Tra le tante trappole pandemiche, c’è anche quella lessicale.
E non mi riferisco a uno che ho sentito ieri mentre facevo la spesa (198 metri da casa, tranquilli) che si lamentava più o meno così “che minchia poi ci viene a significare questa faccenda del test anti(i)g(i)enico?!! Che ora se non ci laviamo più non ce lo becchiamo ‘sto virus di merda??!!”.
Quello era uno dei tanti liberi battitori sparsi in giro, ormai in crisi di astinenza da bettole o mini assembramenti rionali nei quali poter pontificare in scioltezza.
Penso invece alla tagliola di significati di una risposta come “sono positivo”.
Me ne sono accorto durante una conversazione via zoom. Si discuteva della possibilità di riuscire a consegnare un progetto entro una certa data. “Tu cosa ne pensi?”. E io “Sì, sono positivo”. Prima che potessi aggiungere “Penso che ce la faremo”, in due si sono allontanati, uno ironicamente, e uno perché era evidentemente terrorizzato. Ma anche “Penso che ce la faremo” non è più neutra, si porta dietro teloni con l’arcobaleno, cantate balconari, un’euforia ormai smarrita, se non “sotterrata” del tutto. Difficile.
Ma io, mentre scrivo, sono positivo (non tiriamo dentro Jovanotti, grazie) per uno stupido, sempiterno e adorabile motivo.
Ho appena ascoltato una pop song vicina alla perfezione. Ci ho scovato mille riferimenti e alcuni li ho poi ritrovati nel video.
Quanto ancora me li godo questi momenti, sono un furbacchione.
Un furbacchione che rivendica la libertà originaria dei vocaboli.
Insomma voglio essere negativo o positivo a seconda dei giorni. Senza dovermene preoccupare.
Come un giocatore della Lazio, in pratica.
A Girl Called Eddy “Been Around”
— https://www.youtube.com/watch?v=fMpmVk06aVo —
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