalmente riposa in pace (sette cazzo di immeritati anni di distruzione e annullamento della sua persona) e la mia compagna, dopo eoni di sfruttamento all’Università, trova un lavoro a Potsdam (la Venaria Reale berlinese). Un solo curriculum mandato, lavoro ottenuto in tre giorni. Solite cose: molti più soldi, prospettive, una nuova avventura a Berlino. Molliamo tutto in due mesi, pure la casa e i mobili comprati solo due anni prima. Tutto no, i gatti li portiamo con noi.
Ed eccoci ancora qui dopo sei anni, tanti tanti tanti corsi di tedesco dopo e due figlie berlinesi.
Prima di finire sto pippone, ci tengo a sottolineare che continua la fluida metamorfosi di Berlino. Con derive inquietanti, in direzione Parigi, Londra e Milano per capirci, ed è un peccato. Anzi è proprio una stronzata. Di Berlino si diceva che fosse giovane, povera e sexy. Ecco, appunto. Quella è stata la sua fortuna e la sua poesia. Ora sembra che abbiano deciso di metterle il tacco 12 e di truccarla da escort berlusconiana. Just my 2 cents: Berlino dal tacco 12 ci cade e si fa male. Come Amy Winehouse. In ogni caso, e nonostante sia il peggiore anno della storia recente, se mi chiedi “a Berlino, che giorno è?” io felicemente posso ancora rispondere: “Boh? Credo sia sabato sera”. Ecco perché (per ora almeno) ci resto a vivere.
Immagino sia anche tu in isolamento. Da quanto sei chiuso in casa?
Oggi, mentre scrivo, è il diciassettesimo giorno di clausura per noi quattro: io, la mia compagna e le bimbe. Rispetto alle ordinanze tedesche siamo partiti qualche giorno prima. Avendo seguito da qui la tragedia in Italia, abbiamo anticipato, anche se dobbiamo ammettere che la decisione è stata praticamente imposta dalla chiusura dell’asilo nido. Abbiamo anticipato di due o tre giorni perché nessuno portava più i bimbi alla Kita, l’asilo infantile. Inquietudine e tristezza.
Viviamo in un quartiere residenziale in ben 55 metri quadri, per fortuna luminosi, con due balconi e uno spazioso, e ora fondamentale, giardino condominiale. Credo che a Torino alla stessa cifra potremmo affittare un alloggio appena fuori dal centro di 70/75 metri quadri. I prezzi degli immobili sono esplosi in maniera vergognosa negli ultimi cinque o sei anni.
(almeno oggi nevica e fa un po’ di allegria…)
Come sta gestendo la Germania questa emergenza?
Parola d’ordine: pragmatismo. E non disturbate il conducente. Il virus c’è per restare e prima o poi tutti ne verrete a contatto. Quindi fatevene una ragione. Grazie dell’attenzione e buona fortuna. Questo il succo del Messaggio alla Nazione. Si parla di Coronavirus da mesi anche qui ovviamente, ma iniziative vere e concrete per limitare il contagio sono state prese in maniera massiva e nazionale solo negli ultimi 10/15 giorni. Pare, ma la tesi è dibattuta perché le istituzioni e le casse mediche private comunicano dati e dettagli con il contagocce – e comunque di malavoglia -, che dopo i primi casi di contagio mesi fa vicino a Monaco (prima del pazienze 1 di Codogno) il “sistema” sia partito sotto traccia a fare più tamponi possibile e abbia iniziato a far stare a casa chi era positivo (ripeto a casa e NON in ospedale. In ospedale qui ti accettano solo se hai chiare difficoltà respiratorie, altrimenti te la passi a casa e al telefono con il tuo dottore). Poi per diverso tempo praticamente si è parlato di Coronavirus solo riguardo la Cina e poi purtroppo l’Italia. Bisogna però considerare che la Germania è una Repubblica fortemente federale. Ogni Land ha reagito diversamente. Sono scoppiati dei focolai da migliaia di casi nell’Ovest della Germania subito dopo le feste di Carnevale (non annullate), ma anche in questo caso quello che è stato fatto non è diventato il titolo a nove colonne, anche se localmente sono state definite zone rosse e zone di quarantena. Solo dopo il discorso della Merkel (circa due settimane fa) si sono visti tangibilmente i primi interventi: scuole, asili e università chiusi. Trasporti ridotti. Teatri, club e cinema chiusi. Bar e ristoranti prima aperti con orario ridotto e poi chiusi. Successivamente sono arrivate nuove restrizioni e tutto ha davvero iniziato a rallentare. Attività lavorative, uffici e fabbriche… Ma non pensare a una situazione all’italiana. Per niente. Almeno qui a Berlino. C’è meno gente in giro rispetto al solito ok, ma ce n’è ancora tanta. Dal mio punto di vista troppissima. Nessun divieto a uscire. Puoi andare dove vuoi e quando vuoi ma al massimo in due. Si rispettano scientificamente le distanze di sicurezza ok, ma per il resto… molti bar, ristoranti e kebabbari hanno riaperto almeno fino alle 18, non facendo entrare le persone nei locali ma servendo solo da fuori e in modalità take away. Il che ovviamente spinge la gente a uscire e a incontrarsi. Non tutti i supermercati hanno gli ingressi contingentati, poche persone con le mascherine e ancora meno con i guanti. Tanti ragazzi in giro insieme, feste organizzate in casa pubblicizzate su Facebook, addirittura Coronavirus Party organizzati nei parchi (per fortuna annichiliti dalla polizia). A volte nei negozi ancora aperti vedi la folla. La polizia è più presente si, ma, a parte alcuni check point fissi, passa, controlla, avverte di non fare assembramento e di rispettare il metro e mezzo di distanza e se ne va. Appena gira l’angolo, tutto più o meno come prima. Mentre scrivo i dati ufficiali sono: 63.929 positivi tracciati, 560 morti (nessuno capisce o spiega come e perché così pochi in proporzione) e più di 10.000 guariti. In Italia il 23 marzo i positivi erano poco più di 59.000 e già da settimane c’era il coprifuoco. Noi eravamo molto preoccupati. E anche tutti gli altri italiani, spagnoli, francesi e cinesi che conosciamo qui. Non vedevamo nessuna iniziativa concreta per limitare il contagio. Non vedevano che il sistema sfruttasse in maniera costruttiva il tempo a disposizione prima di raggiungere i numeri italiani. Ora siamo rassegnati. Tanto è inevitabile visto l’andazzo berlinese. In questi giorni di clausura stiamo attraversando tutte le fasi psicologiche possibili e immaginabili. Anche cose nuove che non pensavamo di avere o di manifestare. Pian piano però la rassegnazione e l’accettazione fatalistica sta vincendo su tutto il resto. Resta grande la preoccupazione per i parenti e gli amici a Torino.
Oltre alla sottovalutazione della gravità italiana, siamo stati anche denigrati, com’è capitato altrove?
Personalmente non mi è capitato di leggere, sentire o venire a conoscenza di sparate qualunquistiche davvero gravi contro l’Italia, sullo stile di quello che ho visto arrivare dall’Inghilterra. Spero non ci siano state, ma magari e per fortuna me le sono solo perse. Di sicuro molti, senza essere adeguatamente informati, o d’istinto, o in maniera prevenuta, considerano la situazione italiana come dovuta a disorganizzazione o a una reazione eccessiva, “all’italiana” appunto. Troppi purtroppo ritengono tuttora che sia solo una brutta influenza. Ma paradossalmente, e nota bene solo dopo il primo discorso ufficiale della Merkel, abbiamo visto un vero e proprio assalto isterico a certi beni di consumo.
Per esempio?
Su tutti la carta igienica e le patate (beni di conforto ex e post?). Ma in particolare la carta igienica, che per quasi due settimane letteralmente evaporava dagli scaffali. Ultimamente la situazione è migliorata o si è riorganizzata, o semplicemente la gente non ha più spazio in casa. In ogni caso ora se ne può acquistare solo una confezione a testa. Nel mio intimo (in tutti i sensi) spero che questa crisi faccia rivalutare al popolo tedesco il concetto di bidet che qui praticamente nessun alloggio ha. Da giorni non è neanche immediato trovare pasta, farina e lievito. Bisogna girare diversi supermercati, evitando quelli con gli ingressi contingentati e le code. Bisogna puntare quelli con libero accesso e quindi evitati per paura. Mi aspettavo di vedere asciugata tutta la birra in un batter d’occhio vista la chiusura dei bar e delle Kneipe (per noi le bettole, in Inghilterra i pub di quartiere) invece, almeno nel mio perimetro esistenziale, quella non manca mai.
(oggi niente)
(oggi è una bella giornata)
Devo però davvero sottolineare la totale inadeguatezza e povertà d’animo della grossa parte del dibattito tedesco riguardo gli aiuti economici comunitari da pensare per i paesi più colpiti dal Coronavirus e, contemporaneamente, più deboli dal punto di vista finanziario. Non va bene. Anzi mi fa schifo. Non me ne frega niente che sia vero che l’Italia è patologicamente in ritardo sulle riforme e sulla ristrutturazione del debito nazionale. Ma se un alleato si prende una pizza in faccia e va ko, in quel frangente l’ultima cosa che gli devi chiedere è la dichiarazione dei redditi.
Voi avete qualche supporto economico o assistenziale dalla Germania?
Sì, abbiamo supporti economici e assistenziali, ma non legati alla situazione Coronavirus. Per esempio: riceviamo mensilmente un tot di soldi perché abbiamo due figlie. E il contributo è garantito fino al diciottesimo compleanno delle bimbe. Tutti i mesi. Pas mal. Paghiamo niente l’asilo nido (23 euro al mese, non ho dimenticato uno zero) ed è un risparmio enorme, oltre che un servizio essenziale. Il periodo di congedo parentale può arrivare anche a 2 anni, non a testa, ma in totale tra entrambi. Ed è un periodo retribuito. Se perdessimo il lavoro abbiamo diritto alla disoccupazione per un anno (67% della busta paga nel nostro caso) avendo lavorato almeno 12 mesi negli ultimi 2 anni. In quel frangente, se ti viene riconosciuta la necessità, lo stato ti paga corsi di formazione o aggiornamento che possono costare anche più di 10.000 euro. Ci sarebbero altri strumenti di supporto del reddito, ma per intercettarli bisogna essere molto scaltri, convincenti o semplicemente spericolati di natura (i controlli li fanno, poche storie). Tutte cose che non fanno purtroppo/per fortuna parte della mia “Educazione Sabauda”.
Com’è il Sistema Sanitario?
La sanità è un mix tra minimo servizio pubblico e il resto, che è privato. Copio e incollo: Chiunque abbia una residenza permanente nella Repubblica federale tedesca deve avere un’assicurazione sanitaria. L’assicurazione sanitaria tedesca è caratterizzata da un sistema duale di assicurazione sanitaria obbligatoria (GKV) e assicurazione sanitaria privata (PKV). Mentre l’assicurazione sanitaria obbligatoria è accessibile a tutti, per quella privata valgono determinate condizioni.
Diciamo che se non hai un reddito da lavoro e hai un problema di salute, è molto probabile che avrai anche un problema economico. Se sei disoccupato per un tot di mesi, sei coperto dalla Stato. Finora devo ammettere che tutte le nostre esperienze con medici, ospedali, ostetriche e levatrici sono state assolutamente positive. Le due gravidanze e le due nascite sono state seguite davvero come meglio non si potrebbe sperare. Stile molto diverso è chiaro, ma servizio di qualità più che buona. Ma è solo la nostra esperienza, ripeto. Certo, una parte della busta paga ci viene trattenuta ogni mese, oltre alle tasse, per pagare la cassa medica obbligatoria che chiaramente sui grandi numeri e sulle probabilità che capiti qualcosa di grave al singolo ci straguadagna… Ecco, in questo periodo non lo so, e forse questo è uno dei motivi per cui i dati sul contagio del Coronavirus qui in Germania sembrano non in linea con quelli mondiali e vengono comunicati in maniera… bizzarra…
Come passi il tuo tempo di “clausura”?
Da diciassette giorni la nostra giornata standard consiste nel svegliarsi prima delle 7, mettere in pista le bimbe, fare i turni (tre ore a testa) per lavorare e in contemporanea comunque badare alle bimbe perché non accettano ontologicamente che non badiamo a loro, far uscire un’ora al giorno le bimbe, badare alle bimbe, lavorare dopo cena e… badare alle bimbe che si svegliano perché sono comunque fuori dalla loro routine e sclerano. Troppo tempo speso per seguire con ansia le notizie su internet, pochissimo tempo per essere se stessi in tranquillità o leggere o ascoltare musica, che non sia musica per le bimbe, klar. E come purtroppo sai meglio di me, riteniamo che andrà avanti così almeno un altro mese. Potrebbe succedere di tutto, anche che ci lasciamo o facciamo un altro figlio o diventiamo Respiriani…
Il tuo aneddoto backdooriano?
Backdoor luogo per eccellenza dell’anima e dell’orecchio. Ma per me anche location perfetta per vedere esaudito uno dei miei desideri più reconditi e personali: finire in un libro (mi manca ancora comparire tra i credits di un disco e festeggiare uno Scudetto vinto dal Toro). Io sono infatti quell’Angelo citato intorno a pagina 137 de “L’ultimo disco dei Mohicani”. Ero davvero lì nel momento dell’epifania di Matt Dillon, quando è entrato in negozio. Ed è andata esattamente come è descritto nel libro. Ricordo che ho guardato Maurizio e muovendo solo le labbra gli ho comunicato questo importante messaggio: “Machecazz…?” Il resto è una bella storia. Se non l’avete ancora fatto, leggetela.
Backdoor wird hoffentlich bald wieder geöffnet und die Vinyls kehren zum Spin zurück
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