Una certa malinconia sconfinante nella pigrizia. La sensazione di non combinare nulla.
Sarà colpa della tristezza latente o dell’incertezza soverchiante?
La vera domanda, quindi, è: esiste un “blues da lockdown?”
Per quesiti esistenziali di un certo peso serve un esperto indiscutibile.
Così ci siamo rivolti a Thomas Guiducci, nostro bluesman di riferimento.
C’è una linea che unisce Howe Gelb e Johnny Cash alla Romagna?
Sì, ed è esattamente lì che Thomas sfreccia con la sua Moto Guzzi.
Allora, esiste il “blues da lockdown”? E magari puoi spiegarcelo con una tua canzone?
“Il blues da lockdown”
di Thomas Guiducci
Esiste il blues da lockdown?
Ovviamente si. Ma non è quello che ci si aspetterebbe.
Non è in 12 battute e non è nemmeno così triste.
È sospeso, direi.
È un limbo.
No, non quello in cui ci si ribalta all’indietro lacerandosi gli addominali e cercando di passare danzando su ritmi improbabili – ubriachi perlopiù – sotto un’asticella mai abbastanza alta (non intendevo fare battute ma lascio la libertà di pensar male).
Più un limbo dantesco.
Non hai peccato, ma sei escluso dalla salvezza. Che peccato.
Perché in fondo non stai così male, ma tutto ti sembra un po’ inutile. Ti ricordi tante cose frenetiche che facevi prima e sei felice di non farle più. Poi però anche tante cose sciocche e “normali” che ti mancano come l’aria.
Passeggiando in Barriera di Milano, il quartiere di Torino dove vivo attualmente, mentre evito cacche di cane (spero) grandi come noci di cocco, penso che l’unico momento di vera libertà è questa gimkana che mi porta alla pizzeria.
L’asporto come unica via per la libertà.
Suona un po’ lugubre.
Quantomeno distopico. Per fortuna una rissa sedata dal pizzaiolo che esce con un ciocco di legno in mano mi riporta alla realtà.
Un po’ come la scena del vecchio nella nebbia di Amarcord, esci, non vedi più nulla, perdi ogni riferimento, finché arriva il cocchiere che ti dice che sei davanti a casa. Non è un bel lavoro.
—https://www.youtube.com/watch?v=oJJmMJlqt5A—
Nel primo lockdown eravamo tutti uniti, contenti di salvare il mondo, suonavamo in vestaglia, urlavamo dai balconi (qui c’erano pure i fuochi d’artificio). Musica a tutto volume. Si passava dalla Tosca a Gigi D’Agostino passando per Albano e Romina (qualcuno azzardava una versione dance dell’inno d’Italia che si scontrava con musica araba random).
Ora la musica non c’è. Silenzio, gente che va al lavoro comunque. Allegria poca. Tutti in questo limbo alla ricerca della salvezza.
Forse è blues.
Se devo (devo?) pensare ad una mia canzone che fotografi il momento penso a Jericho Rose.
La Rosa di Gerico è una pianta che può vivere tantissimo tempo senza acqua, si finge morta, ma quando riceve finalmente acqua nuovamente torna a vivere come se nulla fosse.
Fingersi morti per ritrovarsi vivi. Che controsenso.
Speriamo funzioni.
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keep on rockin’ in a free (from virus) world