Privè febbraio 2014

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(foto di Roberto Zava)

Lo so, questo è il privè di febbraio e siamo al 13 di marzo. Non va bene. Ma è stato un mese complicato. Impegni a valanga, ho consegnato un libro nuovo, si è rotta la lavastoviglie, abbiamo perso il derby (come sempre). Insomma un sacco di doveri imminenti e guai assortiti. Quel genere di settimane in cui vagheggi di andare a vivere su un alpeggio, in un salubre silenzio degno di un disco di Ryoji Ikeda (per esempio la colonna sonora di See You At Regis Debray, il nulla assoluto in ben due cd). Ritemprarsi la mente e forgiare il corpo: pii desideri inarrivabili. Hai sonno, troppi caffè e un malsano desiderio di vita normale, una roba stile fictionsuraiunoepoisubitoadormirenonvogliosapereniente. Sono segnali pericolosi. Intanto tiri dritto e ignori le occhiaie degne di Peter Murphy. Poi però, come sempre, succedono piccoli fatti miracolosi che ti salvano. Micro regali inaspettati. Apro la posta e trovo una mail di Andrea P. da Pordenone. È un cliente simpatico, mi ha ordinato già dei dischi in passato, condividiamo una passione smodata per l’ep dei Moin e ha anche un collega, Davide D., cui ho spedito diverse cose, tra cui un 10” della Backbeat Band. Insomma gente dai gusti raffinati e non disgraziati come quello che poco prima di controllare le mail mi aveva domandato “Raccolte per far ballare gli anziani? Ne abbiamo?”. Mentre mi chiedo che cosa ballino gli anziani (Rita Pavone? I Vanilla Fudge? Pipino e i suoi Pinguini?) e drammaticamente come (sostenendosi l’un l’altro? con il girello ospedaliero?), leggo il messaggio. Ma soprattutto, apro l’allegato. Sono foto del concerto al Kino Siska di Lubiana dei My Bloody Valentine. L’autore si chiama Roberto Zava e si vede che ci sa fare. Di solito le foto dei live sono sfocate da far schifo e qualcuno tenta sempre di giustificarne la pochezza con un pietoso “Ti piace l’effetto mosso? Non volevo fare il solito scatto banale in posa”. Le guardo, salto subito quella del venerabile Kevin Shields perché, come già detto altrove, mi ricorda Gianroberto Casaleggio e la cosa mi agita. Proseguo. Appare Bilinda Butcher. La sublime, meravigliosa Bilinda, dea di dolcezze assonnate (la svegliavano alle sette di mattina, per farla cantare in modo pigro e sensuale) e rumori assordanti (il feedback assoluto dei mbv). Ha un vestito corto e quello sguardo mite da frastuono imminente. Bellissima. Quindi eseguo un gesto da shoegaze al contrario: sono io a guardare le sue scarpe. Mi immobilizzo di fronte alla foto. Lo ammetto, sono l’esatto contrario di un feticista del piede. Anzi, mi fanno schifo i piedi e tutto ciò che li riguarda, donna e uomo, senza distinzione. Ribrezzo. Ma qui, in questo scatto che evidenzia il tacco di Bilinda sulla pedaliera, c’è della poesia. Arte, azzarderei. Eleganza e promessa. Le ho indossate per voi e adesso, con la loro semplice pressione, vi divoro le orecchie. Permetto al feedback di spazzar via le vostre ansie, affogate senza remore nell’onda degli amplificatori. E da là sotto afferrate appena la dolcezza delle mie parole. Con questo tacco, io vi salvo. Ok, sono “andato”, completamente bollito, in pieno delirio mistico shoegazistico. Sarà il mancato riposo, i troppi ascolti di Loose My Breath in gioventù, i capelli pettinati di lato e le Fender Jazzmasters allineate, non saprei, ma rimango comunque ipnotizzato. Immobile di fronte allo schermo. Mesmerizzato dalla calzatura che sprigionerà l’adorabile massacro. Non riesco ad alzarmi. Gli eventi e la triste realtà decidono per me e dopo una manciata di ore, mi stacco mio malgrado dalla postazione. Ma ci torno a intervalli molto brevi, felice della mia sindrome di Stendhal targata Creation. Ringrazio i benefattori friulani, guardo Bilinda e rispetto tutte le mie scadenze. Ma le voci iniziano a girare: “Mi hanno detto che hai delle foto interessanti nel retro…”, “Novità dei My Bloody Valentine…?”. Qualcuno ha fatto la spia o forse io in una sorta di veglia sonnambulistica mi sono lasciato scappare qualcosa. Ma non posso sottrarmi. E così disciplino delle visite guidate alle immagini di Bilinda. Decido io i tempi e le modalità. È una cosa a metà tra la comitiva giapponese al Louvre e i mistici post chiavate senza frontiere devoti della Madonna di Medjugorje. Per un’esperienza più completa, metto Soon di sottofondo. Guardo le espressioni, memorizzo i commenti, finiranno forse nel prossimo privè. I devoti aumentano. Le sacre icone sono state rese qui disponibili. Guardate le foto e convertitevi, non è mai troppo tardi per abbracciare una fede consona ai vostri meriti. Fatelo, For the love of Bilinda.

 

Playlist:

 

cose che mi sono piaciute:

 

Dischi:

Liminanas Costa Blanca (Trouble In Mind)

Duo di Perpignan tra garage fuzz, (molto) Gainsbourg e cinematografia italiana. Tres cool.

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Morrissey Satellite of Love (Parlophone)

Assolutamente inutile. E come tale, adorabilmente imperdibile.

 ET+Morrissey+Satellite+Of+Love+Live

 

Libri:

 

Aleksandar Hemon Il libro delle mie vite (Einaudi)

Ennesimo gran libro di auto biografia travestita da romanzo/racconto. Cosa significa sentirsi stranieri, come scoppia una guerra.

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Altro:

 

I Perturbazione a Sanremo. Vederli così eleganti e con una canzone “più loro” di quelle recenti è stata una bella soddisfazione. Non guardavo Sanremo da quando ha vinto Alice ed è stata una prova disumana. Certi passaggi mi hanno ricordato alcuni esperimenti di rettocolonscopia telepatica.

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Correndo nella terra di mezzo – Il Direttore risponde (Gennaio 2014)

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Di solito vado a correre davanti a casa. Qui nel mio asettico paradiso terrestre, a Houston, Texas. Un anello da un miglio che circonda il parco con il campo da tennis e da beach volley e lo spazio recintato per i cani, davanti a casa. Tutto ovviamente sempre, inesorabilmente al suo posto, niente cartacce buttate a terra, nessun rumore molesto, la solita quiete artificiale di un paradiso terrestre del Nuovo Mondo. Gli incontri più bizzarri che puoi fare lungo i quattro giri con cui normalmente mi convinco di aver fatto sufficiente esercizio fisico, sono vecchie signore che passeggiano in tuta con la stessa convinta intensità con cui affronterebbero una maratona. Perché per gli americani il jogging, come la cucina macrobiotica, è un’esperienza da affrontare con dedizione sacrale, zero dubbi e un unico chiaro obiettivo in testa. Bruciare calorie e perdere peso, senza chiedersi troppo se il processo per arrivarci debba anche essere un minimo piacevole. Se no, tanto vale fare come una mia vicina che, per compiere i cento metri che dividono la sua villetta dalla cassetta della posta, si mette al volante della sua Mercedes e guida per quei cinque secondi che le servono a coprire l’apparentemente importante distanza. O bruci calorie in modo rigoroso o inizi a lavorare per diventare uno di quei personaggi grassi e incapaci di camminare che popolavano il cartone animato Wall E. Io più prosaicamente corro, sbuffo e sudo. E ascolto musica. Di tutto. Ho provato 45:33, il pezzo di LCD Soundsystem commissionato dalla Nike proprio per il jogging, accorgendomi che già avvicinarsi al quarantesimo minuto non era poi così ovvio. Ho provato con la techno, da Terrence Dixon alla Basic Channel, illudendomi che i bpm potessero dettare il ritmo della mia corsa. Ho deviato su Rashad Becker o Carlos Giffoni quando mi rendevo conto che le anse dolci del pop finivano solo per impigrirmi e lasciarmi il latte alle ginocchia. Qualche giorno fa ho messo in cuffia Extended Plays dei Cheathas, collezione di numeri di shoegaze melodico che si abbevera alla sacra fonte degli indipendenti anni ’90 americani, passato praticamente inosservato nelle classifiche di fine anno 2013. Ascoltando i Cheatahs in cuffia mentre corro e ansimo al buio della sera, mi é venuta, forse favorita anche dall’iperventilazione, un’improvvisa illuminazione. Questa é musica che fa proprio dell’essere nel territorio di mezzo e della sua non definizione, la sua forza. Con la melodia che spinge per prendere il primo piano, rompendo il muro delle chitarre, sulla traiettoria che partiva dagli Husker Du (quelli di Grant Hart) e arrivava a Lemonheads e Dinosaur Jr. Mentre cerco con lo sguardo l’orizzonte, sperando che arrivi prima che il mio fiato si esaurisca, penso che le secche del territorio di mezzo non abbia più voglia di attraversarle nessuno, perché alla fine, nell’epoca dorata del “tutti hanno una voce” si “riesce” solo se si decide di essere perfettamente ben definiti.  A ognuno la sua pillola. Se ti piacciono i motherfucker fighi e luccicanti, ti tocca Kanye West, se preferisci il sofisti-pop veleggia verso Beyoncè o Justin Timberlake. E tutti gli epigoni cercano di infilarsi in fretta e furia un vestito che imiti pedissequamente gli originali. Mentre i ribelli preferiscono rimanere fuori dal giro, dichiarandolo con suoni rubati all’agricoltura (scorregge, sifule o rumori vari) e dichiarazioni trionfali sul proprio sperimentalismo e non allineamento. Nessuno più sta scientemente in mezzo, nella terra dove si rischia l’indifferenza perche quello che fai non é pret-a-porter inscatolabile con una definizione veloce. E infatti quando ascoltiamo un disco come quello di HisClancyness ci sentiamo sollevati. Nell’era del consumo drogato di novità, bisogna sempre inventare per forza qualcosa o creare una nuova scena con cui creare spirito di identificazione. Tutto subito, senza la pazienza di far lievitare il senso delle canzoni, la costruzione dell’immaginario. Il terreno della non definizione non lo attraversa più nessuno e infatti post noise, emo chitarrosa e affini non interessano praticamente più. Bisogna tornare a imparare a perdere senza per questo esserne fieri, mi sussurro da solo mentre evito un cane e il suo padrone e provo a riconcentrarmi sull’ultimo ritornello che spunta dal mare delle chitarre dei Cheatahs. Ascolto con immenso piacere quel rumore melodico che i Cheatahs rimettono in scena con la coscienza di chi sa che non ha più nulla da perdere. Mentre sono all’ultima curva, e mi chiedo se essere semplicemente giovani, carini, disoccupati o Belli in Rosa fosse solo alla fine l’anticamera di una mezza età anonima e auto compiaciuta, senza letteratura, senza infamia ma soprattutto senza Gloria. Corro e sbuffo, sapendo che rimarrò senza risposta. Hanno cambiato le regole per rientrare nel Breakfast Club e probabilmente non ho ricevuto il memo. D’ora in poi, mi dedicherò allegramente al Cardiocombo, vero annientatore di calorie, perso in un mare di adrenalinici adoratori del work out, tutti superlativa convinzione e tute coloratissime. Ke$ha e i suoi umidi strilli adolescenti bombarderanno il mio cervello a tutto volume e un futuro scintillante sarà lì ad aspettarmi oltre il mio sudore tecnologico.

 (Il Direttore/Gennaio 2014)

 


Playlist Backdoor 2013

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Come sempre per ultima, ecco la playlist con i voti dei clienti di Backdoor.

Somma democratica delle vostre preferenze,

è questa volta arricchita dagli illustri commenti di qualcuno di voi.

Grazie.

VOTAZIONI BACKDOOR 2013

 

I migliori 20 dischi del 2013:

 

1- I Cani “Glamour

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Il disco che hanno votato tutti. Buffo che sia giudicato un lavoro pensato apposta per gli hipster e che stravinca in un negozio dove nemmeno la parola ha una sua vaga cittadinanza. Grandissime canzoni. Il tuono del synth e il dolore di Roma, oltre il gusto di appassionarsi a qualcuno che ha la metà dei tuoi anni. Il nostro 2013 è suo. 

2- My Bloody Valentine “mbv

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Il Sacro Graal del rock indipendente, atteso per decenni e agognato come impossibile chimera. Il ritorno di Kevin Shields vale molto di più del gossip che lo ha circondato. Il rapimento di Loveless che trova nuove forme, fra l’intenzione di continuare a guardarsi la punta delle scarpe incuranti del tempo che passa, e una voglia di esplorare teneri territori pop, senza paura del rischio. Un oggetto prezioso, oltre il tanto rumore per nulla, che esiste al di là della voglia di pensarlo un capolavoro in anticipo. Una ferita ancora meravigliosamente aperta. (Il Direttore)

 

3- Boards Of Canada “Tomorrow’s Harvest

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Un cammino disseminato di indizi e caccie al tesoro di dischi troppo presto diventati milionari. Attese create scientificamente ad arte. I fratelli scozzesi Eoin tornano sul luogo del delitto con la loro sinfonia aerea dove la struttura elettronica si perde in paesaggi pastorali che sfuggono ad ogni definizione. Una vera e propria sospensione sul mondo, impalpabili e in attesa di un futuro che non sappiamo dire. Alcuni ne riconoscono elementi cari alla library, altri la continuazione di un discorso che Aphex Twin iniziò tanti anni fa. L’enigma rimane, ma il viaggio continua ad affascinare. La perfetta colonna sonora per un tempo incapace di autodefinirsi. (Il Direttore)

 

 4- Baustelle “Fantasma

 

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La retromania è diventata un trend. Quasi che guardarsi indietro fosse l’unica salvezza per far finta che quanto ci attende più avanti non sia  ineluttabile. Lo sfogliare l’album dei ricordi diventa una scusa per impadronirsi dei cuori di eserciti di ascoltatori che vogliono trovare rifugio nel passato, non avendo chiaro che cosa possa essere il futuro. Library music, recupero a mani basse di ogni piccolo frammento sonoro perduto fra gli scaffali di radio e televisioni, edizioni limitate, box di trasmissioni radiofoniche gracchianti. Tutto fa, per sentirsi meno nudi alla meta, riscaldati dal soffio caldo di quello che eravamo. Allora tanto vale guardare a quei fantasmi senza paura, con l’assoluta certezza della loro fisicità, necessità, ora. Bianconi e i suoi amici dandy per la prima volta non scherzano, non sfogliano le fotografie in bianco e nero per farsi vezzo di sé davanti allo specchio. Il fantasma del De André di Storia di un impiegato è reale, cosi come la cronaca nera romana di un Gadda postmoderno o gli intermezzi d’archi da colonna sonora di un film italiano anni settanta che avevamo dimenticato troppo presto. In una parola, necessario. Un progetto di canzoni pesanti e solidissime dove l’Italia che voleva essere, l’Italia di un compromesso storico finito nel sangue, torna a riaffiorare fra le corde di un gruppetto di dandies che non si è piegato ancora alla vittoria del postmoderno. Forse, un disco cosi Bianconi e Rachele non lo faranno mai più.(Il Direttore)

 5- King Krule “6 Feet Beneath The Moon

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Giovanissimo e con una voce da orco. Billy Bragg & The Streets.

There’s a new boy in town.

 6- Prefab Sprout “Crimson/Red

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Un uomo solo nella sua torre d’avorio. Intorno, la campagna inglese, Langley Park, la stazione di servizio e lo zoo. Il compito arduo di dare un senso alto al concetto di musica Pop. La ricerca di Dio in una canzone e la santificazione dei suoi idoli, si chiamino Elvis, Abba o Jacko. L’arte magica di infilare il perfetto ritornello, di ricamare l’arrangiamento che ti fa capitolare. Un genio dell’artigianato pop che diciamo sofisticato, perché siamo a corto di definizioni adatte. Paddy McAloon assomiglia sempre di più a Mosè, ma è semplicemente uno degli ultimi geni del pop inglese. Ci lascia la sua ultima creazione di canzoni che guardano all’olimpo del Pop come estrema frontiera possibile. L’urgenza di un cuore impavido e mai sazio, che si abbevera alla stessa fonte che fu di Paul MCartney o di Jimmy Webb, e che continua a immaginare un mondo di tenere canzoni perfette. Cosa si può chiedere di più? (Il Direttore)

 

7- His Clancyness “Vicious

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Jonathan Clancy è una sorta di globetrotter dell’indie rock. Canadese di nascita, ha formato e militato in diverse formazioni e vive a Bologna da anni. La sua ultima creatura si chiama His Clancyness e annovera altri quattro membri, fra cui Jacopo Borazzo, ex Disco Drive. Le coordinate del suono His Clancyness sono quelle del rock obliquo firmato Pavement, Converse ai piedi e poca voglia di mirare in alto. Insomma, per tutti gli slacker rimasti orfani in un mondo di percorsi obbligati, una vero e proprio regalo. Interamente registrato nella wasteland post industriale di Detroit, Vicious è una collezione di numeri chitarristici non allineati. Dove quando si centrano melodie e frasi imperdibili, usando basso, chitarra e batteria, torna il sorriso e la giornata è salva. Insomma, se la vostra tazza di tè sono state Gold Soundz dei Pavement o Tiny Cities Made of Ashes dei Modest Mouse, Vicious è casa vostra. Difficile non capitolare davanti alla grazia di Machines o Run Wild, o non piangere di gioia abbracciando la nostalgia di mille primavere di Miss Out These Days. Indie Pop chitarristico sopraffino, merce rara in questi tempi randagi. (Il Direttore)

 8- Tim Hecker “Virgins

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Affiliato da sempre a un suono ambientale tipico dell’etichetta per la quale da anni produce, la Kranky, Tim Hecker, compositore canadese, arriva al suo lavoro più importante e, per certi versi, sorprendente. La sua cifra è sempre stata quella di un cut up di fraseggi ambientali e creazione di paesaggi sonori frastagliati che ne hanno decretato negli anni un certo riscontro critico per gli appassionati di musica sperimentale e avventurosa. Per questo lavoro Hecker unisce le sue visioni sonore con l’utilizzo del piano preparato e dei rumori ambientali, oltre alle orchestrazioni fisicissime e malinconiche di musicisti appartenenti alla Bedroom Community, piccolo comunità elettronica fondata dall’islandese Valgeir Sigurdsson. È proprio la meravigliosa alchimia fra gli scarti sintetici di Hecker e la scenografia d’archi avvolgenti impostata da Ben Frost, che genera passaggi brucianti da colonna sonora di una catastrofe scampata, in cui malinconia, senso di perdita e rinascita vivono e crescono insieme. Mai come in questo disco Tim Hecker riesce a ergersi come l’unico narratore di un possibile mondo nato vergine dopo i Disintegration Loops di William Basinski. Una fenice che nasce dalla macerie, pulita da qualsiasi ferita del ricordo. Un disco di una tenera e terribile intensità, in cui immergersi è un dolcissimo dolore. (Il Direttore)

 

9-Haxan Cloak “Excavation

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I primi minuti della nostra vita dopo la morte; l’inizio di un viaggio forzatamente inconsapevole registrato nelle ultime scariche elettriche del cervello, un percorso probabilmente dedicato alla “dialettica” tra oligodendrociti e cellule di Schwann. Il capolavoro di Bobby Krlic ci soprende ancora in vita e ci accompagna in un tunnel lugubre e glaciale dove avremo modo di riflettere sulla dissolvenza del nostro esistere, circondati da spettri sonori avvolgenti e droni impalcabili in un climax tanto seducente quanto spietato. Imperdibile, essenziale, definitivo. (Giorgio Pilon)

 10- Nick Cave & Bad Seeds “Push The Sky Away

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L’uomo è in gran forma

 11- Josh Rouse “Happiness Waltz

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Finalmente restituito alla melodia ovattata.

 12-Eleanor Friedberger “Personal Record

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La sorella Fiery Furnaces sguazza in mare power pop con impareggiabile bracciata sinuosa


 13- Daft Punk “Random Access Memories

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In un’epoca in cui i superlativi si sciorinano come fossero mance e il super io si nutre di elogi oltre logica, il duo francese che ha portato l’elettronica da ballo a non nascondersi più e a non temere l’eccesso, cambia il livello della sfida. Non più techno, non più french touch, ma una personalissima Disneyland dove i due monellacci robot giocano a piacimento con tutti i riferimenti possibili, sbattendosene altamente della mezza misura. RAM e’ comunque un monumento eccessivo che ha ovviamente diviso, la cui ansia di andare oltre, di non limitarsi, ha lasciato un po’ di adoratori per strada, impegnati a chiedersi se tutto fosse accettabile. Il racconto di Giorgio Moroder himself sulle istanze lontane di RAM, l’AOR elevato a valore di vita, Nile Rodgers, gli Steely Dan e la modernità che fa capolino solo attraverso gli ultrasdoganati Panda Bear e Julian Casablancas. E in mezzo, Pharrell e Get Lucky, un pezzo che semplicemente dà inizio alla festa. Un festa alla fine dell’universo possibile, senza potersi chiedere se ne valga o meno la pena, senza sapere cosa valga veramente la pena. RAM: l’unico monolite possibile per il crepuscolo del super Io, con due robot a guidare le danze. (Il Direttore)

 

14- Parquet Courts “Light Up Gold

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Wire, Feelies, Pavement, l’indie rock chitarristico tutto.

Will the circle be unbroken.

 15-Yo La Tengo “Fade

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Mai una delusione. Longevi e sempre ispirati.

 16-Massimo Volume “Aspettando i barbari

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Più sonici di sempre.

 

17-Fitness Forever “Cosmos

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Il Cane Ciuff potrebbe essere il tormentone dell’anno tanto quanto un sovradosaggio di zuccheri per un diabetico. Cosmos e le intenzioni di Carlos Valderrama e il suo combo di inguaribili romantici divideranno sicuramente. Come accettare un’ipotesi leggera di mondo vintage in multicolor quando il Paese reale affonda nel fango? In che modo abbracciare l’idea che la retromania è un vestito coloratissimo e la cocktail music un dovere morale? Probabilmente non ci sono risposte o forse tutte le risposte sono valide. Intanto la banda napoletana affronta la seconda bellissima fatica riuscendo laddove il primo episodio lasciava ancora qualche residuo dubbio sul puro esercizio di stile. Perchè qui è tutto una questione di stile. Gli Steely Dan e Napoli Centrale, Umiliani e Morricone, il concetto che la “elevator music” sia lì a proteggerci e noi non ce ne fossimo mai accorti. Il Cane Ciuff e il suo dolce pop domestico, ma anche la partenza jazzata in levare delle Intenzioni del Re, la sospensione tropicale di Vederti Distante che avrebbe fatto felice uno come Marcos Valle. La meraviglia assoluta di Laura, un aristocratico r’n’b bianco sincopato, che potrebbe aver chiuso Gaucho, definitivamente. Insomma leggerezza e profumo di Martini e Bacharach, ma anche una consapevolezza pop che cresce e lascia pregustare evoluzioni interessanti per Valderrama e soci. Sempre che il Paese non sprofondi o non cediamo alle ansie della pesantezza. Que viva Fitness Forever! (Il Direttore)

 

18- Pastels “Slow Summits

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Il ritorno di Stephen Pastel e il suo pop fatto di obliquità cercate, melodie prese sempre di sbieco, indolenza e poca voglia di luci della ribalta. È il pop britannico figliato dal dopo bomba della fine degli Smiths, con Sarah Records e Postcard come numi tutelari e lo shoegaze e la Creation come dirimpettai. Un arte di costruire canzoni pop apparentemente innocue ma che entrano dentro dalla porta di servizio, che genererà l’epopea scozzese dei Belle & Sebastian, di cui i Pastels sono fieri concittadini e progenitori. Qui, quella meravigliosa indolenza pop è intatta, fra canzoni dolci, chitarre di velluto e un cubismo melodico che sfugge alle definizioni. Burt Bacharach a passeggio con i Pavement, l’etica delle piccole cose e una dolce ribellione al mondo delle certezze e dell’individualismo vincente. Vette basse, per chi alla corsa senza freno della vita preferisce continuare a leccarsi dolcemente le ferite. (Il Direttore)

 

19-Jonathan Wilson “Fanfare

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I cancelli di Laurel Canyon.

Al mantello di Neil Young si aggiungono le dolcezze del pop anni settanta

 

20- Bill Callahan “Dream River

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Cantautorato da jazz spirituale.

Il fiume dei sogni: Smog on the water.

 

 

Miglior concerto dell’anno:

 

1- Offlaga Disco Pax (cortile della Farmacia, Torino, 4 luglio)

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2-I Cani (Hiroshima Mon Amour, Torino, 29 novembre)

3-Scout Niblett (Blah Blah, Torino, 16 novembre)

 

Miglior canzone dell’anno:

 

1-Daft Punk “Get Lucky

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2-Cosmo “Ho visto un dio

 

Miglior EP dell’anno:

 

1-Spaccamonti/Pilia “Split

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2-Moin “EP

 

 

Miglior disco italiano dell’anno:

 

1-I Cani “Glamour

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2-Massimo Volume “Aspettando i barbari

 

Miglior ristampa dell’anno:

 

1-AA VV “Mutazione (italian electronic and new wave underground 1980-88)”

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2-AA VV “Scared To Get Happy” (a story of indie pop 1980-1989)”

Disko-minkia:

 1-Perturbazione “Musica X

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Risultato doloroso. I Perturbazione sono sempre stati nei primi dieci della nostra classifica, sempre. Trovarli qui è un misto di delusione da innamorati e sgomento per il cambiamento. Come dire, Luca Carboni no. Quei synth dance che girano a vuoto, nemmeno. Tra poco saranno a Sanremo e ci costringeranno a comprare Sorrisi Canzoni e TV per vederli in copertina e a tifare per loro in una manifestazione dove ha vinto Alice l’ultima volta che l’abbiamo seguita. Perché gli vogliamo ancora bene, e quindi gli auguriamo Buon Giorno, ma soprattutto Buona Fortuna.

 

Il tributo:

(Sei incaricato di produrre un disco tributo. Puoi scegliere. A chi? Quali gruppi e per quali canzoni (numero a scelta)-esempio. Tributo ai My Bloody Valentine: Pavement “Soon” ecc… ma anche Tributo a Mino Reitano: Black Flag “Gente di Fiumara” ecc…)

Tutti molto “creativi”.

Sarebbe una meraviglia vederli realizzati.

Eccone una selezione:

 XXI Aprile 753” tributo a Gabriella Ferri

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Chitarra Romana” In The Nursery

Tanto Pè Cantà”  Boyd Rice & Friends

Alla Renella”    Triarii

Sinnò Me Moro”   Sol Invictus

Sor Fregnone”    Ian Red

Er Cortelluccio” Blood Axis

Quanto sei bella Roma” Ain Soph

La Società dei Magnaccioni” David Tibet (solo)

(Giorgio Pilon)

 

Tributo ai Talk Talk

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Talk Talk” Japandroids

Eden” Low

After The Flood” Robert Wyatt

Happiness Is Easy” Antony & The Johnsons

Desire” Swans

Life’s What You Make It” Tool

New Grass” Radiohead

It’s My Life” Bill Callahan

The Rainbow” Oneohtrix Point Never

Ascension Day” Mogwai

Such A Shame” Tindersticks

My Foolish Friend” Liars

I Believe In You” Goodspeed! You Black Emperor

Runeii” Burial

(Stefano Bianco)

 

Oh! The Songs Of Lucio Battisti” tributo a Lucio Battisti

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Nessun dolore” Daft Punk

I giardini di marzo” Tindersticks

Ancora tu” Prefab Sprout

Il nostro caro angelo” Josh Rouse

Fatti un pianto” Pet Shop Boys

Con il nastro rosa” Steely Dan

Anima latina” Marcos Valle

Due mondi” PJ Harvey & Nick Cave

The Rainbow” Oneohtrix Point Never

Sì, viaggiare” Pavement

Il tempo di morire” Captain Beefheart

E penso a te” The Blue Nile

La canzone del sole” Kurt Cobain e I Camillas

(Il Direttore)

 

 

My Own Private This Mortal Coil“ 

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Gymnopedie No.1” Ultramarine

Save A Prayer” Robert Wyatt

69 anne erotique” Morrissey and Elizabeth Frazer

Computer Love” Offlaga Disco Pax

Walk On By” The Pastels

Get Lucky” Prinzhorn Dance School

Tainted Love” Edwyn Collins

Lost In Music” Low

In The Air Tonight” Scritti Politti

The lamb Lies On Broadway” The Fall

(Bruno Grassone)

 

E in chiusura,

qualche bonus track firmate da

Il Direttore:

 

 Rainforest Spiritual Enslavement

Black Magic Cannot Cross Water

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Qui si cerca sempre di cristallizzare i periodi di gloria musicale che la nostra piccola bottega si vede passare attraverso, marchiandoli a fuoco con le etichette che li fotografano. È stato così per il suono dell’aspirapolvere della Load, la carambola new wave della Captured Tracks e oggi è ancora così per il rigore oscuro e post industriale della Blackest Ever Black, l’etichetta più nera che ci sia sul pianeta terra. Dal ventre della bestia del sud dell’Inghilterra, con ancora fra le dita la fuliggine della Sheffield dei Cabaret Voltaire e nella testa i rintocchi lugubri della fabbrica di carne dei Throbbing Girstle, un manipolo di compositori elettronici si mettono al banco e disegnano il nulla dell’Europa della crisi. Un vuoto nero pneumatico, dove non c’è spazio per la danza. Ipotesi di colonna sonora per il crollo del capitalismo nell’emisfero occidentale, disegnato con un rigore in bianco e nero che non resta che ammirare, per chi ricorda le gesta di altre factories eroiche come Fast Products o New Hormones. Dalla fucina mai eccessiva ma puntuale della BEB, eccovi il definitivo viaggio terminale del Colonnello Kurtz. Solo l’introduzione vale il prezzo del biglietto “raccolto da una serie di cassette ritrovate in un mercato di Port Moresby, probabilmente registrate durante gli anni ’80 da un gruppo di missionari cristiani prima della loro inspiegata scomparsa”. C’è bisogno di altro? Dentro sinfonie di pioggia tropicale, paludi infestate da coccodrilli e cuore di tenebra. Abbandonatevi. 

Dean Blunt “The Redeemer

 dean blunt

 

 

 

 

Il maschio dell’enigmatico duo Hype Williams alla prima vera prova solista. Alfieri dell’ala più narcolettica del fenomeno ipnagogico. Canzoni precarie che spariscono prima di darsi forma, suoni che consciamente ambiscono a muzak da sottofondo di vite frenetiche. L’era dell’Ipad rallentata da un trip hop vaporoso e sfuggente. Qui si parla d’amore, ma quando finisce. Messaggi lasciati in segreteria, conversazioni tagliate sul filo e piatti che si rompono intramezzano spezzoni di canzoni mai paradossalmente cosi a fuoco. Tappeti di archi che guardano a David Axelrod come a un DJ Shadow a corto di vinili con cui giocare. Senso di abbandono e dolcezza. Love will tear us apart.

 

Rhye “Woman

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Velluti, luci soffuse e caldo uterino. Everything But The Girl e Sade declinati elegantemente per questi tempi angusti. Un’eleganza quasi sovraesposta per canzoni che partono dall’r’n’b, ma arrivano in camera da letto con sospiri jazz che leccano le ferrite, dolcemente ma in profondità. Da rimanere in cameretta quando fuori piove, meglio se non da soli. E One Of Those Summer Days è proprio il vento caldo di un’estate al tramonto che vorremmo non finesse mai.

 

Hjaltalin “Enter 4

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Band islandese che si svelò al mondo come collettivo orchestrale ricco e quasi sinfonico, ma che con Enter 4 fa il suo ingresso di diritto nell’Olimpo del Pop d’autore. Canzoni che si portano dietro la sensibilità fragile e intensa di certi cuori nordici come Kate Bush o Jonsi, ma risolvono una sensibilità barocca in numeri di pop adulto che osano anche guardare a gente come Prefab Sprout o Donald Fagen. I Feel You o Myself si nutrono ancora di quelle velleità quasi “da camera”, ma scoprono dettagli AOR e spunti di pop jazz che sorprendono per la certosina capacità di amalgama. Uno dei dischi più eleganti dell’anno.

 

I Camillas “Costa Brava

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La  loro fortuna è di non sapere che sono bravi. Il duo marchigiano di stralunati musicisti al ribasso, anti figure quasi felliniane che usano il lo-fi come nessun altro nella penisola, arrivano alla seconda prova in lungo. Dopo un primo disco che ha trovato un pubblico improbabile, dai bambini che imparavano a memoria i loro testi surreali ad adolescenti senza speranze che ne sposavano le istanze di totale disallineamento, i due pseudo fratelli qui, forse senza accorgersene, iniziano a fare sul serio. Canzoni che si muovono su frasi acustiche che scelgono la malinconia e lasciano da parte il gioco, parole da ricordare a memoria e numeri quasi battistiani per un duo che continua a prendersi gioco di sè, quasi più per difesa che altro. Per quanto riusciremo ancora a proteggerli?  

 


Privè gennaio 2014

Postato il

congelato

Dobbiamo andare a sciare. Insisto sul verbo e sulla sua declinazione, “dobbiamo”. Non ci domandiamo realmente perché, ma andiamo. Forse la nostra ubicazione alpina, l’horror vacui dei week end da pianificare, non saprei. Non piace realmente a nessuno di noi, costa delle cifre insensate, arriviamo a fine giornata stremati. Innervositi. Io, di sicuro. Ho soprattutto male ai muscoli dorsali, ma non per l’attività sportiva, quanto per le pause, in cui il freddo mi assale e cerco di rannicchiarmi, di fare entrare la testa come un carapace abbandonato alle Isole Faroe. Oggi la giornata è meteorologicamente drammatica, tira un vento polare in direzione orizzontale. Temo possa amputarmi il naso. Nevica sottilmente, in un modo maligno, come mille spilli buttati a caso. Ma a caso nemmeno troppo, perché diversi mi arrivano dritti in faccia. Tengo duro pensando al nuovo disco di Malkmus, quell’uomo mi mette di buon’umore. Il suo recentissimo Wig Out At Jagbags me l’ha restituito in grande forma, con l’eco dei Pavement e i vantaggi delle frequentazioni con Beck del precedente Mirror Traffic. Un signor disco. E quello ascolterò negli spazi vuoti di questo nulla innevato e inospitale. Lì troverò riparo e comprensione. Scarico dal bagagliaio i caschetti delle bambine, le maschere, il borsone con i doposci e, infine, il mio zainetto. Dentro ho guanti, sciarpa, due bustine di Oki per l’inevitabile emicrania, il Venerdì di Repubblica e, cristo, non c’è l’iPod. Non posso crederci, l’ho dimenticato. Niente Malkmus. Si mette male. Ci sono persone che non conosco, vengo presentato. Come al solito equivocano la mia passione musicale, il fatto che quella sia la mia professione. “Ti piace Lorde?”. “Non lo conosco”. “Ma non è una ragazza?”. “Non la conosco”. “Mia figlia ascolta solo Lady Gaga. Io la trovo geniale, che ne pensi?”. “Non ne penso”. Chiedetemi qualcosa di Malkmus, vi prego, qualsiasi cosa. “E Avicii?”. “Non lo guardo, mi ripugna. Detesto Maria De Filippi. “Ah! No Amici! Avicii, quello di Hey Brother”. “Non ho la minima idea di chi sia”. È chiaro a tutti come io sia un disadattato, non so nulla della musica che funziona, davvero nulla. E la cosa buffa è che non lo faccio nemmeno apposta. Non la incrocio mai, mi dedico sempre alle mie cose, ai miei adorabili gruppi minori. Manco un gesto snob, è che mi piacciono davvero e il resto, banalmente, non mi interessa. La temperatura, intanto scende, e ripariamo in una specie di brasserie. Siamo in Francia. Un toast o meglio, un croque monsieur come lo chiamano qui, costa nove euro e cinquanta. Niente male. Il locale è pieno e i video trasmettono partite di calcio inglese e triathlon. Tranne uno, che alterna video musicali. Al momento, a sorpresa, c’è Billy Joel. Sperare nel video di Lariat, il singolo di Malkmus, mi pare davvero troppo. E pensare che sarebbe appropriatissimo, ci sono ragazze con maglie a righe anni sessanta e i sottotitoli proprio in francese, varrebbe come un raggio di luce in questa spianata degna di Amundsen. E poi, come sempre, avviene l’imprevedibile. Tutti gli schermi e dico tutti, si sintonizzano improvvisamente sul video di Boombastic. Non posso credere a quello che sta succedendo: un gruppo di inglesi sbatte i boccali di birra a tempo, dal fondo della sala iniziano a urlare mister lova lova, un paio di francesi mi dicono “Cette chanson est magnifique, nous adorons tous Shaggy!!!”. Tutti adoriamo Shaggy? Una bionda con doposci fuxia si mette a ballare, mentre Shaggy fa dei gesti incomprensibili con la camicia aperta in televisione. Si stanno divertendo come pazzi, si muovono a tempo persino due settantenni mummificati dal gelo che fino a pochi minuti prima credevo fossero stati ibernati per ragioni medico religiose. Shaggy è il comun denominatore di questo piccolo parlamento europeo di fenomeni in paraorecchie e giacche imbottite di piume d’oca. E io sono fermo e desidero Malkmus. Lo ripeto, un disadattato. Per giunta la mano destra mi sanguina, perché mi sono ferito mentre tentavo di stringere gli scarponi a mia figlia. Ho male. Shaggy la finisce, se dio vuole, e tutto, come d’incanto, torna alla normalità. Il video vicino a me si sintonizza sulla partita dello Swansea. Fine. A breve cala il buio e la temperatura diventa insostenibile. Torniamo a casa, in macchina tutti dormono. Parcheggio, salgo, entro. Mi faccio una doccia, mi sdraio e recupero il mio iPod. Folder, H-I-L ecco, M. seleziono Malkmus. Ce l’ho fatta, ho atteso questo momento per tutta la giornata. La prima canzone è Planetary Motion, dura tre minuti. Al quarantaduesimo secondo sto già dormendo.

Playlist

(cose che mi sono piaciute)

 

Dischi

 

Stephen Malkmus & the Jicks Wig Out At Jagbags (Domino)

Bè, se avete letto sopra, non credo di doverlo spiegare.

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Altro Sparso (la Tempesta)

I singoli delle “stagioni” più due inediti. E la confezione con la ragazza che abbraccia il cd.

Altroché.

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T-Rex Electric Warrior (Warner Bros, 1971)

I danced myself out of the womb.

Is it strange to dance so soon.

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Lucio Battisti Vento nel vento (1972)

Banalmente, una canzone meravigliosa.

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Libri

 

Sam Knee A Scene In Between (Cicada)

Foto dalla scena indie inglese dal 1983 al 1989. Formidabili quegli anni.

scene

 

 

 

 

 

 

 

 

Peter May L’uomo di Lewis (Einaudi)

Ebridi, costa occidentale scozzese.

Il corpo di un uomo con un tatuaggio di Elvis viene trovato sepolto nella torba

 

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Carlo Bordone Cinquanta per ‘60 (Guide pratiche di Rumore)

Scritta e impaginata benissimo. Propositiva, mai banale.

In allegato a Rumore di gennaio.

Ci sono dentro Attilio Mineo e Margo Guryan, non aggiungo altro

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altro

 

i tennisti svizzeri

Sua Maestà Roger Federer e Stan ‘The Man’ Wawrinka.

Comunque vadano gli Open d’Australia, grazie di tutto.

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wawrinka

 

 

 

 

 

 

 

 


Cinquanta per ’60

Postato il

Venerdì 10 gennaio al Circolo Arci Casseta Popular

(Via Tripoli 56, Grugliasco) alle 21,30:

presentazione di “Cinquanta per ’60″ guida pratica del nuovo Rumore  rumoremag.com scritta da Carlo Bordone.

Saranno presenti l’autore e una parte della redazione di Rumore (Rossano Lo Mele, Maurizio Blatto…).

I 50 dischi cult, oscuri, da riscoprire dei 60′s.

Preparate il vostro…

cinquanta per '60


Votazioni

Postato il

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Tempo di playlist.

Come da tradizione, attendiamo i vostri voti

ecco la scheda

 

VOTAZIONI BACKDOOR 2013

 

Migliori 10 dischi del 2013:

(I professionisti del genere possono spingersi fino a 20)

 

 

 

 

 

 

 

 

Miglior concerto dell’anno

 

 

Miglior canzone dell’anno

 

 

Miglior disco italiano dell’anno

 

 

Miglior ristampa dell’anno

 

 

Disko minkia

 

 

Il tributo

Sei incaricato di produrre un disco tributo:

Puoi scegliere. A chi?

Quali gruppi e per quali canzoni (numero a scelta)

(esempio. Tributo ai My Bloody Valentine:

Pavement “Soon” ecc… ma anche Tributo a

Mino Reitano: Black Flag “Gente di Fiumara” ecc…

 


auguri!

Postato il

foto dalla festa di Natale

alcune novità gastronomiche (la torta di cioccolato belga, la colomba natalizia (?!!?), il pandoro di farro), svariate eccellenze alcoliche e la consueta e straordinaria cerimonia dei regali made in Texas. Un successo.

e quindi, felice 2014 a tutti

 

brindisi

 

foto5

m & a

 

b & l

 

a f

 

d & s

 

orl

s b

1

f jok


Gran Galà

Postato il

 

 

 

Funny-Christmas-Cartoons-2

Nel ricordarvi che Backdoor sarà aperto anche domenica 22

e tutto lunedì 23 e 24

Vi invitiamo al Gran Galà di martedì 24 mattina (dalle 11,30 in poi)

Abituale bicchierata indie rock con contorno di panettone di farro,

Spumante Villa Jolanda (o vitigno di pari levatura),

regali (per chi se li è meritati) made in Texas,

compilation di Natale e imprevisti assortiti

Vi aspettiamo

Signor Franco e Maurizio


Privè dicembre 2013

Postato il

rompere_muro

Ci sono settimane particolarmente effervescenti. Stanno ristrutturando l’alloggio di fianco a Backdoor. Sembra il bombardamento di Dresda. Martello pneumatico, martello manuale, Thor martello di Dio: tutto insieme. Quando suona il telefono usciamo in strada per rispondere, altrimenti non sentiamo. Vibrano i dischi appesi al muro. Sono certo di cogliere un’espressione di terrore negli occhi di John Barry, attaccato alla parete con un suo best americano. Dobbiamo mettere a volume 11 per far capire qualcosa dei vinili che tentiamo di vendere. Non ci sono orari, picchiano e spaccano incessantemente, sempre. Fioccano le battute. La più frequente (e motivata): “Registrateli e fingete di avere un bootleg degli Einsturzende Neubauten”. La faccenda va avanti da circa un mese. In una delle innumerevoli proteste (siamo l’unico negozio di dischi al mondo che si lamenta per il rumore dei vicini) ho realizzato che stano frantumando praticamente tutto. Più che una ristrutturazione è un flagello animato dall’odio. Sono certo che crolleremo con l’intero palazzo. Un sabato poi, e so che sembra finto e banale al tempo stesso, mentre ascoltiamo i Sightings (City of Straw, per l’esattezza) ironizziamo sulla difficoltà di distinguere mazzate edili da rumorismi post industriali. E mentre ridiamo della nostra sicumera, arriva una tronata “superiore”, uno schianto definitivo. Corriamo nel retro e, esattamente sopra la scrivania del Signor Franco, ammiriamo un buco largo come due palloni da calcio e un bel numero di macerie sotto. Ce l’hanno fatta, con un numero degno de I Soliti Ignoti, gli amici muratori hanno sfondato il muro e sono venuti a farci una visita. Brindiamo all’avvenimento con minacce, bestemmie alate e rimozione delle macerie, ma anche con la vendita di City of Straw. Per la cronaca il Signor Franco si trovava altrove, impegnato in competizione bridgistica, quindi risulta incolume. Proseguiamo in allegria, accompagnati dall’artiglieria incessante dei vicini. Pochi giorni dopo entra uno in preda a una febbrile urgenza. “Buonasera, è già uscito quello nuovo degli Stadio?”. Trasalgo, quindi gli Stadio hanno ancora un pubblico. “Non saprei, mi spiace”. “—“. “Noi seguiamo altre cose, etichette indipendenti”. “—“. “Non musica commerciale. Indie rock, elettronica. Anche punk”. “—“. “Importiamo. Musica dall’estero. Importazione”. “Ah. Quindi potrebbe farmi avere quello nuovo degli Stadio d’importazione?”. A breve gli allegri devastatori a fianco ci informano che hanno rilevato una perdita sulla colonna centrale dell’acqua. Dovranno spaccare il nostro muro nel retro. Esattamente dietro a un mobile tassellato e pieno, anzi pienissimo, anzi debordante, di vinili. Verranno domani. Sono le sei di pomeriggio. Smonto tutto, maledico (ottantaseiesima volta nella mia vita) il pesantore dei vinili, accatasto tutto sotto dei teli di plastica e sento che mi viene da piangere. Il giorno dopo è un trionfo di polvere e trapanismo. Noi viviamo nella corrente invernale sotto un telo di plastica. In pratica siamo una copertina dei Christian Death. Da lì sotto emergo per accogliere uno che mi dice “Interessano due zanne d’avorio di quasi due metri? Certificate eh! No roba di contrabbando”. Io lo guardo esterrefatto. Allora mi conforta. “Fanno impressione, sa? Le ho sul divano, due bestie così! Su internet girano a prezzi pazzeschi, ma io posso venirle incontro se le vuole”. Lo guardo. “Mi scusi eh, ma perché mai dovrei essere interessato a due zanne d’avorio, me lo spiega?”. Lui fa girare un dito come a indicare l’ambiente e dice “Ma, immagino che qui girino un sacco di artistoidi, quindi mi sembrava il posto adatto. Comunque magari ripasso, per ora le tengo sul sofà”. Lieto di questa soluzione, ritorno sotto il mio ameno telo impolverato. Le operazioni terminano a fine giornata. Il giorno dopo chiudono il buco e, simpaticamente, non avvertono della riapertura dell’acqua nel condominio. Qualcuno aveva aperto il rubinetto del lavandino del mio bagno (cesso in realtà è più consono all’oggetto in questione), nel frattempo riempitosi di macerie. Così, quando vado nel retro a vedere se abbiamo qualcosa in vinile di Nick Lowe, trovo l’acqua a darmi il benvenuto su buona parte del pavimento. Salvo tutto inzuppandomi fino alle ginocchia, sacrifico una copia di Mojo del 2009 (non avevo più carta e stracci per asciugare) e riesco persino a vendere Labour Of Lust di Nick Lowe. Ma avverto una certa stanchezza. A “finirmi” ci pensa una che entra balzellando. “Dovrei fare un regalo a un mio amico che suona nei Doors”. Alè. “Vuol dire che suona in una cover band dei Doors?”. “No, no, lui è proprio nei Doors”. Alè. Mi risultano quasi tutti morti, ma comunque vado avanti. “E aveva qualcosa di preciso, in mente?”. “Sì, pensavo di regalargli qualcosa dei Doors”. Alè. “Ma un disco insolito, perché chiaramente ha già quasi tutto”. Il ragionamento non fa una grinza. Ci accordiamo per Absolutely Rare, bootleg doppio di registrazioni rare e outtakes. Me l’immagino mentre consegna il mio pacchetto natalizio a Robby Krieger e torno nel retro a pulire. Comincio a essere stremato. Il frastuono demolitorio prosegue incessante. Non so se davvero stiano inscenando una replica della replica del live con buca all’ICA di Londra degli Einsturzende nel 1984 o stiano traghettando l’Abate Faria direttamente verso Auckland, ma comunque insistono. E in tre, dico tre, persone diverse mi hanno telefonato sabato per sapere se avevamo il cartonato di Adriano Celentano (“Volevo regalarlo come appendiabiti a mio marito per Natale” mi ha detto una). Quindi, in chiusura, volevo dirvi che io un libro l’ho già fatto (L’ultimo disco dei Mohicani, 9,90 euro, disponibile qui anche con amena dedica dell’autore, volendo) e quindi sono disponibile ad affrontare una vita serena e persino banale. Silenziosa e noiosa, almeno a tratti. Comunque grazie e buone feste a tutti.

 

Playlist

(cose che mi sono piaciute)

 

Dischi

 

Prefab Sprout Crimson/Red (Kitchenware)

Paddy is back.

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Nick Lowe Quality Street (Proper)

Il mio disco di Natale.

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Jonathan Wilson Fanfare (Bella Union)

Vento di Laurel Canyon, Neil Young e pop 70’s.

Super smooth.

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King Crimson Starless and Bible Black (Island, 1974)

Nessuno come Robert Fripp

starless

 

 

 

 

 

Paul McCartney Unplugged (The Official Bootleg)(Parlophone, 1991)

Macca si diverte e io con lui. E quando attacca And I Love Her senza spina…

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Stefano Pilia Strings (Musica Moderna)

Field recordings. Spiccano i gabbiani nervosi di Coney Island.

strings

 

 

 

 

 

Redroom Dreamers Honduras (Happy/Mopy)

Da Napoli, slowcore ma non solo, con echi di Karate e Bedhead.

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Libri

 

Israel J. Singer i fratelli Ashkenazi (Bollati Boringhieri)

760 pagine. Ascesa e caduta della borghesia ebraica a Lodz.

ashkenazi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Concerti

 

Pilia/Spaccamonti (Blah Blah, 27 novembre)

Ottimi nei set solisti, eccellenti nelle due improvvisazioni corali. Sperimentali e comunicativi:

i due migliori chitarristi italiani.

Qui con Ramon Moro

http://www.youtube.com/watch?v=FuyrcqCM1RQ

 

I Cani (Hiroshima Mon Amour, 29 novembre)

Potenti e divertenti, con la sofferenza dei testi che nessuno sembra voler cogliere. Benissimo il giovanissimo King Krule, meglio ancora Niccolò Contessa. Adorabile quando prima di tuffarsi sul pubblico appoggia gli occhiali sul palco e poi va.

 

Massimo Volume (Hiroshima Mon Amour, 13 dicembre)

Mai così potenti. La seconda sezione di bis è devastante. L’adesione è fuoco.

 

pilia spacca

 

 

 


aperture natalizie

Postato il

santaarrested

Domenica 22 dicembre Backdoor sarà aperto

Vi ricordiamo inoltre l’abituale appuntamento del 24 mattina, con panettone di farro, Villa Jolanda (o vitigno di pari lignaggio), regali texani, brindisi augurali e amenità assortite

vi aspettiamo numerosi