Esco a fare due passi, giusto quelli, perché non provo un irresistibile bisogno di comprare un’acqua di colonia parigina, un paio di sci da fondo, un abitino per i nostri infanti notoriamente ignudi, due etti di cioccolata, l’ultimo libro di Vespa, insomma non mi serva nulla di essenziale e disponibile alla vendita.
Cammino come un aspirante fantasma avanti e indietro nelle vie che delimitano il mio caseggiato, ma all’improvviso desidero essere realmente da solo, quindi mi dirigo verso palestre, cinema, piscine, teatri e club dove andavo a vedere i concerti.
per la cronaca sto ascoltando questo
—https://www.youtube.com/watch?v=FQMXI5a1Pco—
e non padroneggio nessuna idea particolarmente brillante. Per fortuna.
Poi guardo i palazzi, le finestre e, a un certo punto, su un balcone, vedo uno che fuma. Ha l’incarnato color antracite, la tristezza appiccicata sul volto e lo sguardo rivolto al nulla.
E allora vi immagino là, voi dannati dello smartworking, reclusi magari da otto mesi come il Conte di Montecristo.
Con le ciabatte perennemente a quei piedi mai più calzati con regolarità da scarpe civili.
L’orrore della “tuta da lavoro” (quella da ginnastica, grigia e con il cavallo dei pantaloni ormai all’altezza delle ginocchia).
Le donne ricacciate in quelle case da dove faticosamente erano riuscite a evadere, tallonate da bambini che urlano, litigano, cagano, hanno fame, si annoiano. Le lavatrici, i pasti (è già di nuovo ora di mangiare?), insieme, sopra e dentro il lavoro.
Le congiuntiviti da schermo, che è obbligo e (non più) svago (stacco un attimo, guardo quanti sono i positivi, l’Ansa, i siti dei quotidiani).
La nostalgia che fa paura, quella dei colleghi stronzi, del gusto paludoso del caffè della macchinetta, dei cretini che urlano i cazzi loro sui mezzi pubblici.
Tutto appare desiderabile ora che non c’è più.
Ora che siete agli arresti domiciliari e siete abituati spesso al suono di una frase come “e comunque, anche se lavoro di più, almeno ho la fortuna di averlo ancora un lavoro”.
Ora che vi guardate il pantone ecrù dell’epidermide e i capelli dalla consistenza di segale.
Ora che provate a pesare la massa acritica di una noia enorme e per giunta consumata in una casa che ormai, qualche volta, spesso, desiderereste bruciare.
Ora a Voi dedico questo.
—https://www.youtube.com/watch?v=_3eC35LoF4U—
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