Salone del Libro

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Grazie a tutti quelli che sono passati a trovarmi al Salone,

che hanno comprato il libro aggiudicandosi una schifezza di 45 giri e hanno partecipato anche alle session fotografiche di Shake (il libro con i cani che si scrollano), straordinaria trovata dello stand di Baldini & Castoldi che mi ha quasi slogato una mascella.

sotto qualche foto

(https://www.facebook.com/baldinietcastoldi)

Maurizio

promozione mytrunes

maurizio & The Lady

maurizio & padre cionfoli

tommaso perturbazione & Nikka

 

maurizio & Toto villoso

pre shake

maurizio shake

 

 

 

 

 

 


al Salone!

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45 giri brutti 3

-domenica 11 maggio

Salone del Libro di Torino

Ore 16,00 stand Baldini & Castoldi

Firma copie +

Un disco brutto per ogni libro bello (MyTunes)

in sostanza regalo un 45 “brutto” (rigorosamente brutto) a chi compra il mio libro

in omaggio allo Stato del Vaticano, ospite ufficiale del Salone del Libro 2014,

spicca tra gli omaggi “Solo Grazie” di Padre Giuseppe Cionfoli

Vi aspetto!

Maurizio

Mytunes

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


MyTunes

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MaurizioBlattoMytunes (foto di Stefano Blatto)

(foto di Stefano Blatto)

Miei cari, si ricomincia.

Dal 21 maggio in tutte le librerie,

ma già in vendita al Salone del Libro di Torino

esce MyTunes, il mio nuovo libro.

Mytunes

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sotto trovate una scheda di presentazioni e i contatti “uffciali” per reading, presentazioni, vernissage e amenità assortite

 

 

 

Maurizio Blatto

MyTunes

Come salvare il mondo, una canzone alla volta

Saggi   pag. 464- euro 16,00

 

“Non dimenticare le canzoni che ti hanno fatto piangere e quelle che ti hanno salvato la vita” Morrissey

 

Mytunes è la prova che le nostre vite sono funzionali alle canzoni. E non il contrario. Ogni parte di noi va a incasellarsi dentro melodie e stacchi di chitarra in perfetto sincrono. “Spiegare” le canzoni è il pretesto per abbandonarsi alla letteratura autobiografica. Dettagli storici e alta fedeltà narrativa. Giornalismo musicale sciolto nella fiction.

MyTunes è la rubrica più seguita della rivista “Rumo­re”: ne abbiamo raccolto il meglio, interamente ampliato e rivisto. Remixato verrebbe da dire, insieme a una gran parte completamente inedita. Rolling Stones, Belle and Sebastian, Battisti, Johnny Cash, My Bloody Valentine, Neil Young, Smiths e molti altri. Insieme a ricordi liceali, vacanze, rabbie quotidiane e grandi aspirazioni.

A corredo della raccolta, una serie di playlist compilate per farsi largo tra le pagine e diventare piccola colonna sonora quotidiana.

Fidatevi, la musica “è più grande della vita stessa”.

MAURIZIO BLATTO è nato a Torino nel 1966 ed è cresciuto all’interno della sua colle­zione di dischi. Firma storica della rivista musicale “Rumore”, è rintracciabile ovunque si discuta di pop indipendente inglese. Per Castelvecchi ha pubblicato L’ultimo disco dei Mohicani. È stato definito il “crooner del giornalismo musicale”.

Chiara Ferrero (Ufficio stampa)
c.ferrero@baldinicastoldi.it – tel. 02 94559631 – cel. 342 1405267

Mario Vanni degli Onesti (Social Media)
m.vanni@baldinicastoldi.it – Twitter: @BaldiniCastoldi

 

 

MyTunes

77 canzoni e la vita che batte dentro il loro ritmo. La storia musicale e quella dei ricordi che si porta dietro. Come una playlist, una cassetta mista dove basta schiacciare i tasti per ricordarsi chi eri, cosa succedeva e a che velocità. Il punk e le sconfitte calcistiche, l’epica familiare e le aspirazioni liceali. La sezione ritmica è la storia di quei brani, la chitarra solista è il racconto privato che ne scaturisce.

«Se ci ripenso mi vedo sempre là, anche quando l’inverno se n’è andato e la scuola è finita. Con Asleep che gira. Arrivarono le vacanze e progettai con la mia ragazza di andare in Grecia, a girare senza fretta tra le isole Cicladi. Sole, vento, libertà, ma anche gli Smiths, ovviamente. Due giorni prima di partire mi si ruppe il walkman. La semplice prospettiva di non poter ascoltare Asleep per almeno due settimane mi fece prendere in considerazione l’idea di rimandare la partenza. Avevo lo zaino pronto e il cuore vuoto. Non ce la posso fare, mi ripetevo. Sto qui. Poi mi ricordai dell’autoradio. A cassette, ovviamente. Avevo comprato un modello ai limiti dell’immaginabile, soprattutto oggi. Estraibile come tutte quelle dell’epoca, godeva di un insolito benefit: se collocate le pile nell’apposito vano, poteva funzionare come walkman. La casa produttrice forniva anche una sorta di tracolla dagli eleganti colori gialli e neri per consentirne un utilizzo da passeggio. Diventava una specie di borsello con le dimensioni e la pesantezza di un tostapane. Una follia. Tu andavi in giro con questa bestia di metallo e potevi allegramente ascoltare le tue compilation su nastro. Non credo sia mai stata utilizzata in questa modalità. La guardai e pensai “Sarò io il primo”. Andrò sulle spiagge greche in costume e tostapane walkman. Lo farò. Ascolterò Asleep, sono salvo. Comprai le pile e lo collaudai camminando nel corridoio di casa mia. Mi sarei lussato una spalla, questo era certo, ma funzionava egregiamente. Quando esposi il mio progetto, mi inquadrarono per quello che ero, un idiota. La notte prima di partire mi vennero dei dubbi. Forse pesava più il tostapane walkman dell’intero zaino. E se me lo avessero rubato? Poteva risultare un tantino scomodo? Avrei destato perplessità a fare una vacanza a piedi con un’autoradio appesa al collo? Colto da uno sprazzo di lucidità, decisi di abbandonare il mio progetto e mi scrissi su un foglietto le parole di Asleep. Rimasi sveglio e le imparai a memoria.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Il Direttore: recensioni aprile 2014

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Tornano i consigli sotto formato recensione del Direttore (che, viste alcune richieste di chiarimento, non sono io, ma l’elegante gentiluomo che potete apprezzare anche visivamente nella rubrica I Castori).

Benemerito, mentre è alla ricerca dell’Arca Perduta (la collezione completa della Flying Nun), ha trovato il tempo per queste preziose righe.

Ringraziandolo, buona lettura (Maurizio)

Recensioni Aprile 2014

malkmus

Stephen Malkmus & The Jicks – Wig Out At Jagbags

Zio Steve qui è di casa. La sua aristocratica indolenza è un segno distintivo, un amuleto per rispondere alle bruttezze del mondo con un bel “chissenefrega”. Molti di noi vorrebbero essere semplicemente come lui e avere la sua stessa capacità di scartare, di poter tracciare linee oblique e quindi mettersi a lato per non farsi travolgere dalle continue folate della realtà balorda. E qui Zio Steve ci riesce alla grande, in uno dei suoi dischi più a fuoco da quando sancì la fine di quel miracolo indie pop che furono i Pavement. Lariat, il singolo, aveva già fatto ben sperare, con quella melodia quasi cubista che non avrebbe sfigurato per niente in un disco del quintetto di Stockton. I numeri in cui Stephen si prendono beatamente gioco della vita con gusto e stile qui non manca. Come in Houston Hades, dove è l’universo un po’univoco “tette, dollari e macchinoni” dei redneck texani ad essere preso magistralmente di mira. Assoli di chitarra che flirtano con gli anni ’70, ma ripiegano prima di rischiare di diventare veramente prog e un maneggio della melodia di sbieco per cui qualcuno dovrebbe dargli un bacio in fronte. (Still) alive and kicking.

neneh cherry

Neneh Cherry – Blank Project

Il ritorno della regina. The Cherry Thing, collezione di preziose cover oblique, in compagnia del meta – jazzista Mats Gustafsson, era già stato un indizio concreto del fatto che i tempi erano maturi. E a diciotto anni da Man, ultimo segnale pubblico di Neneh,  The Blank Project è un nuovo foglio bianco su cui la regina immagina le sue pulsioni, con quella visione a 360 gradi che ne ha alimentata l’intera carriera. Un’ansia onnivora svezzata fra le fila del post punk britannico più curioso e terzomondista, alla corte di Rip Rig & Panic e Slits, Neneh mostrò poi di sapersi districare al meglio fra i velluti costosi del pop degli anni Ottanta e Novanta, lasciando al mondo due tracce essenziali come Buffalo Stance e Seven Seconds. Kieran Hebden, in arte Four Tet, produce o meglio disegna un paesaggio dove  l’elettronica si muove discreta dietro le quinte, lasciando che la voce di Neneh sfili fra i ritmi. Un suono volutamente scarno e profondo, perché non è più il tempo di velluti o di arrangiamenti luccicanti. E la regina svela tutti i suoi gioielli, con mestiere e classe. L’appello dell’esplicita Naked, con quello sguardo world così figlio dei primi anni ottanta. Gli echi di narcolessia trip hop di Spit Three Times, passeggiata fra i fantasmi di una Bristol ancora oggi indispensabile. Per finire con quel dub step Soul che è Everything, una vera e propria ipotesi di Neneh 2.0. Passato e futuro. Riappropriarsi delle radici per ripartire nuovi. Quanto verrebbe voglia di ascoltare la voce di Neneh in un pezzo scritto da Burial; cosa sarebbe saperla chiusa nel buio di uno studio alle prese con le trame oscure dei Raime. Per ora basti sapere che la Regina è tornata e non ha nessuna intenzione di abdicare.

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Real Estate – Atlas

Matthew Mondanile ha un nome buono per una quarta generazione d’italiani trapiantati nel New Jersey. Spaghetti Alfredo e orgoglio nazionale per un Paese ricordato in cartolina. In realtà quando si mette a scrivere canzoni, Mondanile preferisce sfogliare la sua collezione di 45 giri della Sarah Records, piuttosto che rivolgersi a Cutugno e Pavarotti. Il suo terzo disco a nome Real Estate (il nostro è anche chi si cela dietro la sigla Ducktails) prosegue la ricetta dei due predecessori. L’indie pop che trova il senso nei dolci accordi di chitarra piovosi, imparati a memoria sillabando C86. La morbidezza dei passaggi chitarristici che  si sposa con l’indolenza tipica degli slacker americani che se ne stanno sul bagnasciuga, ben al riparo da qualsiasi eccesso di ribalta. Canzoni pigre e morbide, come quando arriva il primo polline di primavera e ci si sente fortunatamente deboli e svogliati. Solo una gran voglia di gettarsi su un prato e puntare lo sguardo alle nuvole. Mondanile ricama accordi e rintraccia melodie lievi proprio per tutti quelli che credono che il jangle pop possa ancora salvare il mondo. Nulla di nuovo sotto il sole, nessuna pretesa di conquistare eserciti di fan dalle anime fiammeggianti, ma solo la capacità di lasciarci un manipolo di canzoni gentili, per salvarci la giornata. Non finiremo mai di ringraziare chi fa ancora dischi così.

riccardosinigalliapertutti

Riccardo Sinigallia – Per Tutti

Certo, menzionare SanRemo al Backdoor è un azzardo, un gesto conscio del rischio di non essere la tazza di tè per tutti. Riccardo Sinigallia non è un fresco prodotto del Festival Dei Fiori, surrogato di qualche talent show plastico. Anche suo malgrado, con i Tiromancino prima e in solitaria poi, ha dato prima vita e poi alimentato la scuola del Pop romano di questi ultimi quindici anni, senza mai essersi preso pieno merito per questo. In un Festival che è stato dominato dal racconto di quel percorso storico che parte da De Andrè e arriva al premio Tenco, Riccardo ha rappresentato quell’Italia del Pop adulto e poco allineato che si abbevera alla fonte inesauribile di Lucio Battisti e non teme i rischi di aprirsi all’assorbimento di stili e influenze straniere. Un percorso parallelo, che non avendo cercato un terreno politico su cui definirsi, ha seguito cammini meno raccontati. L’elettronica che ha assorbito la sensibilità di Canterbury fra i banchi di scuola e sdoganata dai Radiohead di Kid A, il tropicalismo dandy di Marcos Valle e il synth pop come eco lontano di quegli anni Ottanta comunque inevitabili. E poi quel segreto aereo imparato dal Divo Lucio, dove la grana ruvida della voce si posa su cadenze morbide e rotonde, in una parola dolcemente malinconiche. Un approccio Pop che non vive di dignità alte, terreno consono al cantautorato ortodosso peninsulare. Una forma canzone che rischia sul piano dell’equilibrio tra fruibilità e ricerca, ma che nelle mani di artisti sensibili come Riccardo, può diventare preziosa. Per Tutti è il suo terzo disco solista, dove Riccardo si prende rivincite, sussurrando anni di rinunce e mettendo più a fuoco testi che dipingono l’Italia di questi anni da un punto di vista crepuscolare, dove l’osservare defilati diventa più efficace dell’urlare. Forse non per tutti, non ora, immersi in un paese troppo cinico che spesso frettolosamente confonde la cialtroneria con l’eroismo. Per chi è curioso, Prima Di Andare Via, se avete un attimo, passate di qui.


meglio essere bastonati, certe volte

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giornale in fiamme

 

A pagina XIII della sezione cittadina de La Repubblica di oggi (edizione cartacea) esce un articolo (consueto, ormai) sul Record Store Day. Sulla manifestazione, che inizio cordialmente a detestare, mi sono già espresso in diverse sedi. L’articolo riporta alcune mie dichiarazioni, non rilasciate di persona ma prese da un comunicato stampa del mio libro (definito cortesemente “molto bello”). Parole (le mie) comunque ancora sottoscrivibili, sebbene vecchie di quattro anni e rinnovabili in tempo zero. A fianco, una mia foto dove si dice “Maurizio Blatto del Les Yper Sound”. Ora, niente contro i colleghi cittadini, ma come dire, io lavorerei da Backdoor, come scritto nell’articolo e come verificabile con un click via google. Già, la rete. L’eterna rivalità della vecchia e calda carta e del freddo ma veloce web. In pochi giorni ho risposto a precise e cadenzate (mando una domanda e tu rispondi, a quella mi aggancio e andiamo avanti. Metodo ottimale per fare una vera intervista via mail) per il sito http://www.bastonate.com/2014/04/18/maurizio-blatto/  Oggi è stata pubblicata ed è inappuntabile e ben curata, come tutto quello che sta lì dentro. Ora, sono due casi limitati e autoreferenziali, ma ognuno tragga le proprie conclusioni. Sempre su Repubblica venne recensito il mio primo libro a nome Alberto Blatto. Ora, come dire, io mi chiamerei Maurizio. Non hai un computer per verificare? Bè, magari leggi il nome sulla copertina del libro stesso. Dai. Pare sia colpa dei deskisti, categoria professionale nebulosa e, a quando risulta, più protetta degli statali odiati da Miglio e Brunetta. Chi sono costoro? Giovanissimi inesperti sciattoni che non verificano quanto scrivono? Vecchi imbolsiti da anni di lavoro pseudo usurante? Non conosco google? Mi odiano perché una volta gli ho venduto il secondo disco dei Guillemots? Non saprei. Ho un libro nuovo in uscita a maggio, e sinceramente mi tremano già le vene…



Il Direttore

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direttore

-vinile o CD?

Esclusivamente vinile, a meno che il cd non sia una rarità.

Ovviamente con la benedizione del Sig. Franco

-primo disco comprato?

Genesis  Nursery Crime

 

genesis nursery crime

 

 

 

 

 

-ultimo disco comprato?

Todd Terje  It’s Album Time

todd terje

 

 

 

 

-il disco che hai cercato per più tempo?

Sea Urchins Pristine Christine 7” (Sarah 001)

christine7

 

 

 

 

 

ma anche

 Aphex Twin  Drukqs (mammuttone in vinile).

Nel senso che lo avevo comprato ma è andato perso durante uno dei mille traslochi.

 

drukqs-longvinyl

 

 

 

 

 

Lo sto ancora cercando e non mi sorprenderebbe trovarlo a casa di Bettega appeso al muro.

bettega

 

 

 

 

 

-il disco che ti rende più orgoglioso

La collezione completa dei 7”, 10” e 12” pollici della Sarah Records mi fa sentire  parte di qualcosa più prezioso di me, fatto di pioggia, prati verdi e istantanee in bianco e nero virate seppia.

Ho continuato recuperando tutti i 7” della Postcard e recentemente ci ho dato dentro con la Flying Nun.

Il capitalismo al puro servizio della trimurti dell’indie pop del cuore.

sarahpostcardflyingnun

 

 

 

 

 

 

 

 

-il disco più bello comprato da Backdoor

 Tanti, ma sceglierei Sightings Absolutes.

Il simbolo di un’era, il suono dell’aspirapolvere che arriva dalla camera da letto, per mia moglie

sightings

 

 

 

 

-il disco più brutto comprato da Backdoor

Sicuramente Mirrored dei Battles.

Sdegno acuito dal fatto che non ci sta in nessuna misura di busta plastica per vinili

battles_500x500

 

 

 

 

-come è ordinata la tua collezione

Divisa com’è fra due mondi, segue ordini alfabetici propri, che si materializzano sotto vari sottogeneri (ordinati essi stessi per ordine alfabetico).

Potrei scrivere un libro sulle mie liste e i miei criteri ordinativi, ma Maurizio trema già.

Mia moglie ancora oggi si sorprende nella mia facilità nel trovare i dischi, nonostante il mio codice di ordinamento cosi complicato

 

-i “tuoi” cinque dischi:

 

Prefab Sprout  Steve McQueen 

The Velvet Underground The Velvet Underground & Nico    

PIL Metal Box 

Lucio Battisti Anima Latina 

The Smiths The Queen Is Dead

OLYMPUS DIGITAL CAMERAlou-reed-velvet-undergroundPIL-Metal-Box-490384Anima latina (L. Battisti) - Front coverThe Smiths - The Queen Is Dead - Front

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-il tuo disco “cult”

 Liberty Horses Joyland

joyland

 

 

 

 

 

-il tuo “guilty pleasure” (la tua passione musicale –gruppo, band o genere- inconfessabile)

 Breakfast Club Breakfast Club (1987)

Non è il film ma l’album di un gruppo che era la sintesi del brat pack e dei gommosi anni ’80.

 

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breakfastclub-ost_grande

 

 

 

 

 

 

 

 

 

-cinque canzoni “tue”

 

Prefab Sprout Bonny

The Smiths There is a Light that Never Goes Out

The Blue Nile From A Late Night Train

Pavement Gold Soundz

Steely Dan Deacon Blues

steely dan

 

 

 

 

 

-qualche concerto memorabile

Belle & Sebastian – Collegno (2006?) A casa con gli amici

Slint – Bologna. Post Rock”

REM – Milano 1989. Prima del mainstream

U2 – Modena 1987. Romanzo di formazione

Arab Strap – Ponderano. Qualcuno sa perchè

Massimo Volume – Hiroshima, vecchia sede. Un treno che ti entra dentro e tu sei la stazione

Perturbazione – Hiroshima, nuova sede. Data finale della tournee di Canzoni allo Specchio. Il cerchio che si chiude

Deacon Blue – Torino 1989. Post Steely Dan Northen Pop e orgoglio scozzese

 

-un concerto drammatico

Nirvana – Milano 1994.

Poche settimane dal suicidio.

Sul palco un fantasma, sotto il palco la lotta per la sopravvivenza.

Fortunatamente suonarono meno di un’ora

 

-la tua squadra di calcio e una canzone che la rappresenti

La Juventus.

 Joy Division The Eternal, anche se molti preferirebbero

Slow Motion Replay di The The

gobba

eternal

 

 

 

 

 

-promuovi una tua iniziativa (o qualcosa che ti piace)

Un concerto di Mark Kozelek dentro il Backdoor.

La sua voce triste che si spande su Piazza Barcellona…

Un festival Sarah Records a primavera nella campagna del Dorset.

Un concerto di balearica ed europop visto da una vasca idromassaggio al tramonto a Ibiza.

 idromassaggio tramonto-piscina-2-per

 

 

 

 


Sun Kil Moon Saga

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Ecco il primo di una serie di preziosi contributi del nostro “Proust delle praterie”.

Il Direttore ci regala (recensione prima, racconto a cuore aperto dopo) un flusso di considerazioni sul recente capolavoro di Mark Kozelek/Sun Kil Moon: Benji.

A voi le parole del nostro Uomo perso tra il nulla del Midwest e l’agio assoluto dei jet privati. (m)

102_1MarkKozelek

 

Sun Kil Moon – Benji

Mark Kozelek è stato un compagno di viaggio fedele e malinconico. Dall’inizio degli anni novanta in poi e sempre stato necessario tornare ad immergersi nelle sue canzoni e a farci guidare da quella voce, senza preoccuparci troppo di voler vedere la luce in fondo al tunnel. Dopo un mare di musica, Kozelek arriva finalmente alla sua prova più importante, quella cui giustamente la critica tutta guarderà come sua opera definitiva. Il cantautore dell’Ohio trapiantato nella baia di San Francisco cambia prospettiva. Niente più cavalcate chitarristiche che si perdono nell’infinito. Qui sono le storie raccontate da una voce mai cosi spezzata dall’esperienza e dalla malinconia, a farla da padrone. Storie di fantasmi, di memorie lungo le strade Blu di un’America senza Gloria. Storie piene di morti o di presagi di morte. Amici, parenti e persino vittime di sparatorie a scuola. E’ l’America profonda, quella messa in scena da Kozelek. Quella che non si specchia nel successo o nella ricchezza, ma si nutre di sconfitta e disperazione, spesso vuote. E Mark quest’America profonda la racconta con un cuore che non è mai stato cosi nero, quasi rivolgendosi necessariamente alla trilogia del dolore di Neil Young. Ne viene fuori un viaggio lungo l’America, dalle sponde dell’Ohio natio fino al New Mexico e ancora più a Ovest, scandito da un flusso di coscienza personale e accompagnata da un suono mai cosi nudi. Quasi doloroso. Un disco necessario, come lo sarebbe stato un libro di racconti di DJ Pancake o di Carver. Canzoni che segneranno il 2014, comunque vada.

On the Road with Mark

New Mexico Highway (land)

 

 

Il cielo promette tempesta. Come sempre, è lì oltre il mio finestrino che minaccia di mangiarsi la terra piatta sotto di sè. Amarillo e la striscia di terra ingenerosa del Dust Bowl sono oramai dietro di me. Di fronte, le montagne del New Mexico mi osservano minacciose. Intorno, un deserto non ancora scenografico a sufficienza da potersi dire veramente West, ma non per questo meno impressionante. Guido, ma la velocità di crociera rimane un’ipotesi e le informazioni del navigatore, una messinscena. Troppa strada dritta di fronte a me, che si perde nell’orizzonte senza trovare ostacoli che ne intercettino il suo inesorabile procedere, che ritornino un senso di movimento, di punto d’arrivo che mi sollevino dal senso di vuoto. Mani sul volante, Big Sky che avvolge tutto e il sole ancora indeciso se tornare a dormire anche stanotte e intanto disegna ombre e luci sulla terra nuda. Solitamente è in questi momenti che Mark Kozelek imbraccia la chitarra e canta. Le sue canzoni sono mari acustici dove si perde il senso del tempo che scorre, proprio come il motore della mia auto si arrende all’evidenza di un movimento che perde significato di fronte a tanto spazio. Solitamente, quando attraverso l’America, la mia idea di America, Mark Kozelek è con me. L’America, sì, l’America. Sentieri selvaggi non ancora setacciati dall’uomo. Sparuti inquilini provano ad addomesticarne lo spazio, declinando teorie di edifici finti e plastici, supermercati e catene di ristorazione sempre, ineluttabilmente uguali a se stessi. Insegne luminose promettono un approdo sicuro ai viaggiatori, per rassicurarli che quel mare di spazio non fa cosi paura. Ma quando si lasciano dietro quei pochi tentativi di maldestra e anonima umanità, è solo una linea retta che rimane a dividere cielo da terra e la mia auto e lì che si illude di macinare miglia. Tutto torna a perdere un possibile codice di sequenza, lo spazio ritorna a invadere le mie certezze e Mark Kozelek, inesorabile, ricomincia. Lui e la sua chitarra mi conoscono da più di vent’anni, quando si presentò come una risposta Americana ai dolori della New Wave inglese, o cosi ci fecero credere. Lui e i suoi Red House Painters da una parte e Mark Eitzel e gli American Music Club dall’altra. Dischi filigranati e virati seppia e malinconia torbida accompagnarono la generazione X di Douglas Coupland fuori dagli anni Novanta e raccontarono la caduta degli eroi post adolescenti “meno di zero” di Brett Easton Ellis. Narrarono notti senza luna di storie andate al diavolo e fegati alla ricerca di una precaria via d’uscita. Andai a cercare il significato del suo dolce dolore a Grace Cathedral Park, a San Francisco, dal titolo alla prima canzone del disco dell’Ottovolante. Semplicemente uno dei miei amuleti imprescindibili, quando si mette male. Conservo ancora una fotografia di quel posto, rigorosamente in bianco e nero. Un bambino e una bambina dondolano su un’altalena. La chiesa si staglia dietro di loro come un fantasma.  E poi ho navigato con lui lungo il fiume Ohio, ultima frontiera prima della frontiera vera e propria. Acque scure torturate e avvelenate dall’umanità industriale, ma dense di ricordi. Carry Me Ohio è una di quelle canzoni che vorresti non finisse mai, da navigare insieme a lui per sempre, perso lungo la corrente della memoria. Un avvoltoio mi guarda dal bordo della strada curioso e vigile, mentre punto il muso dell’auto verso Santa Fe. Mark, ancora una volta, canta e suona la mia idea di America che attraverso come uno spettatore bambino, pronto a sorprendersi ancora di non avere bisogno di altro se non di tuffarsi nello spazio orizzontale. Mark Kozelek ha recentemente pubblicato il suo disco definitivo. Benji. Un disco dove i fantasmi della sua America prendono il sopravvento, le canzoni diventano pagine di un romanzo di Cormac McCarthy e Mark finalmente si riconcilia con i grandi padri della musica Americana, Neil Young in testa. Doveva arrivare necessariamente qui. Ed io con lui. Dalle sponde ingenerose del fiume Ohio fino al New Mexico, in compagnia di parenti morti, ricordi d’infanzia, amici per la pelle, la madre sempre troppo lontana. Un’America che non cerca neanche più Gloria perché’ non l’ha mai meritata, che si declina lungo Strade Blu dimenticate dal traffico della vita. In I Watched The Film The Songs Remain The Same, una vera e propria carambola di pensieri che trova unica pietra di paragone possibile nel fiume di coscienza di Astral Weeks di Van Morrison, Mark dichiara che probabilmente la malinconia lo accompagnerà fino alla tomba. Dichiarazione di resa, comprensibile e doverosa. Si è sacrificato per me e per altri come me, lungo tutti questi anni di solitudine, di esistenza al margine di una qualsiasi ipotesi di felicità, per esserci quando ne avremmo avuto ancora bisogno. Perché, comunque, alla fine, la strada dritta si staglia di nuovo di fronte a noi, il cielo ricomincia ad invadere lo spazio ed è di nuovo ora di andare con Mark al fianco e l’America in faccia. E allora, mentre cerco di trovare un significato a queste miglia che m’illudo di percorrere, mentre so in cuor mio che è l’andare più che la destinazione la vera ragione del viaggio, mi chiedo se ci siano altre idee di America. E vi chiedo se abbiate voglia di condividerle. Che ne abbiate respirata l’aria durante un viaggio o attraverso immagini sognate dalla vostra cameretta salgariana, avvolti nella sua Colonna Sonora. Tanto il movimento, come detto, conta poco. Se avete una vostra America dentro, ditemela, senza paura. Con un pensiero corto o lungo che sia, senza timore di rivelarvi troppo. Mi aiuterà a capire di più il senso di questa strada dritta, che non vuole mai avere una fine. Aspetterò fiducioso.


L’ ultimo disco dei Mohicani

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Pubblicato nell’ottobre 2010, L’ultimo disco dei Mohicani (Castelvecchi), è il libro della piccola grande epopea di Backdoor.

Amabili deliri pseudo discografici, collezionisti al di là dell’immaginabile, umanità esorbitante. Commedia all’italiana e rock’n’roll.

Insomma, la versione Abatantuono di Alta Fedeltà di Nick Hornby.

Ormai ristampato in diverse edizioni, e attualmente disponibile in edizione economica (LIT, 9,90), è diventato un piccolo successo quando ha iniziato a far ridere anche chi non sapeva chi fossero gli Psychedelic Furs o non immaginava nemmeno che il vinile esistesse ancora (un classico “Ma quei padelloni li fanno ancora?”).

Presentato per quasi tre anni di fila in giro per l’Italia, è spiegato mirabilmente qui:

http://www.youtube.com/watch?v=dI38YLfCjww

Imperdibili gli Offlaga Disco Pax che adottano uno stralcio del libro, Beissline, per il bis del loro Prototipo Tour del 2010

http://www.youtube.com/watch?v=Ocz6LWjx7OA

e qui, due highlights dal Mi Ami Festival di Milano del 2011.

Reading con il fido Paolo Spaccamonti

ed Emidio Clementi ospite per Cloaca

http://www.youtube.com/watch?v=_hOqzaxm3-U

e Stefano Pilia per Beissline

Ne volete una copia autografata e/o con dedica?

Basta chiedere e ve la spedisco

Maurizio Blatto

MAURIZIO BLATTO mancini

 

Maurizio Blatto

L’ULTIMO DISCO DEI MOHICANI

 

Backdoor, Torino: siamo aperti. A cosa? Grossomodo a tutto. E a tutti. In particolar modo a quelli che davvero non pensavate potessero esistere. E invece esistono, sono il variopinto circo di clienti – più o meno occasionali, più o meno appassionati, più o meno folli – di uno storico negozio di dischi specializzato in vinile e intento a vivere l’amore per la musica dall’altra parte della barricata: un luogo talmente vero e talmente incredibile da essere più pop di un coretto dei Beach Boys. Ecco, allora, sfilare il piastrellista devoto al funky e alle donne di colore, l’audiofilo sorpreso dalla moglie con uno stereo in un appartamento affittato di nascosto e l’uomo che ha inventato i Massive Attack. Per non parlare dell’immigrato slavo che voleva morire sotto la sezione reggae, dell’indomabile Sentimentalista o del fan degli Alarm con documenti compromettenti per la FIAT…gente strana?

Se la pensate così, non vi siete mai trovati di fronte a quei clienti che, incerti su cosa comprare, hanno chiesto: “Ma Che Guevara ha fatto più niente?”.

 

 

 


Privè marzo 2014

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(foto di Roberto Zava)

Alla fine ho chiuso il santuario. Sono stati bei momenti, ma ho temuto di vedere i pullman parcheggiati nella piazza deserta del mercato con i cartelli stile “Pellegrini Santa Bilinda”. Non che fosse una cattiva idea, magari si potevano stampare dei santini tascabili con il tacco sulla pedaliera, sulla falsa riga di quelli che si muovono in una specie di tridimensionalità a poco prezzo. Una volta ne ho visto uno di Padre Pio, se lo spostavi apriva e chiudeva gli occhi. Quando era in fase “palpebra calata” erano velati di sangue, tipo Walking Dead. Non ho dormito per alcuni giorni. Comunque, lo ripeto, ci siamo divertiti. La gente veniva e adorava. Alcuni fedeli si sono uniti on line, grazie alle icone esibite sul sito. Più o meno tutti hanno detto la loro. Alcune perle:

 

-       Lo smemorato. Deciso: “Me la ricordavo diversa nelle Breeders”

-       Father & Son. Entrano padre e figlio. Father: “Rifatti gli occhi, figliolo, ma sappi che è soprattutto una grande chitarrista”. Son: “Papà, ha le stesse scarpe di zia”. Silenzio. Father:“ Andiamo va, che mi è crollata la poesia”.

-       L’esperto terminale. “Sì, ma lo shoegaze è un genere sopravvalutato. Tutti a copiarlo, a sbavare per questa qua, quando ci sono stati musicisti dell’area illbient che la gente si è scordata dopo cinque minuti”.

-       She & Him. She: “Certo che voi maschi siete tutti dei fenomeni, basta che una abbia una gonna corta e un paio di tacchi e non capite più niente. Se hanno vent’anni poi, potrebbero anche non saper suonare”. Him: “Ti sbagli. Qui, com’è scritto, è la pedaliera il vero oggetto erotico. E poi ha cinquantadue anni”. Di nuovo, silenzio. She: “Mah, andiamo che poi chiude la Coop”.

-       Il transustanzionista. (via mail dal Texas, voi sapete chi…). Da quando è uscito mbv e i My Bloody Valentine si sono improvvisamente ri-materializzati dopo tutti questi anni è oramai chiaro che Kevin Shields non esiste più. La sua natura ha subito l’ovvia transustanziazione nelle molecole di feedback di queste canzoni aeree attese per decenni. Il suo corpo aereo dissolto in un cataclisma celeste di rainy guitars. Non crediate di averlo visto sui palchi di mezzo mondo nel 2013. E’ chiaramente un sosia tirato fuori ad arte perché’ il rock ha bisogno di fisicità, si nutre di riferimenti. Kevin e il suo ciuffo anfetaminico sono oramai da un’altra parte, immersi nel suono puro. Non ci resta che Bilinda. Ripresa nel dettaglio come mai prima, nelle foto che accompagnano recensioni del disco e cronache dei concerti. Con la sua chitarra tenuta bassa sotto la cintura, come lo sguardo che continua a inseguire la punta delle scarpe. Bilinda, ah Bilinda. Un angelo caduto dal cielo, perduta in uno squat a Brixton con suo figlio Toby, appena nato. Eserciti di siringhe infette e montagne di droga che minacciano di scalfirne invano la sostanza eterea. La sua sostanza eterea sopravvivrà’. Bilinda, obbligata a svegliarsi di botto alle sette di mattina e registrare la sua voce per catturarne l’essenza del sogno in quelle canzoni che si dichiaravano Loveless, senza amore, perché assolutamente oltre un amore sillababile dagli umani. Bilinda tirata su a studi classici e Bauhaus. Sostanza mondana di un sogno altrimenti etereo. Oramai, rimasta sola a dare traccia di una qualche esistenza terrena per quell’entità My Bloody Valentine altrimenti non rintracciabile. Bilinda, Dolce Stil Novo cantato da ogni fan indie pop, si dà con grazia a ogni scatto fotografico e spinge il pedale con il tacco, ogni notte, per provare di nuovo a dare sostanza all’eco di Kevin, oramai perduto fra le stelle di un suono che non riesce a venire a patti con la materialità. Ah Bilinda. Ci mancherai, lo sappiamo già ora, quando ti dissolverai anche tu in un mare di suono e della tua essenza angelica ci rimarrà l’eco di un paradiso innocente. Scorporata nelle linee parallele del tremolo, come un’onda anomala. Sarai la sostanza di poeti che cercheranno di disegnare il tuo profilo fra le stelle, senza riuscire a catturarti mai.

-       Il concreto. (via mail, non saprei da dove). “Diofà! Grazie”.

-       Il filo-friulano. (via mail, luogo sconosciuto). “Non mi sorprende te l’abbiano mandate dal Friuli, ho tanti amici là”. Chiedo un filo di spiegazione alla cosa, ma non risponde al mio messaggio.

-       Il monotematico. “Bella, e brava. Puoi chiederle se ha degli ep dei My Bloody Valentine, ma solo stampe originali, da vendere?”. Faccio presente che non è reale, ma si tratta soltanto di una foto. “Ah, pensavo comunque avessi un contatto”.

-       L’utilitarista. “Grandissima chitarrista. E indubbiamente, bel personale. Sono immagini che torneranno utili nei momenti difficili, come le ultime pagine di Rockerilla degli anni ottanta. Quelle sul metal, con le tipe bionde con i bikini striminziti di pelle nera borchiata”. Tutti i presenti annuiscono in silenzio.

Non male, no? È pur sempre primavera, fioriscono gli alberi di pesco e sbocciano i feedback sugli amplificatori. Godiamoceli.

Playlist:

cose che mi sono piaciute:

Dischi:

Sun Kil Moon Benji (Caldo Verde)

L’album definitivo di Kozelek. A breve, una lunga riflessione sul disco firmata dal nostro collaboratore di lusso: Il Direttore.

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Aidan Moffatt/Bill Wells Everything’s Getting Older (Chemikal Underground)

2011. L’ex Arab Strap e il Morricone di Scozia.I rapporti umani messi a nudo totale. Vale la pena tornarci ogni tanto.

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Selfimperfectionist w/ ILM :act :reshape (L.M.H.)

Il reshape dell’esordio di selfimperfectionist. Tooting Park Station si riempie di nuovi suoni. Un po’ più tenera è la notte.

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Weekend The ’81 Demos (Blackest Ever Black)

La naturale prosecuzione degli Young Marble Giants. Arte minimalista.

weekend 81 demos

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bill Callahan Have Fun With God (Drag City)

“Dream River In Dub”, avverte lo sticker. Ma è un dub notturno, senza sole, quasi morbido. Ipnotico.

callahan

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Libri:

 

Michael Sandel Giustizia – il nostro bene comune (Feltrinelli)

Filosofia politica e morale, Harvard. I diritti dei singoli e l’utilitarismo, agganciati alla realtà. Illuminante.

 

m sandel

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Altro:

 Corrado Augias: “Io ti voglio bene, Corrado Augias. Mi piace quello che dici, ma soprattutto come lo dici. Quell’italiano così fluido e impeccabile. Il timbro sopraffino della voce. Come metti a posto cretini e maleducati con risoluta eleganza. Ti prego, proteggimi da quelli che mi scrivono le mail e scrivono fiume Po’ con l’accento, dai barbari dei forum, dai telecronisti di calcio che urlano e dicono “spizzata del difensore”. Ma cos’è una spizzata, Corrado Augias? Me lo dici tu com’è stato possibile lasciare entrare questa parola nel nostro lessico quotidiano? Grazie, grazie di tutto, Corrado Augias”.

 Augias