Sono amico di Mario Calabresi e ho avuto la fortuna di collaborare con lui come “ospite musicale” durante le dirette facebook (Casabresi) nello scorso lockdown.
Già all’epoca stava lavorando al nuovo libro, “Quello che non ti dicono” (Mondadori), che ormai è disponibile da un mese.
Passare del tempo con Mario Calabresi è il modo migliore per comprendere il mestiere di giornalista. O meglio, per apprezzarne l’istinto innato. Per capire come ogni dettaglio, qualsiasi appiglio per una storia vada colto, esplorato, approfondito. Ovunque e con chiunque.
“Quello che non ti dicono” è un bellissimo libro anche per questo. Una storia vera, ma sepolta o fortemente dimenticata. Quella di Carlo Saronio, figlio della altissima borghesia milanese rapito e ucciso (per errore?) da militanti di estrema sinistra verso i quali lui stesso si era avvicinato, nella ricerca disperata e miope di un mondo migliore. O forse di un se stesso differente.
Siamo a metà degli anni 70 e quel mondo, per molti versi ormai lontano ere geologiche da noi, viene raccontato magistralmente (uno stile “slowhand”, quello di Calabresi), con la struttura di una grande inchiesta condotta dall’autore (e chiesta espressamente dalla figlia di Carlo Saronio, Marta, oggi quarantaquattrenne), ma anche con il respiro umano di chi, si immagina, abbia dovuto fare nuovamente i conti con le ferite personali prodotte da quel decennio.
Ma, ripeto, “Quello che non ti dicono” è soprattutto una grande storia, narrata con un ritmo incessante. A chi spero lo leggerà, il compito di eventuali giudizi su cattivi maestri, velleità e ombre.
Sullo sfondo, un’Italia dilaniata e un decennio in continua e aspra trasformazione. Anche musicale.
E, anche di questo, discuteremo stasera insieme, dalla 19,00, qui
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e sui canali Twitter e YouTube di Mario Calabresi
il Rock “classico” dei Led Zeppelin e dei Pink Floyd, l’avvento della disco music, il punk alle porte, “Anima Latina” di Battisti, ma anche “Profondo Rosso” e “Yuppi Du” di Celentano.
Sono andato a guardarmi le classifiche del 1975, anno cruciale per la narrazione, e ho scoperto che spiccavano due canzoni “telefoniche”.
“Piange il telefono” di Domenico Modugno, strappalacrime invereconda dove un uomo separato chiama la figlia, ignara di chi ci sia dall’altra parte, solo per poterle parlare (la bimba disgraziata era Francesca Guadagno, in seguito doppiatrice di Heidi e Mariangela Fantozzi).
Ma soprattutto “Buonasera Dottore” di Claudia Mori, telefonata tra un’amante e il suo oggetto dei desideri, costretto a dissimularsi, perché in presenza della moglie. Testo di Paolo Limiti, musica di Shel Shapiro e orchestrazione di Detto Mariano (sì, quello di “Amore Tossico”).
Eccola, vogliate gradire.
—https://www.youtube.com/watch?v=wmod3ybPy0I—
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