Backdoor Antivirus 20

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Backdoor Antivirus 20

Lo so, vorreste uscire.

Io? non così tanto, ma la mia grinta da soprammobile domestico non fa testo.

E comunque vi capisco. Aria, camminare. Vedere gente.

Per venirvi in soccorso, Backdoor vi porta oggi in gita sociale.

Ci vuole un piccolo sforzo di immaginazione e consiglio un abbigliamento adeguato (per l’occasione eleganti, grazie)

Garantisco, anche se per pochi minuti, passeggiate, persone a lato e sottofondo adeguato. Pronti?

Prima di partire: sappiate questo.

Nel 1957 Miles Davis si trova a Parigi per suonare al Saint Germain Club, di proprietà di Boris Vian. Qui incontra la crema artistica della città, tra cui Juliétte Greco con la quale, da anni e pur con pause, intreccia una relazione sentimentale. Messo in contatto con il regista Louis Malle, giovanissimo all’epoca, può vedere in anteprima il film noir “Ascensore per il patibolo” per il quale Malle vuole assolutamente una sua colonna sonora. Malle spiega a Davis la trama e lo informa che le musiche saranno registrate in diretta, mentre sullo schermo sfileranno le immagini. Miles ha un pianoforte nel suo albergo parigino e prepara qualche accordo, immagina i suoi assoli. La notte del 4 dicembre, libero da impegni, entra in uno studio locale con un gruppo di jazzisti francesi. Il film parte esattamente davanti a loro, che suoneranno dalle dieci di sera alle otto di mattina. Registreranno una delle migliori colonne sonore di sempre (anche se della durata effettiva di soltanto 18 minuti). L’abbinamento con questa sequenza, in cui la protagonista Jeanne Moreau, cammina nella notte parigina, diventerà iconica.

Ed è esattamente lì che andiamo:

https://www.youtube.com/watch?v=KxYg6lQXwhY

il fumo sulla tromba di Miles, i parigini che giocano a flipper nei bistrot, lo sguardo d’invidia della signora dopo 48 secondi, il poliziotto, i capelli della Moreau appena scossi, le macchine che la sfiorano mentre attraversa la strada e lei che le accarezza poco dopo, parcheggiate. Ogni singola nota di Miles Davis essenziale, la perfezione musicale cesellata per sottrazione. Spero abbiate gradito.

Tenetevi pronti, seguiranno altre escursioni guidate.

jeanne-moreau-et-miles-davis-en-1957

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Backdoor Antivirus 19

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Backdoor Antivirus 19

In questi giorni si oscilla tra pallido ottimismo e pessimismo cosmico.

E succede, direi, in maniera avulsa dai dati, dalle previsioni o dai nostri lavori drammaticamente scomparsi.

Ti svegli e capisci, per esempio, che non va.

Ognuno prova a reagire come può, o come crede. Perché bisogna mantenere la calma, le cose van per le lunghe, in fondo stiamo ancora bene, ok, tutto ok. Ma un appiglio devi pur averlo, qualcosa che ti ancori alla vita con un minimo sindacale di sicurezza.

Io, per esempio, mi aggrappo alla pubblicità di Bobo Vieri.

La mia ultima garanzia è lui che si passa una mano sulla guancia e dice “Shave Like A Bomber”.

Se regge quel mondo lì, quella possibilità (temo maschile) di andar dritto, incurante, forse possiamo farcela.

La pubblicità mi ha conquistato immediatamente. La prima versione, qui riportata

https://www.youtube.com/watch?v=_3mU8ob4ct0

trainava un’idea di uomo tagliato con l’accetta, che cerca sempre le soluzioni più rapide e che allora dovrebbe preferire una rasatura più rapida e confortevole. Bobo Vieri, va detto, recita bene. I calciatori nelle pubblicità sono un indizio di come questa gente coperta d’oro verrebbe mediamente bocciata in prima media in una scuola di macachi. Li guardi e realizzi che “crosseranno anche da dio, ma non sono assolutamente in grado di dire una frase di senso compiuto di fronte a una telecamera. Non voglio pensare, se questa è quella buona, alle scene tagliate”

Un esempio, eccolo: Pjanic, Zanetti e (soprattutto) Baresi

https://www.youtube.com/watch?v=uMjjV5xzysE

al netto delle differenze di lingua di due su tre, Vi prego.

Bobo no, ammicca il giusto, cammina sulla sabbia con corretto movimento di spalle, ha un’ottimo stacco di sguardo verso il vicino e poi interpreta al massimo il gesto della mano a pugno con indice eretto che accompagna l’immortale “Shave Like A Bomber”. Applausi.

Molto azzeccata la scelta di “Boombastic” di sottofondo, una di quelle canzoni che hanno istupidito un pianeta per qualche mese, portando il suo autore, nientemeno che Shaggy, un po’ ovunque (e in quell’ovunque, immancabilmente, bisognava ricordare che lui era stato un marines. Sempre).

L’assonanza di Boombastic con Bomber e Bobo è una di quelle meraviglie che rendono una Settimana più Enigmistica che mai.

La scelta del sostantivo/aggettivo/superlativo “Bomber” si rivela cruciale. Bomber, entrato con prepotenza animalesca nel lessico moderno, ci porta in un attimo all’interno di quella condivisione cameratesca simil virile da spogliatoio di calcetto.

Ambiente all’interno del quale sono necessarie unicamente tre parole per descrivere qualsiasi tipo di emozione o desiderio:

1-Minchia

2-Raga

3-Bomber!

Delineato il perimetro, diamo il benvenuto al suo re: Christian Vieri detto Bobo, attaccante solidissimo, che ha vestito (direi sbattendosene) ogni casacca italiana (con predilizione per quelle più odiate dalla precedente) e poi si è consegnato a una vita spesa sulle spiagge di Miami, sempre e immancabilmente ricoperto di figa (vorrei scusarmi con il pubblico femminile, ma l’immagine, per risultare precisa e coerente, non può essere corretta). Chiamalo scemo. Poteva esserci un testimonial migliore di quell’esser uomo (che poi ci siamo capiti, diamo di gomito e alè con la banda di paese in sottofondo)?

Largo quindi al sequel

https://www.youtube.com/watch?v=CKlVDhRRNCI

qui il genio si esplicita nella musica new age con cui lo sfigato tenta di ammorbidirsi la pelle con il vapore.

Basta con queste svenevolezze. Sbabam!! Bobo entra di prepotenza con un muletto (gente che lavora, roba solida, intellettuali sparatevi) dentro il bagno, distruggendo parte del muro. In due secondi manda a casa Salvini e Boris Johnson con le loro ridicole ruspe, quindi si riprende la scena e piazza un “Shave Like A Bomber” da antologia. Attenzione, indugia sulla “e” e arrota un minimo la “r” finale. Nemmeno Tom Waits o Johnny Cash.

Un giorno ho bloccato la pubblicità sul televisore e l’ho rimandata in loop, fino a quando il resto della famiglia non ha cercato di accoltellarmi. Ogni tanto lo urlo dalla finestra “Shave Like A Bomber, Babies” prendendomi una piccola licenza finale, sullo stile di “Kick Out The Jams, Motherfuckers!” degli MC5.

Io oggi sono esausto di interrogarmi sul futuro, di capire, di costruire chissà cosa e per chi.

Vorrei essere monolitico e privo di dubbi.

Vorrei soltanto radermi come un Bomber.

https://www.youtube.com/watch?v=vfKhvzUdJoM

mc5

shave-like

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Backdoor Antivirus 18

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Backdoor Antivirus 18

Oltre alla ricetta per fare il pane in casa, gli sceneggiati di RaiPlay e le mascherine comprate per quando pensavi di dare il bianco in casa e poi non l’hai mai fatto, l’altro grande oggetto di rivalutazione è la cyclette.

Bestia immonda abbandonata in modalità antierotica nelle camere da letto, accumulatore magnetico di polvere, accappatoi e federe da mettere poi nel cassone sotto il letto, la cyclette è tornata di gran moda.

Perché bisogna mantenersi in forma almeno un minimo, altrimenti poi finisce che saremo grassi per le vacanze che, molto probabilmente, non faremo. Non sia mai.

Ci sono i privilegiati delle case con spazio all’aperto, i super tecnici con il tapis roulant tra le mura e quelli che, nove anni dopo averla inclusa tra gli arredi permanenti, saltano alla bersagliera sul sellino della cyclette piazzata davanti alla tv e oplà, macinano chilometri sul posto.

Seguono quelli che passeggiano sui balconi (ormai muti, dovremo rimpiangere Cutugno?) e i disturbati che girano intorno al tavolo (che se non ha una metratura stile Camelot poi vengono il capogiro e il vomito. E attenzione che se lo fate anche solo in due e uno si ferma di colpo, possono essere guai).

Al termine della scala degli organizzati ginnici, ci sono quelli come me. Nulla in dotazione di quanto sopra.

E allora?

Fitness on line, chiaro. Vado qui

https://www.youtube.com/channel/UC20I_g1Lv68mMVyJnf971_Q

che almeno l’istruttore è un amico e mi faccio forza cercando di seguirlo.
Guardo, imito e arranco. Faccio anche un po’ il furbo, se non mi beccano. Baro sulle sequenze.
Perché non è che ho mai tutta questa voglia, a esser sinceri.
Ma ci cambiamo, stendiamo i tappetini di gomma sul palchetto dell’entrata e alè, attacchiamo con gli esercizi.
Posso mettere una musica adeguata? Tanto dobbiamo solo vedere sul cellulare i movimenti corretti.
Metto del punk funk stile LCD Soundsystem? Un amarcord anni 80 con Michael Sembello e “Maniac” di “Flashdance”? Anzi meglio ancora “Physical” di Olivia Newton-John? Va bene, iniziamo. No, aspetta, metto “DJ-Kicks” di Kruder & Dorfmeister, è tutta mixata, così non perdiamo il ritmo. Cosa dici? Fa lo stesso? No, perché vedo che la serie di esercizi si chiama Circuit Mobility 2 e allora pensavo a un flusso di suono costante, dove la mano del selezionatore…No, hai ragione, cominciamo. Assolutamente, dai.
Ahiaa. Lo so, l’istruttore si tocca le punte dei piedi senza sforzo e io sembro di frassino e malta da muratura, ma credo avrai notato anche tu l’abile uso degli echi sovrapposti al groove in “High Noon” che sta passando proprio…ok, ok, adesso mi metto pure io nella posizione del levriero, no lo so, non è un levriero, devo solo stendere gamba sinistra e braccio destro, lo sooo. Ma non è che lo faccio male (indico il cellulare) è che lui è un professionista. Come si chiama ‘sta tortura? Crunch? Ma dai? Lo sai che c’era una punk band hardcore di Torino che aveva lo stesso nome? Pensa che una sera ai Murazzi…oook, sto zitto, oook. Comunque ti devo avvertire, non posso avere gli addominali troppo sviluppati: nel mio ambiente fa subito crossover anni 90 e invece io ho una formazione 60′s pop. Sì, sì, sto zitto. Va bene. Io però lo slancio a candela lo temo. E se frano sulla maniglia dello sgabuzzino o mi ribalto dentro il comò della camera da letto? Vaaa bene, vaaa bene. Stretching? Ah, perfetto. No, non sono immobile, è che “Shaolin Satellite” dei Thievery Corporation che è partita ora, ha un beat eccessivo. Posso mettere i Boards of Canada? Noo, noo, hai ragione, per due minuti, tanto vale aspettare, giustissimo, quello che conta è l’esercizio e non il sottofondo musicale. Solo che.
Così finiamo.
E, dopo aver fatto la doccia, mi beccano in cucina con i Tuc in mano.
“Posso, no? Abbiamo bruciato come si deve con gli esercizi di prima. No?”.
Comunque tenetevi in allenamento, prendetela con allegria.
Se siete degli Zombies (nel senso di quelli di “She’s Not There”) da palestra, un modo c’è, ed è in questi tre minuti e mezzo.
fate partire la canzone e ripetete per tre volte, espirate, inspirate. Spalle rilassate, ventre teso.
Fitness Forever? Forever per davvero.
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Backdoor Antivirus 17

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Backdoor Antivirus 17

Che cosa inizia a mancarvi davvero?

Non parlo degli affetti, delle persone, nemmeno della vita “normale” evaporata.

C’è una piccola abitudine scomparsa che vi ha visitato all’improvviso?

Magari la replicavate abbastanza spesso, senza dargli peso, quasi in automatico e ora, esattamente ora, dareste qualsiasi cosa per poterla fare di nuovo.

Un rito quotidiano, un gusto inseguito, una scaramanzia svuotata del suo significato.

Tanto ora. Tanto per come va.

Io vorrei nuotare.

Ho sempre amato gli sport di racchetta. Tennis, squash, padel. Ma in questi giorni mi manca la piscina.

Quasi mai ci volevo andare davvero, mi costringevo a farlo. Preparavo la borsa la sera e la lasciavo davanti alla porta. Raggiungevo la piscina il mattino presto. Quando tutto funzionava, alle 7,30 ero già in vasca. Ogni movimento, la stretta successione dei gesti calcolata al risparmio: dovevo solo alzarmi, vestirmi, prendere la borsa, camminare cinque minuti ed entrare nel circolo sportivo.

Quando realizzavo cosa stavo facendo, era troppo tardi per ripensarci, tanto valeva tuffarsi e via.

Mentre uscivo assonnato nelle mattinate invernali mi dicevo sempre “ma davvero, chi te lo fa fare?”.

Mi ripetevo immancabilmente “la prossima volta rimango a dormire, ci puoi giurare”.

Stanotte, in una delle tante notti insonni che credo capitino un po’ a tutti (sto sveglio, tanto posso dormire di giorno, tanto per come va), il desiderio dell’acqua fredda sulla pelle, i rumori ovattati, ciaf ciaf, adesso ne faccio ancora dieci a dorso, l’odore del disinfettante, le vetrate appannate, l’orizzonte delle ciabatte di gomma sopra le piastrelle, tutto mi è parso lontanissimo.

Avrei voluto stringerlo con le mani, ma un desiderio è aria.

Così ho acceso una piccola luce per non svegliare nessuno e ho cercato nelle libreria “Il gusto del cloro” di Bastien Vivès.

Graphic novel bellissima. Tavole e tavole di gente che nuota in piscina, colori verdi più che azzurri, cuffie e costumi. Una storia di sguardi e sincronie, tutti allineati, a ritmo, vasche, vasche, vasche.

Mi sono immerso nelle illustrazioni per molto, troppo tempo, sempre con la stessa canzone in cuffia: “Nightswimming” dei R.E.M. E, quando ho finalmente chiuso il libro, mi sono attaccato allo schermo del computer, per guardare il video. Città anonime notturne e poi i corpi leggeri nell’acqua dove i ragazzi erano entrati di nascosto, i contorni sgranati, le bollicine, la voce di Michael Stipe tra gli archi e il pianoforte. Nessuna chitarra. Forse anche nessuna emozione, solo la sensazione di essere leggeri, probabilmente di scomparire.

La bilancia con cui misuriamo il valore di quanto abbiamo perso è uno strumento ancora senza istruzioni.

Proviamo goffamente a ricostruire dentro, qui dentro dove siamo ora, ciò che ci definiva, la piccola impalcatura di gesti e spazi dove fino a poche settimane fa ci muovevamo lievi e inconsapevoli. Senza sapere davvero cosa stessimo forse sciupando.

Ora sbracciamo al buio.

Come se stessimo nuotando di notte.

https://www.youtube.com/watch?v=ahJ6Kh8klM4

rem

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Backdoor Antivirus 16

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Ma se sto sul divano, con un disco di sottofondo, sono il solito immaturo perditempo oppure un encomiabile cittadino che ottempera in silenzio e stoicamente alle direttive? E se leggo senza fiatare per sette ore consecutive, questo fa di me il consueto soprammobile con la testa altrove o un abile gestore del proprio autocontrollo? Se alla (semi) richiesta “Oggi facciamo le pulizie” controbatto con un risoluto “Sì, ma soltanto salotto e cucina, così abbiamo ogni giorno qualcosa da fare” mi rivelo per quello che sono, un fancazzista svicolone, oppure uno stratega domestico degno di un Rommell da tinello? E poi, uno si deve cambiare ogni giorno o può mantenere il suo look da sopravvissuto? Il letto lo facciamo comunque con trigonometria militaresca o tanto vale? Se vado a dormire alle 2 e mi sveglio alle 10, è lecito che chi fa il turno di sonno dalle 10 alle 8 mi guardi con disprezzo? E dato che tutti si son già fatti crescere la barba, come la mettiamo con il look alla “Cast Away”? Pasta in bianco con un accenno di parmigiano risulta in linea con un saggio uso degli alimenti acquistati o è la solita trasandatezza di uno cresciuto a scatolette di tonno, maionese e grissini?

Insomma il senso è questo: quali sono i nuovi contorni della pigrizia?

In che cosa ormai siamo legittimati a ciondolare senza sentire la mannaia degli iperattivi che si abbatte in mezzo alle nostre orecchie? Noi bradipi d’appartamento potremo vantarci delle nostre reazione fisiche rallentate in omaggio a un cervello allenato alla fuga? Questo periodo varrà come moratoria assoluta o saremo comunque sempre quelli umiliati dal marito della collega che, “non so se l’hai saputo”, ma ha cambiato il sifone del lavello, riparato il ventilatore a pale, controsoffittato la camera dei ragazzi e ritinteggiato l’alloggio intero (e tutto da solo)?

Dio, quanto vi invidio, mi fosse mai capitato di sentire un brandello di una conversazione tipo “Non so se hai saputo, ma il mio (inserite il vostro nome) sa citare tutti i 12″ degli Style Council anche al contrario, bendato e fatto girare sul posto”.

In conclusione, il fatto che mi si possa confondere con l’ambiente circostante è un pregio d’arredo o un’evanescenza molto poco Steven Seagal? Se non sembro una tigre in gabbia, ma piuttosto un panda con la Nivea sulle zampe, mi devo vergognare?

Chissà. Ridefinite i perimetri. Guardatevi, cosa siete?

1-risposta inglese

everybody’s going crazy I don’t care I’m so lazy

https://www.youtube.com/watch?v=lot0i7Fz9pE

the-primitives-come-to-london

2-risposta italiana

col tuo schifo di educazione

https://www.youtube.com/watch?v=x-3JIxlW5mI

Ivan Graziani

e ora, aggiornamento OGGETTO DISPETTO

1-What’s this?

Cosa rappresenta? Cos’è realmente? Mistero. (courtesy by Franco C.)

oggetto-misterioso

2-David (Bowie?)

Un simpatico David di Michelangelo in versione Hulk glam. (Marco)

david

3-La tripletta di Fabio C.

a-La bambina shoegaze

Non so da quale reparto psichiatrico per porcellane depresse sia arrivata sulla mia libreria, ma è lì da sempre. Una volta ho provato anche a contattare un ceramista per farle costruire una mini chitarra su misura e una pedaliera carica di delay e riverberi, perché ho l’impressione che quando ascolto i My Bloody Valentine provi piacere. Nel lago di noia di questi giorni, sto meditando di farle ascoltare Bob Marley nella speranza di causarle una liberatoria esplosione eutanasica.

capodimonte-shoegaze

b-Il vhs-dvd (aka la porta spazio temporale)

Da sempre addetto all’accumulo di polvere sotto il televisore, nessuno ha mai avuto il coraggio di collegarlo alla presa elettrica. La leggenda narra che possa trasformare le vecchie videocassette in dvd ma ormai è tardi per scoprirlo, non esistendo più né le prime né i secondi. Resta comunque una macchina prodigiosa e misteriosa, potenzialmente in grado di convertire il passato remoto in passato prossimo. Secondo alcuni ricercatori, se collegato tramite appositi elettrodi da apporre sul cranio, lo spettatore potrebbe assistere a distopici crossover tra anni ’80 e anni ’90, tipo Michael Jackson che balla con gli zombie sulle note dei Massive Attack. E viceversa.

vhs-dvd

c-Bobby Solo in quarantena

Di questi ne avrei decine, finiti in casa mia grazie ai tempi felici in cui ci si poteva accalcare di fronte alle bancarelle dei dischi usati scambiandosi il virus del collezionismo compulsivo. Questo di Bobby Solo è in heavy rotation casalinga dall’inizio della prigionia antivirale: il lato A lo metto su le mattine in cui devo andare a lavorare e mia moglie mi saluta sulla porta come se dovessi partire per la Guerra di Corea. Il lato B si infila nel giradischi da solo, per dispetto, generalmente dopo il terzo giorno consecutivo di quarantena.

bobby

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Backdoor Antivirus 15

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Backdoor Antivirus 15

“Ciao, non so se ti ricordi di me, ma ci eravamo conosciuti nove anni fa a una tua presentazione, ero quello con l’accappatoio dei Jethro Tull, forse questo particolare ti aiuterà. Ho trovato per caso la mail che mi avevi lasciato, spero sia ancora attiva. Ne approfitto per mandarti questo link, dentro ci trovi una mia improvvisazione di 86 minuti per sintetizzatore, fisarmonica e basso tuba. Mi farebbe piacere un tuo schietto giudizio, tanto immagino che in questi giorni non avrai molto da fare!”.

“Carissimo, anche se non ci sentiamo dalla tua prima comunione, mi faceva piacere mandarti in pdf il mio debutto letterario. Eh sì, ce l’ho fatta! Si tratta di un giallo tipo quelli nordici, ma con sfumature erotiche, incentrato sulla crescita parallela di due amiche napoletane, che poi vengono arrestate in un commissariato di Vigata e quindi scappano in mare su una nave che insegue una grande balena bianca. La trama è piuttosto innovativa. Non ho ancora trovato un editore, e mi farebbero molto piacere un tuo consiglio e, soprattutto, un tuo parere. Sono 1837 pagine, che spero leggerai tutte in un soffio, tanto in questi giorni immagino tu non avrai molto da fare!”.

“Buongiorno Spero che questa mia lettera non la colga di sorpresa. Ci siamo conosciuti casualmente nel 1981 mentre andavamo a funghi. Molte cose sono cambiate da allora. Ho scelto anni fa di diventare frate e vivo recluso in una minuscola grotta all’interno del convento di Pieve Castagna ormai da due lustri. Per motivi che solo Egli conosce, lei mi è apparso in sogno mercoledì notte, da qui il mio desiderio di contattarla al suo indirizzo, che conservai nella busta insieme ai funghi prataioli e piopparelli. La prego di informarmi sulla sua condizione e di vergare qualche illuminata riga sulla sua visione del mondo, di chi siamo e del perché indossiamo con tanta frequenza ciabatte di velluto. Sono Grandi Temi, me ne rendo conto, ma attendo umilmente la sua risposta che, sono certo, arriverà con immane solerzia, tanto immagino che in questi giorni non avrà molto da fare!”

E questo, è solo uno sparuto campionario.

Fioccano richieste ovunque, dirette da radioamatori alpestri, live streaming con dibattito sull’uso dello scalogno a colazione, rassegne stampa notturne con approfondimenti sui primi singoli di Santino Rocchetti, videochiamate di parenti messi al bando dopo controversie legate a proprietà comuni di garage e canali di scolo, telefonate di proposte d’abbonamento a riviste di caccia alla pernice. Di tutto.

E tu? Come fai a dir di no? A replicare che sei indaffarato? Oberato di impegni?

Niente, tu sei chiuso in un angolo. A casa, e quindi drammaticamente disponibile. Ci devi essere per forza. No escape.

Mail, whatsapp, telefonate, sassate sui vetri. Devi rispondere a tutto. Tanto cos’avrai mai da fare?

Le giornate stanno diventando un inferno, devi fingere di esser svenuto per sottrarti a questa specie di contrattacco. Ma dove sono finiti i gloriosi giorni de “ora non posso, ma appena rientro provo a darci uno sguardo” o del “davvero adesso no, sono sommerso di lavoro e tra poco devo uscire per un impegno”?

Ecco, sono arrivate due notifiche whatsapp esattamente in questo istante. Ho già paura.

Chi può essere adesso?

https://www.youtube.com/watch?v=SECVGN4Bsgg

men-at-work-1981-bn

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Backdoor Antivirus 14

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Le cose non vanno benissimo, purtroppo. Quindi, come spero sia ovvio, voglio ricordare che questa piccola area di decompressione giornaliera mette spesso in risalto “problemi” legati all’isolamento domestico e alle nuove dinamiche di sopravvivenza, ma so bene che voi che siete là fuori per motivi diversi, fronteggiate ben altri tipi di difficoltà. Mi auguro che tutto questo non sia in qualche modo offensivo e riesca, anche solo per qualche minuto, a strapparvi un sorriso.

A puttanata a day keeps the doctor away. Almeno spero.

Detto questo, richiamerei la vostra attenzione su un nervo scoperto della nostra nuova quotidianità.

Come in tempo di guerra, chi vive in campagna o ha un minimo di spazio esterno, se la passa un po’meglio.

Ma in città, dentro gli appartamenti, iniziano a esserci dei guai.

Io vorrei assoldare un tecnico della balistica, quei tipi in camice bianco che analizzano le traiettorie dei proiettili e, dopo attenta e silenziosa analisi, pontificano senza esitazioni: “è stato il geometra del quinto piano, da dietro le begonie, con una balestra comprata durante una gita organizzata dall’Uni 3 a San Marino”. Lo vorrei qui, altro che sulla scena del crimine e non solo per me, ma per l’insieme dei nostri interi nuclei familiari. Per capire una volta per tutte com’è possibile che esattamente nello stesso momento in cui io vado a prendere un bagnoschiuma nuovo nello sgabuzzino, mia moglie entra per riempire la lavatrice. Ah, no, prego, vai pure tu. Qual’è la bisettrice impazzita che ci porta tutti (tutti!) nello stesso istante a tentare di entrare in bagno per fare la doccia? Come può capitare che, esattamente venti secondi dopo che ho messo sul piatto un vinile di Miles Davis, partano il phon di mia figlia e l’aspirapolvere innescato da mia moglie (dal che si evince, inequivocabilmente, lo so, che io non faccio una mazza e lei lavora). Perché anche se non puntiamo la sveglia finiamo per dover fissare i turni come in FIAT per fare la colazione? E poi, c’è una specie di guru naturista new age metafisico che può spiegarmi perché al mattino io ho l’innata simpatia facciale di un Travaglio in collegamento Gruber, mentre gli altri sprizzano allegria? E poi sarà mai credibile che ci si colleghi collettivamente tutti a Netflix nello spazio di tredici secondi causando un’immediata guerra dei Balcani in miniatura per stabilire chi deve sganciarsi? Chi ha nascosto il telecomando? Sei stato tu a finire i Tuc (chiaro, sì)? Chi ha aperto la busta dei biscotti come Edward Mani di Forbice? Perché mai nessuno mette una bottiglia d’acqua nuova in frigo quando ne finisce una? Cosa ci fai in camera da letto adesso? Ci vivo, cazzo, è casa mia! Dovevi spostarlo proprio qui in mezzo lo scatolone? Non era mia intenzione. Passa pure, prima tu, ma sei scemo, cosa fai spingi?

Ho reso l’idea?

Ma temo che dovremmo inventarci nuove abilità motorie, mimetizzazioni da giungla di Saigon urbana, scivolare come i giapponesi sulla metropolitana di Tokyo, calcolare gli spostamenti, piazzare dei tabelloni con orari e annotare presenze tipo “Ore 17:00, tv prenotata per recupero vecchie puntate di Walking Dead, pregasi sgombrare area salotto. Grazie”.

Può funzionare?

Speriamo, anche se l’ingorgo nello sgabuzzino temo sia inevitabile.

e quindi

https://www.youtube.com/watch?v=CeF_BH-sYJk

lucio_battisti_675

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Nel frattempo… (a gift from my lovely wife)

classique


Backdoor Antivirus 13

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L’ultima volta che abbiamo cambiato casa mi sono domandato quale fosse una caratteristica alla quale, potendo, non avrei voluto rinunciare.

Un piccolo pezzo di giardino? Per carità, che poi mi tocca curarlo, rischio di amputarmi un arto con qualche attrezzo, mi porta in faccia i moschini e va a finire che in preda ai “nervi” piastrello tutto come un parcheggio del Lidl.

Una stanza tutta mia solo per dischi e riviste? Utopia assoluta, lasciamo perdere.

Riscaldamento autonomo? No, grazie, già dato. Nell’alloggio precedente vivevamo come due nudisti a Norilsk (Siberia, temperatura di -25 mentre scrivo)

Cantina spaziosa? Mio malgrado, no, quello che non sta con me, va buttato. Quaderni scolastici (ma perché mai li conserviamo? soprattutto quelli di matematica?) o vecchio costume di Zorro Carnevale 1974 (privo di spada in plastica nera) inclusi.

Alla fine la mia richiesta è stata questa “Gradirei niente balcone, potendo”.

Perché?

Soffro di vertigini in maniera mostruosa (quando vidi “The Walk”, il film sul funambolo che attraversa su un filo le Torri Gemelle, svenni dal divano e mi accasciai sul tappeto come le coperte di pile, con un debole scintillio nel buio più totale), non ci mangerei sopra con sedia e tavolino nemmeno se mi invitassero con un AK47, odio quel ciarpame che abitualmente si ammassa sopra e mi tocca vedere dalle finestre, non gradisco quel tipo di socialità alla Anna Magnani che ti porta a conversare con i dirimpettai.

Il solito orso snob.

Il che mi mette in difficoltà con questo Movimento dei Balconi quotidiano.

Va tutto bene, ci mancherebbe, quello che influisce positivamente sull’umore e allontana da noi l’idea di abbandono non è oggi criticabile, ma due parole sulla playlist degli appuntamenti canori balconari delle 18, il mio ruolo di critico musicale mi impone di doverle dire.

In Inghilterra, riportano le news questi giorni, si sono affacciati e hanno cantato “Panic” degli Smiths.

Io non pretendo tanto, ma ecco qualche timido rilievo.

“Volare” ok, Modugno, tradizione italiana. “Azzurro”, benissimo. “Il cielo è sempre più blu” di Rino Gaetano, nessun problema. “Bella Ciao”, doppio valore in questi tempi di (differente) resistenza, va bene. Non dico nulla sull’inno italiano. Però qui in due giorni è partita una doppietta incomprensibilmente romanesca: “Tanto pè cantà” di Nino Manfredi e “ma che c’è frega, ma che c’è ‘mporta, se dentro il vino…”. Io vivo in centro a Torino, non a Trastevere, intanto, ma poi dovremmo riconoscerci tutti in “e noi je dimo e noi je famo, c’hai messo l’acqua e nun te pagamo?”. Ma questo è niente, mi sono toccate anche “L’Italiano” di Toto Cutugno e, a seguire, “Despacito” a volumi da parata del Ventennio. Ora, io non so più cosa dire su “Despacito”, ma davvero no, vi prego. Persino Pavarotti (o era Bocelli, chissà?), ma “Despacito” no. C’è gente che mi scrive che ha subito un’ora di hit di Cocciante senza time-out, un mash up agghiacciante tra “Il carrozzone” di Renato Zero e “Questo piccolo grande amore” di Baglioni (se capitasse qui, invito sin da ora mia moglie a legarmi alla lavatarice, prima che commetta un gesto inconsulto), tre giorni fa tutti a urlare “Felicità” di Al Bano e Romina. Ragazzi, occhio che qui la faccenda va per le lunghe e bisogna darsi una regolata, altrimenti facciamo tutti la fine di uno che ho visto una decina di balconi oltre la mia finestra che è uscito seminudo e ha urlato istericamente, e senza pausa alcuna”, “Stella Stai” di Umberto Tozzi per un paio di minuti. Sono segnali che vi invito a non sottovalutare. Se andiamo avanti così inizieranno a spuntare i cecchini tra i coppi delle tegole, potete scommetterci (io, in mimetica, se parte la mania di “Caruso”, garantito). Quindi, non pretendo che alle 18.00 usciamo tutti e facciamo scattare all’unisono “September Gurls” dei Big Star, anche se mi piacerebbe, ma insomma si accettano proposte, anche fieramente popolari (Battisti!), per alzare il livello di almeno due tacche rispetto a “Despacito”.

E visto che, bene o male, tutti iniziamo a dare qualche segno di squilibrio, la mia proposta per i balconi a venire è questa (mi raccomando le movenze):

https://www.youtube.com/watch?v=9Gc4QTqslN4

trashmen

ovviamente io darò il mio contributo al riparo, dietro una finestra.

Papa-Oom-Mow-Mow a tutti

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Ognuno, e in modo diverso, si sta organizzando per contribuire a uno scandire meno tetro (pigro? atterrito?) delle giornate che stiamo vivendo. Questo appuntamento ne è un piccolo esempio.

Fioccano i djset on line (Facebook, soprattutto).

Essendo io un apolide social, me li perdo tutti, ma direi che quelli di George Self Pylon (“The Blue Hour”) e Andrea Pellizzer (“Touching From A Distance”) sono tra i più apprezzati del “nostro” giro. Cercateli sulle loro pagine Facebook, garantisco io.

Hold On, guys!

Vi segnalo anche questa pregevole mixata di Marco,

https://m.soundcloud.com/marco-castelnuovo-2/smiley-culture

altro nostro amico/cliente, che mi è stata di straordinario supporto durante la pulizia delle fughe delle piastrelle in bagno (effetto devastante collaterale della pandemia).

Oltre a questo pregevole modo di stare insieme, è partita anche la moda degli aperitivi on-line. Ci si trova a una certa ora su qualche piattaforma e alè, bicchieri in prima vista e chiacchiere in libertà. Niente da dire, sto partecipando anche io ogni tanto.

Ma la faccenda si porta dietro qualche problema.

Innanzitutto compagni delle medie che davvero non avevi più nessun interesse a incontrare (“proprio tu, bastardo, mi devi ancora settemila lire che ti avevo prestato in gita”), drammatiche reunion di maturandi (“perdonami, ma quando ho firmato dopo aver consegnato il compito di matematica, insieme alla certificazione che non avrei mai più dovuto “spiegare” una funzione davo per incluso che scomparissi anche tu, con la tua passione per la pallavolo e Gianna Nannini”).

E fin qui, basta negarsi.

Poi ci sono le complicazioni legate a quelli che ti fa davvero piacere incontrare.

Lo sfondo: se piazzo il pc in cucina, dietro di me si vedrà la pentola con gli avanzi dei rigatoni al pesto (senz’aglio, barattolo industriale)? Verrà giudicato troppo neorealista? Vado in salotto e ordino i soprammobili sotto lo specchio? Apparirà inequivocabilmente borghese? Mi metto sdraiato sul letto con i cuscinoni dietro la testa? Potrebbe essere scambiato per sottile erotismo domestico? Seduto composto sul sofà? Penseranno sia già morto e impagliato da un tassidermista?

L’abito: metto una camicia ma resto in boxer tanto mi inquadrano solo dal busto in su? Tengo una felpa, stile informale ma reattivo? Indosso un abito elegante così lo giudicano da funerale e mi buttan fuori dalla simpatica community e posso tornare ad ascoltarmi Bryan Ferry “Live At The Royal Albert Hall 1974″? Siamo sicuri che ‘sta videocamera non si muove e poi finisce che mi inquadrano le ciabatte e mi tocca poi impiccarmi per la vergogna?

L’igiene personale: devo lavarmi i capelli? Si vedrà che non toccano shampoo da sei giorni o usufruisco di quell’effetto vaporiera insito nella connessione che poi alla fine non si distinguono nemmeno i contorni delle facce? Mi raso o mantengo questo effetto barba trasandata che fa di me un fico survivor oh yeah?

Food & Beverages: possibile che abbiamo solo il vino bianco che buttiamo nella pentola con le salsicce? Che ci sia soltanto una Moretti da preliminari di Europa League? Cosa mettiamo davanti, i Fonzies aperti a ottobre? I grissini nelle buste di plastica che danno all’ospedale? Ma che figura facciamo, è mai possibile?

Insomma, problemi.

Che alla fine si superano e, in qualche modo si riesce a far festa.

Ecco un bel brano adeguato, quindi, per i vostri festini meeting, ammucchiate,  amarcord, conferenze, chi sei già? aperitivi on line

https://www.youtube.com/watch?v=utCjuKDXQsE

tame-impala

e comunque sappiate che ho appena fatto la doccia, mi sbarbo regolarmente, sotto la camicia ho i jeans (e, assolutamente non le ciabatte), nella dispensa ho ancora (una!!!) ottima bottiglia di Barbera e un bel barattolino di carciofini sott’olio.

Get in the groove

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Ieri ho avuto il piacere di essere ospite all’interno di Altre/Storie di Mario Calabresi

https://www.mariocalabresi.com

è una newsletter settimanale. Eccola spiegata direttamente dall’autore “Perché una newsletter? Perché ti aspetta. Perché non si perde. Perché la ritrovi. Perché la leggi quando vuoi. Perché non ha limiti di lunghezza. Perché la si può curare nei dettagli. Perché è un appuntamento fisso. Perché è antica e moderna. Ho deciso di fare una newsletter perché mi somiglia e serve a raccontare le storie che mi stanno più a cuore”.

Come non essere d’accordo?

La attendo sempre, esattamente come Bastonate per Posta, del mio amico Francesco Farabegoli, l’unico che conosca che ha sempre un’opinione (divertente? inattesa? incomprensibile? invidiabile?) sulle cose che mi stanno intorno.

http://www.bastonate.com/bastonate-per-posta/

Cliccate sui link e iscrivetevi, non ve ne pentirete.

E così, ecco il mio piccolo omaggio a questo modo di raccontare quanto sfugge, prima ancora della canzone (che vi consiglio di ascoltare alla fine, o di notte, o quando siete soli)

Questo rende l’Antivirus molto più lungo del solito, ma è una storia incredibile, che parla, per chi scrive, di uno dei più grandi talenti della musica contemporanea. E di una città (come tutti) che amo incondizionatamente.

È una mia intervista, pubblicata su Rumore (grazie https://rumoremag.com/ ) nel 2015.

A Gigi Masin.

gigi-masin-new

SENZA TEMPO: GIGI MASIN

Di Maurizio Blatto

Con Gigi Masin, veneziano classe 1955, il tempo è stato parzialmente galantuomo. La sua musica, ignorata per anni, è passata da culto sotterraneo ad approvazione mondiale. Appartato e dotato di una grazia assoluta, il suo tocco minimale di tasti e assenze ha attraversato il tempo e ora è qui, per tutti.

È una storia singolare la tua, sia sotto il profilo artistico che umano. Hai una cifra stilistica personalissima che, pur accarezzando David Sylvian, i Talk Talk, l’elettronica impalpabile, l’ECM e i paesaggi di Robert Fripp, ha trovato dopo anni consensi presso il popolo di Ibiza. Raccontaci i tuoi esordi.

“Ho iniziato a suonare una chitarra scordata fino a quando, nella prima metà degli anni settanta, sono entrato nel mondo nelle radio private veneziane. Di giorno seguivo la normale programmazione pop da classifica, ma la sera avevo uno spazio di assoluta libertà nel quale trasmettevo Miles Davis, John Martyn, National Health o Dick Gaughan. Poi sono finiti i soldi e con loro il lavoro alla radio, e allora ho trasportato la mia passione dai vinili alla musica stessa. Volevo fare un disco a tutti i costi, e desideravo che fosse di chitarra. Ma per il mio compleanno mi hanno regalato un sintetizzatore, di fatto, cambiandomi la vita. Era un modello economico, ma quelle sonorità hanno mutato per sempre la mia sensibilità: ho iniziato a giocarci, costruendo linee semplici che scaturivano quasi per sottrazione. Ho fatto sì che quel giocattolo diventasse un’abitudine quotidiana”.

Sei un autodidatta, quindi.

“Assolutamente, e quello che creo mi viene quasi d’istinto. Non aspiro a fare nulla di universale, cerco un linguaggio, amo suonare e avere un riscontro, ma ho iniziato a comporre come gesto personale d’amore verso la musica. Me ne accorgo oggi, guardando da distante quello che ho registrato: il mio suono, nella sua pochezza, era già completo allora, funzionava nella totale assenza di arricchimento, frutto artigianale di un gioco con i tasti, di loop fatti da nastri attaccati con lo scotch”.

E così pubblichi Wind, nel 1986.

“Sì, e arrivo a farlo proprio con questo metodo. Wind, nelle intenzioni, doveva rimanere l’unico disco della mia vita, non prevedevo alcun seguito. Lo produco e stampo da solo e, in più, decido di regalarlo a chiunque lo volesse. Non ho venduto una sola copia di Wind, bastava chiedermelo e io lo consegnavo gratis. Si è sparsa la voce e ogni tanto la gente passava da casa mia, mi suonava il campanello e diceva “È vero che regali il tuo disco? Posso averlo?”. Così ho dovuto ristamparlo nel giro di otto mesi e sono uscite un paio di segnalazioni sulle riviste, con il mio indirizzo indicato. Il risultato è stato che in molti mi scrivevano “Non credo affatto che sia gratis, ma questo è il mio indirizzo, spediscimelo”. E così ho fatto, almeno fino a quando non ho esaurito le copie: lo mandavo a tutti”.

Immagino tu sia consapevole del fatto che detieni un piccolo record. Wind è stato il disco venduto al prezzo più alto nel marzo del 2012 sulla piattaforma di compravendita mondiale Discogs. Assegnato per 923 dollari e 83 centesimi. E quando qualche copia viene messa sul mercato non scende mai sotto i 500 euro. Che effetto ti fa?

“La cosa mi dà pochissima soddisfazione, ovviamente apprezzo che sia cercato, ma nel fondo del mio cuore mi dico non ci siamo. È in completa antitesi con le motivazioni originali. Quindi lo ristamperò e in un formato diverso da quello originale, per renderlo disponibile a un prezzo “normale”. Della nuova edizione se ne occuperanno delle persone di mia completa fiducia. Non soltanto la veste grafica sarà differente, ma anche il suono verrà migliorato”.

Tu possiedi copie originali di Wind?

“Cinque copie, tutte mie. È comunque strano, perché tu fai una cosa e la consegni al mondo, ma non hai idea di che strada prenda, quindi quando ha saputo che Wind veniva venduto a quelle cifre una parte si è stupita, ma l’altra voleva piangere. Era un disco gratuito concepito come un tributo a quella sensazione di rivoluzione e libertà assoluta che mi aveva regalato il lavoro in radio”.

Tu sei stato anche un dj, vero?

“Sì, nel periodo delle radio private, ma in realtà facevo il vice dj. Durante le serate nei locali eleganti di Cortina o al Lido di Venezia, scaldavo e raffreddavo la sala, senza mai assolutamente mixare. Avevo lo stesso approccio della radio e mi concedevo la medesima libertà. Erano anni in cui ci si fidava del dj, anche se azzardava un brano di Miles Davis per la pista. Forse c’era più apertura mentale. Il nostro è un Paese sindacalizzato anche per la musica, per capirci qui chi ascolta Springsteen vuole solo Springsteen, e allora gli ambienti aperti e senza barriere, che pur ci sono, fanno fatica a emergere”.

E il campionamento della tua Clouds da parte di Bjork?

“La storia è lunga e parte ancor prima. Un amico di Londra mi avvertì che i To Rococo Rot avevano usato in pratica l’intera Clouds per la loro Die Dinge Des Lebens (su The Amateur View, City Slang, 1999 nda). Lippok dei TRR insiste ancora oggi che sia solo un campione, ma basta ascoltare i due brani per farsi un’idea. In ogni caso io ho provato a contattare la band con tutto l’entusiasmo e la disponibilità possibile, ma mi è stato fatto capire subito e senza mezzi termini di stare al mio posto. Freddezza assoluta e nessuna apertura al dialogo. Quello è solo un campione, fine. La cosa sembrava essersi chiusa lì, ma un anno dopo, con grande cordialità, Lippok mi scrive nuovamente da grande “amicone” e mi dice che hanno avuto un’offerta per Die Dinge Des Lebens e, in poche parole, mi chiede un’autorizzazione o meglio, una liberatoria, dove avrei dovuto attestare che il pezzo era completamente loro. Calma, questo è un po’ troppo, anche per una vicenda dove non c’è mai stata alcuna forma di rispetto. Domanda e scava, dopo qualche mail viene fuori il nome di Bjork: era stata lei a richiedere il brano. Nel giro di poche ore ho preso il disco (Les Nouvelles Musiques De Chambre Volume 2, edito dalla Sub Rosa nel 1989, nda), di cui avevo solo tre copie, e l’ho spedito alla One Little Indian, l’etichetta di Bjork. Loro si sono accorti della cosa e, dopo una settimana, un responsabile mi ha contattato per tentare di ammorbidire i toni. Ammorbidire? Bastava non cercare di fregarmi e affrontare la cosa diversamente. Io avrei capito. Ma così si esagerava: ho ancora tutte le mail dove i TRR mi chiedono di girare Clouds a Bjork come fosse loro”.

E quindi?

“Bjork campiona Clouds nella sua It’s In Our Hands, mette il mio nome tra i crediti e, piccola vendetta, prende i Matmos e non i To Rococo Rot come band per il suo tour”.

Ma soldi?

“Zero. E ho solo più una copia di Les Nouvelles Musiques De Chambre, quindi se si rompe sono spacciato”.

Com’è possibile che non si dia un giusto valore economico al tuo lavoro? Sono grandi nomi, non hai pensato a intraprendere una via legale?

“Certo, ma ho desistito, troppo caro. E non è stato l’unico caso: Jun Seba in arte Nujabes, è il suono nome letto al contrario, un produttore giapponese, ha preso sempre Clouds, l’ha velocizzata, ci ha messo sopra il rappato firmato Five Deez e l’ha battezzata Latitudes (Remix). Senza chiedere nulla ovviamente, e allora quando l’ho saputo mi son detto – adesso basta-, ma poi ho scoperto che in situazioni come questa si lavora per accordi bilaterali, quindi per arrivare in Giappone avrei dovuto prima ingaggiare un avvocato a Singapore. Troppo complicato e, soprattutto, oneroso”.

E quindi?

“Niente anche in questo caso, ma Nujabes è morto due mesi dopo in un incidente stradale vicino a Shibuya, a Tokyo”.

Ahia. Proviamo a definire la tua musica: l’approccio minimale e i tocchi misurati e fortemente espressivi la riconducono spesso alla tradizione ambient di colossi quali Brian Eno e Harold Budd.

“Sono ovviamente musicisti che conosco e apprezzo, ma che quando ho inciso Wind, credimi, non sapevo nemmeno che esistessero. Io venivo da una tradizione rock, folk e jazz, o al massimo di musica contemporanea, come Ligeti e Penderecki. Per me Brian Eno era semplicemente il tastierista dei Roxy Music. Poi ho ascoltato i suoi lavori ambient e ho anche sentito Harold Budd dal vivo, apprezzandolo molto. Ma onestamente non vedo una continuità con Wind, che era un disco spontaneo e non così serio”.

Sei considerato uno dei numi tutelari della musica balearica. Come ti trovi nel mondo Ibiza?

“Mi stupisco e ho paura che scoprano da dove vengo e capiscano che non sono uno dei loro. Ma va bene, anzi benissimo. Il merito è dei ragazzi olandesi della Music From Memory, etichetta e negozio di dischi usati e non di Amsterdam. Sono delle bellissime persone. La loro filosofia è quella di dare una seconda possibilità a lavori che ritengono esser stati trascurati, sottovalutati o dispersi. Hanno un amore nel cercare e valorizzare i dischi che mi ha ricordato il mio, quello iniziale. Io ero uno dei primi della loro lista dei desideri e, quando mi hanno contattato, gli ho dato due dvd pieni della mia musica: trent’anni di vita. Ho lasciato massima libertà di scelta per il materiale che sarebbe finito su Talk To The Sea, pubblicato nel 2013. La loro selezione mi ha stupito e soddisfatto al tempo stesso e, proprio grazie al mio disco, loro hanno potuto economicamente stampare altre cose, come il recente I Was Crossing A Bridge di Vito Ricci. Allo stesso tempo io ho avuto una visibilità nuova, che mi consente di suonare spesso dal vivo e, soprattutto, di aprirmi e non chiudermi in me stesso. Io ho una famiglia e un lavoro normale, e questi nuovi spazi espressivi sono davvero vitali”.

A Ibiza ci sei mai stato?

“Mai. Però mi hanno detto che mentre mettevano la mia musica si aggirava Paris Hilton. Buffo no? Io ho sempre suonato per me stesso, ma evidentemente quel linguaggio piace ora e aveva bisogno di tempo per maturare. Trent’anni fa non funzionava e dieci anni dopo non se lo ricordava nessuno, evidentemente per qualche strana congiunzione astrale doveva aspettare oggi per entrare in sintonia con qualche ascoltatore. La cosa strana è che mi si chiede di cose che, anagraficamente, non mi appartengono più, ma ho capito che una finestra sul mio passato si stava aprendo quando i dj hanno iniziato a domandarmi il permesso di mettere un mio brano nelle loro compilation. Intanto rivelava un senso di rispetto superiore a quello dei campionamenti non autorizzati, ma mi faceva anche capire che c’era un desiderio nuovo. Mi chiedevo che cosa se ne facessero a Ibiza di una mia canzone d’amore, ma poi ho immaginato che forse c’è un bisogno reale di musica che sappia confortarti. È il momento in cui viviamo a richiederlo”.

C’è comunque un grande senso di serenità nel tuo lavoro. Una grazia assoluta.

“Io non sono come la mia musica e mi spaventa che lo si immagini, perché non sono affatto placido o sereno. Diciamo che a volte la musica compare, colleghi le tracce, abbini e devi soltanto salvare, quindi faccio finta di non conoscermi e mi godo il momento”.

Anche per le recenti collaborazioni?

“Sì, certo. Il progetto Gaussian Curve (Clouds, sempre su Music From Memory, con Jonny Nash e Young Marco, nda) è venuto fuori in due giorni e mezzo in una casa vuota di Amsterdam. Per l’improvvisazione di Lifted (1, su PAN, nda) non ci siamo dati regole se non quella di un amalgama sonoro che, alla fine, mi ha ricordato i Weather Report. Mentre per il lavoro con i Tempelhof (Hoshi, su Hell Yeah) ha contribuito che li abbia visti prima dal vivo, dove sono eccezionali. Progetti che mi hanno molto coinvolto e che forse in parte avranno un seguito, pur differente”.

Quanto ti influenza vivere a Venezia? È solo una suggestione da cartolina o ha un effettivo impatto sulla tua musica?

“Mio nonno era gondoliere, fai tu…. Ovvio che ti influenzi dove vivi, ma che si rifletta sulla musica non saprei. Io non riesco a stare lontano da Venezia, di trasferirsi non se ne parla. Ormai ho casa da anni a Mestre, ma è là, a dieci minuti e so che se ti perdi, scopri ancora angoli meravigliosi, delle enclavi “vere”. Da piccolo facevo il bagno nei canali, che erano limpidi e trasparenti, ti tuffavi dentro. Venezia era bellissima. Ma è anche una città ingrata, un palco dove i veneziani non suonano, a meno che non facciano reggae o ska, cantino in dialetto e si portino dietro l’orchestrina. Che uno come Enrico Coniglio (musicista e field recorder, consigliate le sue Topofonie, nda), registratore di luoghi veneziani quasi sezionati al bisturi, venga ignorato a casa sua, è offensivo. Prima o poi registreremo un disco insieme, ce lo diciamo sempre”.

A proposito. C’è un musicista “famoso” con il quale ti sarebbe piaciuto collaborare?

“Avrei voluto suonare per John Martyn, un autore che ho sempre amato. Al di là dell’alcool, l’ho sempre sentito vicinissimo a me”.

In chiusura: un luogo di Venezia e la canzone ideale da ascoltare lì.

“La stazione ferroviaria di Santa Lucia e From A Late Night Train dei Blue Nile. È insuperabile, la ascolti e pensi di dover buttare la tastiera, per sempre”.

Se siete arrivati fin qui, sappiate che i dischi di Gigi Masin sono stati ristampati e lui si esibisce abbastanza regolarmente dal vivo (un incanto, credetemi). Il mondo ha finalmente iniziato ad apprezzarlo come avrebbe sempre meritato. Sono usciti nuovi dischi a suo nome, tra cui uno, splendido, uscito da poco: “Calypso”.

Qui una bella presentazione del lavoro

https://www.youtube.com/watch?v=TE7mBhwbOKk

E la canzone? Eccola. Impalpabile, perfetta. Da “Small Hours”, come diceva John Martyn.

https://www.youtube.com/watch?v=OMFkgeoIOi8

Buon ascolto, vi farà bene.

PS anche questa

https://www.youtube.com/watch?v=tym7zDX6HGM

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